Il Messaggero - 26.01.98 

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In occasione della pubblicazione del saggio che Renato Curcio ha scritto per l'Eurispes su "Vendetta e perdono" un forum del "Messaggero" su amnistia, memoria e giustizia


Ora che il terrorismo è finito, esiste una ricetta per uscirne?

ROMA - Riesumare gli anni di piombo. Traguardare quel periodo sconvolgente del terrorismo armato scoprendo, con un sospiro di sollievo, che ormai ci vuole un cannocchiale. Un incubo dissolto. Tutto finito, tutto già lontano, tutto ingoiato dalla nube polverosa del muro di Berlino che crollava. Anche se non tutto è stato capito. E se, nel cuore dei familiari delle 128 vittime di assassini e stragi (per limitarci ai caduti per mano delle organizzazioni di sinistra), quelle croci restano, e producono ancora una lacerazione straziante.

Dopo la pubblicazione di Vendetta e perdono, il saggio che Renato Curcio, il fondatore delle Brigate Rosse, ha scritto per il Rapporto Italia dell’Eurispes, che sarà presentato il 30 gennaio, ecco il dibattito, il forum sul ”che fare adesso”. Ci siamo chiesti anche noi se sia il caso, oppure no, che il Parlamento ”ci metta una pietra sopra”, svincolando i protagonisti di quegli anni che ancora sono in carcere: su 6000 perseguiti, 5700 hanno già scontato la loro pena e fra questi gli omicidi e pluriomicidi che si sono avvalsi delle leggi sui pentiti. Restano 300 persone, poco meno di 200 ancora in carcere, gli altri fuoriusciti. Al forum hanno partecipato, oltre a Renato Curcio, l’onorevole Francesco Storace, deputato di Alleanza Nazionale, Gavino Angius, deputato ed esponente di spicco del Pds sul fronte della Giustizia, Ortensio Zecchino, senatore del Ppi e giurista, il presidente dell’Eurispes, centro di ricerche politiche e sociali, Gian Maria Fara, e al direttore della ricerca Fabio Piacenti.

Restano i dati sconvolgenti degli anni di piombo. A raccoglierli è stata la stessa Cooperativa editoriale Sensibili alle foglie, messa in piedi da Renato Curcio, che oggi ha 57 anni, e che dal ’93 vive in regime di semilibertà, trascorrendo a Rebibbia solo le sue notti. La prima vittima delle bande armate della sinistra, si ricorda nel Progetto memoria della cooperativa, è del ’71, l’ultima dell’ 88. La fase più cruenta è quella che va dal ’76 al 1982: vi si verificano 112 dei 118 ”eventi mortali” complessivi. Al centro, naturalmente, il 1978, l’anno del rapimento di Moro, con 28 vittime. Dal punto di vista politico, il triennio ’76-79 è quello dell’”Unità nazionale” dell’appoggio esterno del Pci al governo monocolore democristiano, vissuto dai gruppi extraparlamentari come un tradimento. Dei 128 caduti, 38 erano poliziotti, 21 carabinieri, 8 della polizia penitenziaria e 10 di quella privata, 9 commercianti, 8 magistrati, 6 dirigenti d’azienda e 6 politici, 3 docenti universitari, 2 avvocati e 2 giornalisti. Ben 72 vittime sono state attribuite alle Br, 20 a Prima Linea, il resto a una ventina di organizzazioni minori.

C.G.


 

Il solito contrasto italiano tra un passato che non passa mai, tra ambizione di contraffare il presente e volontà di chiarezza

Basta con le richieste di abiure, si torni alle leggi ordinarie

CURCIO - Non c’è vendetta nell’usare la logica di Curcio nel saggio? Non c’è vendetta nel chiedere delle condizioni, nel chiedere...

STORACE - No, c’è voglia di chiarezza. Non ci sto a un discorso che privilegia una parte rispetto all’altra. Io oggi potevo essere tranquillamente al suo posto, etichettato come terrorista, come ciascuno di noi che militava nelle sezioni, nelle sedi. Anche a me è capitato il gingillo tra le mani e poi magari non ho avuto il coraggio di usarlo. Perchè allora ci voleva il coraggio di usarla, la pistola, no? C’è stata una generazione intera che ha rischiato di diventare terrorista. Ma se non si dice tutto, i cittadini non capiranno. Anche Francesca Mambro è cambiata rispetto ad allora, non si riesce a far capire che queste persone sono diverse da quelle che hanno ammazzato.

FARA - L’Eurispes non ha pensato di aprire questo confronto guardando solo con l’occhio sinistro, ma con tutti e due.

STORACE - Sarebbe stata proprio la stessa cosa se il saggio, anziché Curcio, lo avesse scritto la Mambro?

FARA - Il problema che ci vogliamo porre è quello di archiviare un periodo storico che ha visto contrapposti giovani di una parte politica e giovani dell’altra con gli esiti che sappiamo.

ANGIUS - Se c’è una cosa che mi fa impressione è questa ricorrente mania italiana di rifare il passato, e mi chiedo se non vi sia in realtà l’ambizione di contraffare il presente. Vedi Storace, tu ti sei iscritto all’Msi dopo l’assassinio di quei ragazzi, io ho preso la tessera del Pci dopo la strage di Piazza Fontana, e adesso siamo qui a cercare di capire da dove veniamo per tentare di capire meglio dove dobbiamo andare.

STORACE - E’ difficile attribuire la strage di Piazza Fontana a un partito politico...

ANGIUS - Non l’ho attribuita, simbolicamente ho evocato la mia storia. Curcio: per essere schietti, da giovane dirigente comunista in Sardegna io ti ho odiato. Poi, tempo fa, sono venuto a sapere che Gladio si interessava a me, quando avevo 27 anni, segretario del comitato cittadino del Pci di Sassari. Questo è uno strano paese, con una sua storia. Con un terrorismo rosso, uno nero e uno grigio. Ora, io trovo un po’ sciocco che si chiedano atti di contrizione agli eredi del partito comunista, in quanto responsabili dei crimini di Stalin. Per me, sia chiaro, è facilissimo farli: non me ne importa nulla, non ho mai tirato una pietra a nessuno. Ma è sciocco. E non capisco neppure il senso di pretendere un’abiura anche da Fini. Partiamo da questo saggio di Curcio su vendetta e perdono, che condivido, se l’ho capito bene. Uno stato moderno deve dare una risposta ai quesiti drammatici posti da Curcio, e anche da Storace, non umiliando coscienze, ma interpretandole. Cerchiamo di concludere questa infinita emergenza anzitutto con strumenti culturali, e poi anche giuridici o legislativi.

MESSAGGERO - Noi oggi abbiamo delle verità parziali, che riguardano quasi esclusivamente il cosiddetto ”braccio armato”. Manca una mappa totale, una ricostruzione completa dei conflitti che sono esplosi: anche quelli ”di tipo bellico”, come le stragi. Siamo riusciti a ricostruire parzialmente il contesto in cui è maturata la prima di esse -piazza Fontana- ma siamo lontani dall’alzare il velo sulle altre. In ogni caso, gli autori della strage di Capaci sono un po’ tutti a piede libero, protetti e stipendiati. Si può dire che, al confronto, i terroristi hanno pagato un prezzo ben più alto, nelle carceri.

FARA - Mi chiedo che paese sia quello che mette in libertà dopo quindici giorni soggetti che hanno confessato 60-70 omicidi, bambini compresi, con premio di liquidazione e retribuzione a spese del contribuente, e dall’altra tiene in carcere Curcio, il cui ruolo di ideologo non metto in discussione, ma che non ha ucciso nessuno, è entrato con una condanna a 5 anni ed è ancora in carcere da venti, per reati che la cultura dell’emergenza ha moltiplicato. Me lo chiedo com libero pensatore, come cittadino: è serio, è dignitoso tutto questo?

ZECCHINO - La risposta immediata è che è il frutto della schizofrenia della nostra legislazione. Mi preme però sottolineare che, anche qui, noi stiamo operando una confusione tra il problema della ricerca della verità storico-politica e della verità giudiziaria. La transizione non è affatto finita, il disorientamento è grande e la cultura non dà un aiuto a tale ricerca. Vendetta e perdono sono in ogni caso due termini agli antipodi dell’esperienza giuridica. Quando è cessata la vendetta è nato il diritto, lo stato di diritto. E quanto all’altra parola, mi sono appuntato questa frase di Beccaria: il perdono e la grazia sono necessarie in proporzione all’assurdità delle leggi e all’atrocità delle condanne. Questa è l’esatta fotografia della nostra situazione.

Il terrorismo ha provocato una distorsione dei principi cardine di un ordinamento serio, forte e sereno. Abbiamo creato una legislazione caotica, che contraddice i canoni fondamentali della proporzione tra reato e pena. Io credo che le strade del perdono, con tutto quello che giuridicamente può significare, dall’amnistia all’indulto, perseverino in questa logica dell’emergenza e della confusione. La cosa più saggia sarebbe invece ripristinare esattamente la legislazione originaria, liberandola dalle scorie che si sono venute accumulando con le varie emergenze. Quanto a lei, Curcio, io non conosco molto bene la sua storia personale, ma resto allibito. Quel meccanismo al quadrato, quelle incrostazioni, hanno prodotto un risultato gravissimo. Vanno rimosse, in un paese che pretende di essere normale.

MESSAGGERO - Se abbiamo capito bene lei propone: non variamo provvedimenti che facciano riferimento al perdono, non approviamo norme che continuino a sovrapporsi alla legislazione, ma riportiamo indietro la legislazione alla sua essenza. E il passato, come lo regoliamo?


E di colpo salta fuori Tangentopoli

I rischi di fare confusione riguardo al provvedimento di clemenza

ZECCHINO - Voi sapete meglio di me che la legge penale è retroattiva: la legge penale più favorevole è retroattiva. Questa è la via per affrontare anche la patologia cui ha dato luogo l’emergenza. Quanto al casoindegno che veniva citato prima, quello dei settanta omicidi e quindici giorni di reclusione, esso appartiene a un’altra emergenza, diversa dal terrorismo: quella mafiosa. E anche qui, regna la confusione tra valutazione giudiziaria e valutazione storico-politica. Voglio citare un caso emblematico: la perizia, la consulenza tecnica che Caselli ha commissionato al professor Giorgio Galli nel processo Andreotti. Lo Stato ha pagato Galli perchè dicesse cosa rappresentava la corrente andreottiana nella storia della Dc. Ecco un esempio negativissimo di tale confusione. Tra l’altro, bastava che Caselli si leggesse qualche libro di Galli. Ma non parliamo di come spendono i soldi certe Procure...

ANGIUS - Questo paese ha attraversato tre grandi emergenze: terrorismo, mafia e criminalità organizzata, corruzione. Ora tu, Zecchino, dici che occorre mantenere separata la valutazione storico-politica dalle vicende giudiziarie in senso stretto. D’accordo, però non pui negare che un rapporto comunque esista, perchè le leggi sono figlie di un momento storico. Tu proponi di cancellare toni e legislazione d’emergenza. Anche io voglio un paese normale. Ma questo paese normale non è.

MESSAGGERO - C’è una categoria estranea al binomio vendetta-perdono, ed è la pericolosità sociale di un certo fenomeno. E’ mai possibile mettere sullo stesso piano di pericolosità sociale terrorismo, criminalità organizzata e corruzione? Non sarà che ciascuno qui ha il suo problema, e si pensa di intervenire con la solita logica di scambio.

STORACE - Nel dibattito sul finanziamento ai partiti un autorevole esponente ex-democristiano mi disse: io sono contro l’indulto perchè voi siete contro la prescrizione dei reati e l’amnistia. E’ questo che c’è nel Palazzo. Ma io non voglio dare l’impressione all’opinione pubblica di essere disposto a scambiare la battaglia per l’indulto con l’amnistia per Tangentopoli. Nè voglio offendere Renato Curcio: ma è come se un provvedimento di amnistia per Tangentopoli lo chiedesse Cirino Pomicino. No, il paese non capirebbe. Dobbiamo far sì che siano le Gemma Calabresi a parlare, a far capire al paese ”altro” la necessità dei provvedimenti. La soluzione va cercata senza ipocrisia: sono per un provvedimento che possa portare la libertà a tutti coloro che anni fa hanno sbagliato. Senza la chiusura della cella per il terrorismo nero e il tana libera tutti per quello rosso, che è la tendenza verso la quale ci stiamo incamminando.

ZECCHINO - Non capisco questa preoccupazione. Come potrebbe realizzarsi la discriminazione che tu temi?

STORACE - Beh, basta leggere quello che è accaduto a Bologna. Abbiamo un signore che andò a testimoniare quando stava per morire per un tumore: dopo vent’anni è ancora vivo. Sono cose accadute in questo paese.

ZECCHINO - Un provvedimento di indulto non può distinguere un reato commesso dalla destra o dalla sinistra.

CURCIO - Vorrei chiarire a Storace una cosa fondamentale: che io non sono qui a chiedere niente, non sono qui a sollecitare un indulto o a proporre questa discussione, che nel paese già c’è. Ho accettato la proposta dell’Eurispes perchè mi sembrava che quelle due parole non fossero capaci di affrontare i problemi veri di questa società: la vendetta non è una cultura buona, il perdono non è utilizzabile. La legge sui pentiti, prima che alla mafia, è stata applicata al fenomeno armato. Lei cita Padova: io so, per vie processuali, che tutte le persone implicate in quel duplice omicidio si sono pentite e dissociate, e sono tutte libere. Bisogna distinguere tra simbolo e realtà, altrimenti uno è responsabile non di ciò che ha fatto, ma del contesto culturale in cui è inserito. A qualcuno si potrebbe imputare ciò che è avvenuto in Unione Sovietica, qualcun altro potrebbe essere responsabile di ciò che è stato fatto a Hiroshima.

STORACE - Vogliamo banalizzare...

CURCIO - No, affatto: voglio dire che occorre distinguere tra le persone e i simboli e che non è lecita un’operazione che scarichi sui simboli la responsabilità delle persone. Per quel che mi riguarda, io non ho chiesto niente, ho scontato tutta la mia pena e fra un po’ uscirò.

MESSAGGERO - In Parlamento giace da tempo il progetto di legge che prevede l’indulto. Lei, Curcio, come lo giudica?

CURCIO - Vorrei che fosse molto chiaro: il provvedimento di indulto di cui qui si è parlato, non è misurato al fenomeno armato. Lo sa bene chi ha letto il testo sulle leggi dell’emergenza in discussione alla commissione Giustizia della Camera. Ci si pone il problema di come sbarazzarsi della legge sui pentiti e sui dissociati, che hanno rotto il nesso tra reato e pena, introducendo ulteriori sperequazioni. Quanto al fenomeno armato, le persone che si sono avvalse di queste misure erano quelle implicate nei reati più gravi, con la prospettiva di un futuro carcerario senza speranza. Persone con otto omicidi sono state rimesse in libertà dopo due anni. Io non recrimino, non pongo un problema etico o morale. Osservo che quei fatti sono stati superati, che la scena mondiale è cambiata, il muro di Berlino è caduto, i partiti hanno cambiato nome e ci auguriamo non solo il nome. Non c’è dubbio che, passando dall’osservazione storica al piano istituzionale, questo problema sia di pertinenza del Parlamento.


Francia e Germania, due modi diversi di lasciarsi alle spalle gli anni di piombo

MESSAGGERO - L’estate scorsa lei ricordava che in altri paesi d’Europa fenomeni come il terrorismo sono stati trattati con una ben maggiore comprensione e clemenza.

CURCIO - Sì, prendiamo l’esempio della Francia e della Germania. In Francia il fenomeno armato ha avuto un’incidenza minore. In ogni caso, pochi anni dopo, la Francia ha risolto tutto con un provvedimento di amnistia. In Germania invece il fenomeno armato ha pesato ben di più: ma anche in questo paese, è dell’anno scorso la legge che ha rimesso in libertà le persone della Raf già condannate all’ergastolo. La decisione è stata presa perché quel fenomeno si era estinto ormai da parecchio tempo, e perché si è ritenuto che 15 anni di carcere, quelli già scontati, erano a tutti gli effetti un limite quasi insuperabile nel rispetto della persona. Ci sono moltissimi studi che hanno posto il problema della liceità di pene più lunghe di 10 anni, perché hanno conseguenze devastanti sulla persona.

STORACE - Resta il fatto che, se devo affrontare l’opinione pubblica, su un tema così importante come quello che stiamo discutendo, ho la necessità di capire che anche dall’altra parte si vuole fare chiarezza su ciò che è accaduto. Il problema esiste, sarebbe ipocrita nasconderlo. Non posso andare a parlare negli ambienti della destra...

CURCIO - Guardi, Storace, che non per vantare meriti, ma sono cinque anni che lavoro attorno a un progetto di ricerca che si chiama Pogetto memoria, e che ha prodotto tre volumi di 500 pagine l’uno, di fonti sul fenomeno armato. Ci siamo presi tutti i processi che sono stati celebrati in Italia, dal primo all’ultimo, dal ’69 all’89. Un lavoro enorme: ci siamo guardati tutti gli imputati, classe, sesso, occupazione. Abbiamo prodotto una mappa geografica, culturale, sociale. Abbiamo pubblicato i documenti prodotti da quelle organizzazioni, ci siamo presentati alle università, ci siamo incontrati con gli enti locali».

STORACE - Non conosco questo lavoro...

CURCIO - Glielo farò avere. E’ molto rigoroso, molto serio, fatto con criteri di ricerca e non, diciamo, di compiacenza verso la propria storia. Sono d’accordo con lei, dunque: bisogna capire meglio. Un’opera che non può essere affidata ad uno o a un altro: dobbiamo compierla collettivamente. Il giudizio che io do di lei, e lei di me, non può essere fermo alle manifestazioni alle quali partecipavamo 27 anni fa. Questo lo valuteremo. Ma dove siamo, adesso? Lei, cosa sta facendo oggi nella sua vita?

FARA - Oltre alle norme approvate con l’emergenza, vi sono anche i guasti della ”giurisprudenza dell’emergenza”. Per esempio, l’indirizzo preso dalla Cassazione dopo l’assassinio di Falcone, per cui i pentiti si possono riscontrare fra di loro, che è oggettivamente aberrante. L’emergenza poi non ha funzionato solo sul piano del diritto penale sostanziale, ma anche su quello processuale: pure il 513 è frutto di una cultura dell’emergenza. Ripensando, allora, alle cose dette da Curcio, non vi scandalizzerete se sostengo che le pene miti, ma certe e immediate sono molto più efficaci di queste grida e delle grandi pene.

MESSAGGERO - Ma che fare, insomma?

STORACE - Il che fare, quale strumento concerto adottare, fa parte di un momento successivo. Prima ci vuole l’affermazione di una cultura che decide di superare questa emergenza.

ANGIUS - E’ il momento di uscire, perché abbiamo tanti problemi, ma non quello della minaccia di gruppi clandestini, terroristici e cose del genere. Con quale provvedimento? Una misura legislativa sul tipo di quella adottata dalla Germania, stando almeno a quello che ci ha detto Curcio, perché non conosco nei particolari il provvedimento tedesco. C’è un problema, però, doloroso, molto delicato, che non va sottovalutato, perché il paese è anche quello, le vittime e i familiari delle vittime. Questo, naturalmente, vale anche per la mafia, che è tutt’altra faccenda. Quanto alla ricerca di verità, non solo storico-politica, ma giudiziaria, dovrebbe proseguire, anche per altre vicende con cui il terrorismo non c’entra: ma insomma, perché non si deve conoscere la vera ragione della morte degli 81, 82, quanti erano, di Ustica? Quanto alle leggi di emergenza...pensiamo piuttosto a strumenti più efficaci.

MESSAGGERO - Cosa intende dire?

ANGIUS - Prendiamo un fenomeno sconvolgente di moderna criminalità, l’ecomafia, che si avvale di strumenti tecnici raffinatissimi. Non ha senso combatterla con i kalashnikov. Ci sono migliaia di camion che attraversano l’Italia trasportando rifiuti solidi urbani da una parte all’altra. Ora se io becco un autista, un poveraccio reclutato ad Aversa, e stabilisco per legge di dargli 15 anni anziché 5, non ottengo proprio nulla. Ci vogliono strumenti informatici, relazioni esterne, capacità di penetrazione nel sistema dei mercati finanziari mondiali, per smascerare quei poteri occulti. Un’ultima cosa, la corruzione. Da Tangentopoli si esce in un solo modo, l’unico che il paese capisca. Svolgendo i processi, accelerandoli, e con le condanne dotando i tribuanli, le procure degli strumenti necessari. Qualsiasi altro modo delegittimerebbe per la seconda volta la classe politica di fronte al paese.

MESSAGGERO - Provocazione finale. Vogliamo scommettere che delle tre emergenze, si finisce per risolvere prima Tangentopoli, poi quella della mafia e solo alla fine, forse, quella del terrorismo? Quest’ultimo è infatti esterno alla classe politica, è il nemico, e quando tu hai un nemico è giustificato tutto ciò che fai. Quegli altri due problemi, invece, sono in qualche modo dentro alla classe politica.

ZECCHINO - A questo punto, ci vorrebbe un altro dibattito. E, mi dispiace, ma alla fine potreste proprio avere ragione voi.


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