di Aldo Comello
Lo strappo inferto al tessuto istituzionale dalle leggi emesse nella stagione del terrorismo, con il loro corredo di premialita', con la sospensione di garanzie costituzionalmente previste, e' una ferita ancora aperta.
Leggi di guerra, infine, nate sull'onda dell'allarme sociale, anticorpi in tempi di infezione delle idee, di scontro senza esclusione di colpi. Ora, a diversi lustri dai fatti, si colgono i segni di una volonta' di riappacificazione sempre piu' matura, pur se non mancano resistenze.
Il discorso di Scalfaro del 2 giugno da' spessore all'idea di un ritorno alla civilta' giuridica che si incarna nel disegno di legge sull'indulto che arrivera' all'attenzione della commissione della Camera il prossimo 18 luglio.
Radio Sherwood ha mandato in onda ieri una stimolante trasmissione a cui hanno partecipato Luigi Manconi, relatore della legge sull'indulto, il senatore Franco Corleone, sottosegretario alla Giustizia, l'onorevole Paolo Cento, il ministro agli Affari Sociali, Anna Finocchiaro, ma anche fuorusciti come Andrea Morelli e Oreste Scalzone.
In dieci anni furono 6000 le persone coinvolte per reati associativi o atti di violenza in procedimenti giudiziari.
Morelli ha ricordato come la legge classificasse arma da guerra una bottiglia molotov e non, per esempio, la 44 Magnum, ma soprattutto era la contaminazione tra idee presunte e fatti presunti che moltiplicava il peso delle pene inflitte: l'accusa di associazione sovversiva e banda armata, una volta collegata ad episodi di violenza comportava anche l'accusa di detenzione o uso di armi, a volte non individuate.
La diversita' di trattamento tra il delinquente comune ed il
politico risultava lampante e tutta a favore del primo.
Oggi sono circa 200 le persone ancora detenute per terrorismo e
l'iniziativa di indulto dovrebbe annullare l'eccesso di pena
previsto dalle leggi emergenziali a loro carico, provocandone la
liberazione o una forte riduzione degli anni da scontare.
Raggiungere questo risultato - come ha sottolineato Franco
Corleone - non e' facile: la legge sull'indulto deve essere
approvata dai due terzi dei componenti di entrambe le Camere sia
articolo per articolo che nella votazione finale. Cio' presume
un'ampia sensibilizzazione dell'opinione pubblica.
Non solo, questa iniziativa lascia "scoperti" coloro
che, a suo tempo, sono emigrati per sfuggire all'arresto e al
processo, circa 200 anch'essi, rifugiati soprattutto in Francia.
"Sono arrivato in Francia che avevo 35 anni - dice Morelli - ora ne ho 50, ho un lavoro, una famiglia. Dovevo scontare 4 anni di carcere, ne ho fatti 15 di esilio. Non e' questa una pena? E rientrare in patria per entrare in galera vorrebbe dire vedere tutto distrutto: la mia attivita', i miei affetti".
Un'amnistia, cancellando il reato, risolverebbe il tutto, ma a
tale iniziativa, caldeggiata per esempio da Paolo Cento, si
oppongono formidabili obiezioni di principio: c'e' il timore che,
con il reato, si cancelli anche la memoria.
Si osserva dallo studio di Radio Sherwood che, cosi', si svia il
significato della pena che diventa vendetta e non tramite di un
reinserimento nella societa'.
Scalzone afferma che la soluzione lasciata intravvedere dal
Capo dello Stato e condivisa dal ministro Flick e' un ibrido tra
l'indulto e la grazia. Un'invenzione che non puo' non provocare
pessimismo.
Del tutto infondata sembra anche a Scalzone l'equazione esilio =
pena: "Nessuno ha messo nelle mani dei fuorusciti la
conchiglia nera dell'ostracismo".
Scalzone si dice invece d'accordo con quanto sostiene il ministro
Finocchiaro: "Una riappacificazione graduale: alla legge
sull'indulto dovranno seguire iniziative che permettano il
rientro in patria dei fuorusciti".