Il Manifesto - 28.12.1997
di FRANCO CORLEONE *
LE REAZIONI di politici e commentatori alla decisione del presidente Scalfaro di concedere la grazia a sei persone condannate per reati legati alla lotta armata, offre una plastica immagine dello stato di confusione mentale che regna nel paese.Quasi nessuno che si confronti con il merito, e i limiti, della decisione, il suo significato e le possibili conseguenze. E così, in una sorta di babele di lingue, c'è chi ha lamentato niente di meno che la disparità di trattamento con gli assaltatori del campanile di San Marco, chi ha preconizzato un riverbero sulla sorte dei "pisani", chi infine ha visto una allusione alla soluzione per tangentopoli e all'amnistia ventilata da Violante.L'atto di Scalfaro, controfirmato dal ministro Flick, rappresenta invece, e finalmente, il passaggio dalle parole ai fatti. Già in tre occasioni, il 2 giugno dello scorso anno nell'occasione solenne dell'anniversario della repubblica, a marzo in apertura della Conferenza sulla tossicodipendenza a Napoli e recentemente nella lettera ai presidenti della camera e del senato per spiegare il diniego preventivo della grazia a Sofri, Bompressi e Pietrostefani, Scalfaro era intervenuto sulla opportunità di individuare una soluzione per i protagonisti della stagione violenta.
Si può ben dire che il filo del ragionamento si è dipanato in modo non sempre lineare, dando l'impressione di risolversi in un gioco di rimbalzo tra soluzioni individuali attraverso la strada della grazia e l'indulto generalizzato, prerogativa del parlamento. Tuttavia il merito di Scalfaro è di avere rotto gli indugi, sottraendo la sponda a chi di professione si esercita in attese e inerzie. La scelta delle sei vicende è stata sicuramente valutata per limitare le polemiche; sono stati individuati soggetti non coinvolti direttamente in fatti di sangue e che già godevano dei diversi benefici della Gozzini.
Queste caratteristiche, che mettono in risalto la prudenza di Scalfaro oggi, mi auguro non costituiscano la barriera invalicabile per altre auspicabili decisioni future. C'è però un elemento che vale la pena sottolineare in quelle storie: l'entità elevata delle pene, dai 15 ai 22 anni, conferma l'inasprimento delle sanzioni a causa della legislazione speciale degli anni di piombo. La ragione prevalente alla base delle proposte di legge di indulto, cioè il riequilibrio delle pene, risulta rafforzata proprio da questi casi.
Ho più volte sostenuto che il tempo per l'indulto è ormai quasi scaduto, per il senso politico e per gli effetti pratici. Perché pare così difficile trovare un accordo vasto - occorrono i due terzi dei consensi - a distanza di decenni da quei fatti tragici, e dopo che il senato nella XI legislatura già aveva approvato una proposta di identico contenuto con la firma, tra gli altri di Ugo Pecchioli, che di lotta dura al terrorismo se ne intendeva? Forse perché i vincitori di quella drammatica partita, potevano mostrare, dopo quello dell'intransigenza, il volto della clemenza? O forse perché il terrorismo appartiene alla storia di quella prima repubblica che non c'è più?
Ed è per questo che gli unici esponenti della classe politica che non si vergognano d'essere eredi di quella stagione - gli ex democristiani - chiedono l'amnistia per tangentopoli, anch'esso fenomeno della prima repubblica? Sono interrogativi che pongo per una riflessione più approfondita, ma che in questa circostanza mi servono per affrontare in prima approssimazione il preteso legame tra due questioni radicalmente diverse, l'indulto per gli ex terroristi e l'amnistia per i corrotti. Non fosse che per ragioni cronologiche, non mi sentirei di accomunare la sorte dei "potenti" a quella dei "rivoluzionari" di venti anni fa.Non è un caso che si è iniziato a parlare di indulto quando "mani pulite" era nel grembo di Giove e il "pool" non vedeva, non sentiva, non parlava.
Io non amo il carcere e il grido della folla inferocita "in galera!" non mi ha mai entusiasmato, anzi mi ha fatto inorridire. I conti con la storia vanno fatti, dalla politica e dalla cultura. Non vanno certo delegati alla magistratura in una sorta di appalto all'interpretazione e all'analisi di fatti complessi che riguardano il ruolo delle classi dirigenti, il peso dei poteri forti, i riflessi delle modernizzazioni forzate.Ma penso anche che una minima sedimentazione sia indispensabile, che le vicende si debbano chiudere, anche giudiziariamente, che i processi si debbano svolgere nei diversi gradi di giudizio. Questo per consentire altresì una valutazione dell'azione del pm, dei gip e un giudizio critico delle sentenze.
In conclusione, quale è il senso oggi dell'indulto? Chiudere una vicenda che ormai ha solo l'ipocrisia della durezza, (senza dimenticare il tempo del carcere speciale), verso un pugno di ex giovani dimezzati nella vita, di giorno impegnati nel sociale e di notte ristretti a dormire in carcere.Per tangentopoli abbiamo invece assistito a carcerazioni preventive, a collaborazioni, a patteggiamenti e a poche condanne definitive "esemplari", come quella inflitta ad Armanini e per altri versi a Cusani. Tutt'altra storia dunque. E che significato assume quindi la richiesta di amnistia se non di rivendicare una sorta di riabilitazione? A meno che non si pensi a fatti che devono ancora accadere...
Non mi appassiona discutere come se fosse d'attualità che cosa potrà essere opportuno per l'Italia, quando sarà conclusa la troppo lunga transizione. E' bene concentrare l'attenzione su ciò che l'agenda presenta come urgente, senza nessun perdonismo, senza creare illusioni, senza riaprire ferite ma con rispetto della memoria.
Se le forze politiche sapranno corrispondere all'iniziativa di Scalfaro, il 1998 potrà essere un anno pieno di grazia.
* Sottosegretario alla giustizia