Il Messaggero - 24.01.98 

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Esclusivo/Cita i Vangeli e Shakespeare, il Corano e Dante. Così, nel ”Rapporto Italia”dell’Eurispes, l’ex capo delle Br chiede l’abolizione delle leggi che tengono in carcere 170 terroristi

Curcio: l’emergenza è finita. Basta con le vendette

UNA prima sistemazione della nozione di vendetta la troviamo nel Libro dei libri. Come apprendiamo dal Levitico, essa viene a Mosè direttamente da Dio. ”Chi uccide un animale deve rimpiazzarlo. Chi uccide un altro uomo deve essere messo a morte. Voi avete una sola e identica legislazione per gli stranieri e per tutti gli Israeliti, perché io sono il Signore vostro Dio” (Levitico 24, 17-22). Questo codice regola la vendettta elevandola a legge universale. Ed afferma il principio della reciprocità e dell’equivalenza simbolica tra offesa e pena. Codice del taglione, vendetta e perdono trovano buona accoglienza anche nella cultura islamica. ”Se punirete, punite solo nella stessa misura dell’offesa da voi ricevuta”. (Sura XVI, 127).

Vendetta, dunque, ma senza eccessi, perché Dio ”non ama gli iniqui” (n.d.r. - questo e gli altri testi in corsivo sono sintesi a cura del redattore). E ancora: ”Quanto a quelli che avranno sopportato con pazienza e perdonato l’ingiuria, in verità, questo è nell’ordine delle cose voluto da Dio” (Sura XLII, 41). Insomma, se per il Corano la vendetta è giusta, il perdono è meritorio. Nulla di più.

I poemi omerici, l’Iliade e l’Odissea, svolgono la loro trama attorno alla narrazione di due grandi vendette simboliche. Achille ucciderà Ettore; e così Ulisse, che per restaurare l’ordine sovvertito a Itaca durante la sua lunga assenza, procederà alla strage dei Proci. E’ vero però che in epoca storica, nel 403 a. C., prende forma, per iniziativa di un uomo politico ateniese, Trasibulo, la rinuncia politica alla vendetta contro gli esponenti sconfitti del regime dei trenta tiranni. Affermando l’opportunità di stabilire una discontinuità col passato, il vincitore democratico dà corso alla prima autentica amnistia.

Poi Renato Curcio analizza la vendetta in Dante e Shakespeare, nei canti operai della cultura popolare, fino alle lotte sociali degli anni 60 e 80: ”Te lo abbiamo giurato/compagno Pinelli/sarai vendicato”. Le organizzazioni armate hanno riformulato la legge del taglione e la vendetta ispira il ”libretto rosso di Mao”: ”Ci sono morti che pesano come una piuma e morti che pesano come una montagna”. L’etimo più arcano della parola vendetta sembra rimandare alla radice ven: che indica la stirpe o comunità di discendenza di un gruppo di famiglie. Dex alluderebbe, invece, ad una certa convenienza. In questo contesto interpretativo, la parola vendetta si riferirebbe quindi all’interesse collettivo di un ceppo. Il messaggio della vendetta è di tipo auto-riflessivo. Rivolto anzitutto alla popolazione del mondo chiuso in cui essa viene istituita, persegue lo scopo di ribadire il codice di appartenenza, con una punizione esemplare per chi lo trasgredisce. E’ un modello di giustizia molecolare, che nel presente sopravvive senza nome.

Poi le pagine sul perdono.

Già nella parola il riferimento al dono, al dare senza scambio, senza chiedere alcun genere di prezzo o ricompensa, risulta evidente. Il perdono comunque non è semplicemente un dono, ma un atto mediante cui se offesa c’è stata essa viene rimessa; se vige nella relazione uno scambio di vendetta esso viene interrotto: se è in corso di espiazione una pena essa viene assolta. Una parola spesso invocata quanto travisata. Per chiarirne il significato, andiamo alla fonte della sua elaborazione: la pratica di Gesù nelle parole di alcuni apostoli, Matteo in particolare: ”Sapete che nella Bibbia è stato detto: occhio per occhio, dente per dente. Ma io vi dico, non vendicatevi contro chi vi fa del male. Se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu presentagli anche l’altra. Se uno vuol farti un processo per prenderti la camicia, lasciagli anche il mantello”.

L’atto del perdonare non chiede al perdonato una prestazione di qualsivoglia genere ma una ”illuminazione”, una ristrutturazione istantanea del campo della sua coscienza. Esso è dunque in primo luogo un insegnamento. Insegna un nuovo sentiero, una modalità nuova di soluzione del conflitto. Non dice all’altro, hai torto o hai ragione, ma: cambia il sistema di riferimento, e lo schiaffo che mi hai dato brucerà sulla tua guancia. Il tempo del perdono perde quel carattere di circolarità che caratterizza la vendetta, per collocarsi nella discontinuità.

Qualcuno vede un legame fra perdono ed oblio, presente del resto nell’etimo della parola ”amnistia”. Ma l’oblio di per sé non lavora sulla sofferenza arrecata da un’offesa, si limita ad incapsularla.

Nell’istituto della grazia, secondo Curcio, torna l’eco di un potere assoluto. Se il potere giudiziario può infliggere una pena, il capo dello Stato può disporre che, in toto o in parte, non venga espiata.

Ma in ogni caso ciò avviene solo dopo atti concreti di sottomissione, ammissioni di colpa, dichiarazioni di pentimento la grazia è quindi più organica alla vendetta che al perdono.

La strada è aperta per discutere le ”leggi dell’emergenza”.

Persone condannate con molti ergastoli, in seguito alla loro collaborazione e pentimento sono uscite dal carcere dopo pochi anni, ottenendo in sovrappiù mezzi di sostentamento, impieghi lavorativi, sovvenzioni per la famiglia e altri benefici.

E’ la nozione di pentimento, che in questo caso è infondata: Il sentimento di colui che si pente è incongruo ad ogni scambio. Si celebra e si consuma nel luogo della meditazione e rifugge da ogni sguardo indiscreto.

Un caso paradigmatico: la proposta di legge per un indulto, che si trascina di commissione giustizia in commissione giustizia da 12 anni. Su 6 mila persone inquisite per banda armata, 5.700 hanno già scontato la loro pena, 170 sono dentro, le altre in esilio. E dei reclusi solo 17 hanno scontato meno di 10 anni di carcere. La fase storica del terrorismo è da tempo chiusa, il muro di Berlino è caduto dall’89, ma le forze politiche testimoniano l’assenza di strumenti culturali adeguati alle esigenze, intrinseche ad ogni società complessa, di superare almeno i conflitti sociali ormai spenti reintegrando in contesti rigenerati le risorse umane bloccate. Non così nel 1953, quando il Parlamento approvò un indulto per i reati commessi tra l’8 settembre 1943 e il 18 giugno 1946, di cui beneficiarono 12 mila detenuti e, nel complesso circa 36 mila persone.

E la vendetta continua a covare dovunque, decisa con ”richieste di prestazioni” a distruggere simbolicamente il vinto. Come nel recente caso del voto sul ritorno in Italia dei Savoia.

Le cifre dicono che 204 parlamentari, il 42,5 per cento dei votanti, hanno messo nel segreto dell’urna il loro messaggio di vendetta.

Secondo costoro, le colpe dei padri debbono ricadere sui figli, quelle dei nonni sui nipoti. A 50 anni dal tracollo della monarchia, che oggi non è più un simbolo operante, ma un fantasma. Nessun perdono e nessuna vendetta, né per i Savoia né per quelli della lotta armata. Più semplicemente, smontare gli istituti e le norme eccezionali, visto che l’emergenza è passata.

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