Il Messaggero - 27.12.97

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IL CASO

Mambro e Fioravanti per 10 giorni in libertà

di MASSIMO MARTINELLI

ROMA - Dieci giorni insieme. A cena fuori, a dormire, a passeggiare per Roma. Da oggi potrebbe essere il sogno che si avvera per Francesca Mambro e Giusva Fioravanti, cinque ergastoli a testa, irriducibili, sposati in carcere senza aver mai passato una notte insieme. Potrebbero uscire in permesso, lui dal carcere circondariale di Rebibbia, lei da Rebibbia femminile. Da oggi fino alla Befana. Il condizionale è d’obbligo, perché la notizia è riservata e nessuno si azzarda a confermarla. Tuttavia il Tribunale di Sorveglianza di Roma l’ha scritta nero su bianco il giorno di Natale e l’ha inviata per fax alla Digos, all’Ucigos e ai commissariati interessati, che sono quelli dove vivono i due ex terroristi dei Nar.

Per Francesca Mambro non si tratterebbe del primo permesso premio. Ne aveva già avuto uno a giugno dello scorso anno, tre giorni in tutto, che l’ex pasionaria nera trascorse nella casa di famiglia, insieme all’anziana madre e ai tre fratelli senza mai uscire per strada. Per Valerio Giusva Fioravanti, invece sarebbe davvero la prima volta, da quando la notte del 5 febbraio ’81 fu ferito e arrestato a Padova, sul ciglio di un canale, dove stava recuperando alcune armi che aveva nascosto sott’acqua. Lei fu arrestata qualche mese dopo, a Roma, al termine di una tentativo di rapina durante il quale rimase gravemente ferita. Stava cercando di mettere insieme i soldi per liberare Giusva, si disse all’epoca. Invece lo rivide in carcere, durante i processi. La loro unione continuò, diventò più solida, fino a portarli alla decisione di sposarsi. Che senso ha? gli chiesero. Lei rispose che era importante, in carcere, sapere che c’era qualcuno che pensava, agiva, parlava e viveva in sintonia assoluta con lei, anche se in mezzo c’erano le sbarre.

Poi, da marito e moglie, Fioravanti e Mambro cominciarono la stagione dei processi. Il delitto del giudice Amato, ucciso a Roma mentre aspettava l’autobus; l’agente Evangelisti, detto Serpico, sempre a Roma, davanti al liceo Giulio Cesare; il neofascista Ciccio Mangiameli, ucciso in Sicilia, per motivi ancora inspiegabili. E poi, accanto ai delitti che loro hanno ammesso, anche le accuse respinte con sdegno, come quella di aver piazzato la bomba alla stazione di Bologna, il 2 agosto ’80, e di aver ucciso così 85 persone. E poi gli omicidi Mattarella, Reina e Pecorelli, anche questi negati, con lucida freddezza da Fioravanti: «Non troverei disdicevole uccidere due democristiani e un giornalista - disse Fioravanti ad un processo nell’89 - se l’avessi fatto non me ne vergognerei perché per un terrorista politico è più che naturale. Semplicemente non mi è stato chiesto e non l’ho fatto».

Dopo quegli anni, arrivò per i due ex terroristi il periodo delle riflessione, dell’impegno sociale, della ricerca di una nuova identità, anche politica. La Mambro si è dedicata al teatro e al volontariato, all’interno del carcere. Fioravanti, più di recente, è tornato al cinema, che già gli aveva dato una certa popolarità quando aveva dieci anni, come piccolo protagonista di una fortunata serie televisiva. Dopo un quarto di secolo, Fioravanti ha scritto un film-documentario sul carcere, insieme al pittore-scrittore Pablo Echaurren e a Francesca D’Aloja che ne ha firmato la regia. Si chiama «Piccoli Ergastoli» ed è stato presentato all’ultima mostra del cinema di Venezia, nel settore «Eventi speciali».

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