Il Messaggero - 24.01.98 

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Scalfaro: «Ho fatto quello che potevo»

«CI SONO parole che accompagnano gli umani dai tempi più remoti e in ogni epoca raccolgono umiliazioni oppure onori. Di questa classe fanno parte vendetta e perdono...» E’ Renato Curcio che scrive. Sì, Curcio, il capo storico delle Brigate rosse, l’ideologo della lotta armata che materialmente non schiacciò mai il grilletto, ma che per le sue responsabilità da 21 anni filati sconta la sua condanna, mentre i pentiti pluriomicidi sono tutti fuori. Ha accettato la proposta dell’Eurispes di redigere un capitolo di quel ”Rapporto Italia” che il Centro di ricerche presenterà a fine mese: trenta cartelle di viaggio a ritroso nella storia, tra Levitico e Vangelo, Corano e ”libretto rosso” di Mao Tse Tung. Per chiedersi infine se il ritardo esasperato di un provvedimento a favore dei 170 ancora in galera, su circa 6 mila inquisiti della lotta armata che hanno scontato la pena, non sia a sua volta un esempio di vendetta.

Intanto, dalla Slovacchia, il presidente Scalfaro osserva, dopo le sei grazie concesse prima di Natale a terroristi italiani: «Quel che si poteva fare l’ho fatto. Non escludo altre ipotesi di competenza del Capo dello Stato. Ma, per ora, non le conosco». E ancora: «Il resto, l’ho detto in vario modo, fa capo ad altre responsabilità».

Dal 1993 Curcio ha un piede fuori dal carcere. Esce da Rebibbia alla mattina alle 7, vi fa ritorno alle 11 di sera e lavora a tempo pieno per la sua casa editrice ”Sensibili alle foglie”. Nel giro di un anno dovrebbe aver scontato per intero la sua pena. Non chiede dunque clemenza per sé, il capo delle Br. Il suo invito è a considerare chiusa per sempre la fase storica dell’emergenza e ad investire, in futuro, «nel territorio quasi inesplorato della prevenzione».

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