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Questo è il testo integrale della lettera inviata ieri dal presidente della repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, ai presidenti di camera e senato.
I N QUESTI giorni è ripreso con rinnovata intensità a diversi livelli il dibattito nella ricerca di una via che possa condurre a un riesame giusto e umano delle dolorose pagine del terrorismo.
Su questo tema un chiaro messaggio era stato da me indirizzato il 2 giugno 1996 alle Camere, nella solenne seduta congiunta in occasione delle Celebrazioni per cinquantesimo anniversario della Repubblica, allorché, parlando di quella tragica stagione, dissi testualmente:
"Con il passare degli anni il delitto non muta né nome né sostanza e la giustizia verso le vittime, e chi ne ha sofferto e ne soffre, merita rispetto; ma lo Stato democratico, se vuol essere ricco di umanità, non può non fermarsi per cercare una via che non abbia i caratteri della generalità, ma valutando con intensa cura le singole situazioni, sia idonea a tutelare quei diritti, senza mai spegnere la speranza".
Sentivo allora e sento ancora oggi la grande difficoltà di riuscire a fare sintesi tra così diverse realtà.
Eppure mi pare di dover confermare quanto manifestato in quella occasione, mentre ritengo doveroso rendere partecipi i Presidenti delle Camere di alcune considerazioni sugli sviluppi che il tema in questione ha, con il tempo, subito, tenuto anche conto che il Parlamento si sta attualmente occupando di questo problema. Devo aggiungere che la questione così delicata e viva e dibattuta, ha trovato voci autorevoli in numerose proposte di legge presentate nei due rami del Parlamento e - rivolta in particolare l'attenzione al caso Sofri, Pietrostefani e Bompressi - la questione stessa ha ottenuto l'adesione di esponenti della cultura e dell'arte, di numerosi cittadini comuni che hanno chiesto e chiedono al Capo dello Stato interventi di clemenza a vario titolo e con diverse motivazioni.
Molteplici appelli inoltre recano la sottoscrizione di un gran numero di Parlamentari, deputati e senatori, oltre che di membri del Parlamento Europeo.
Ecco dunque alcune mie considerazioni: esaminati attentamente diversi casi, e constatato che presentano caratteristiche del tutto simili, credo si debba necessariamente concludere che qualsiasi provvedimento di grazia destinato a più persone sulla base di criteri generali predeterminati, costituirebbe di fatto un indulto improprio, invadendo illecitamente la competenza che la Costituzione riserva al Parlamento.
Solo un numero del tutto limitato di situazioni prettamente individuali, e ciascuna con caratteristiche singole e peculiari, potrebbe consentire l'esercizio del potere di grazia.
Per questi pochi casi comunque, ho chiesto al Ministro della Giustizia che vengano espletate con sollecitudine le attività istruttorie, che possano rendere fruibili, nella autonoma valutazione del magistrato, quei benefici previsti dall'Ordinamento penitenziario, da parte dei soggetti che ne sono attualmente esclusi.
Ripeto quanto dissi più volte: 1) il delitto non muta natura con il passare del tempo; 2) la pena ha anche carattere afflittivo e non esclusivamente di recupero sociale del condannato; 3) le sofferenze delle vittime innocenti non devono mai essere dimenticate; ma certo non è contro i valori fondamentali della giustizia cercare una via che, non turbando queste fondamentali premesse, consenta, nei casi meritevoli, di far spazio gradualmente a un auspicabile ricupero alla società.
Tuttavia un compito di questo genere è riservato alle Istituzioni cui la Costituzione attribuisce in materia specifici poteri, tanto per la fase dell'iniziativa quanto per quella dell'approvazione dei conseguenti provvedimenti. Questo discorso vale anche - malgrado i tratti particolari che lo contraddistinguono, a cominciare da un'espiazione iniziata a tanta distanza di tempo dai fatti addebitati - per il caso Sofri, Pietrostefani e Bompressi, in favore dei quali, come ho già accennato, ricevo numerosi appelli, in molti dei quali si chiede al Capo dello Stato di esercitare il potere di grazia previsto dall' art. 87, penultimo comma, della Costituzione.
La grazia, infatti, qualora applicata a breve distanza dalla sentenza definitiva di condanna, assumerebbe oggettivamente il significato di una valutazione di merito opposta a quella del magistrato, configurando un ulteriore grado di giudizio che non esiste nell'ordinamento e determinando un evidente pericolo di conflitto di fatto tra poteri.
Si aggiunga che un'applicazione della grazia che privilegi soltanto talune persone e ne trascuri altre che versano in situazioni analoghe, costituirebbe violazione grave del principio di uguaglianza che è base essenziale del concetto stesso di giustizia.
Dunque la via per superare queste dolorose e sofferte vicende della nostra storia può essere trovata, ma certo richiede una visione unitaria di quella realtà, una volontà politica determinata e capace di raccogliere il consenso indispensabile.
P.S. Invio oggi stesso il testo di questa lettera al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro della Giustizia.
Oscar Luigi Scalfaro