La Repubblica - 03.08.97

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"Anche noi, ex terroristi vivremo sempre nel dolore"

di SILVANA MAZZOCCHI

ROMA - "Il dolore che abbiamo inflitto o il male che abbiamo fatto agli altri e a noi stessi non può essere riparato per legge. La sofferenza è dentro di noi e ci accompagnerà sempre". Anna Laura Braghetti, 44 anni, è l'ex carceriera di Aldo Moro. Era l' intestataria dell'appartamento di via Montalcini, dove nel '78 lo statista rimase 55 giorni, ostaggio delle Brigate rosse. All'epoca lei, (di giorno impiegata modello), guardava la sera dallo spioncino il prigioniero rinchiuso nella piccola cella ricavata nel soggiorno. Braghetti deve scontare l'ergastolo. Dopo diciassette anni di carcere, da qualche tempo è stata ammessa al lavoro esterno. Esce da Rebibbia di giorno e torna dietro le sbarre di notte, per dormire. Se l'indulto della discordia diventasse realtà, per lei il carcere a vita sarebbe ridotto a 21 anni e potrebbe subito tornare in libertà, affidata al servizio sociale.  

La incontro di mattina, nei pressi di Rebibbia, Anna Laura Braghetti. È andata a trovare la sua amica ed ex compagna di cella Francesca Mambro. Ieri era il due agosto, l'anniversario della strage di Bologna, il massacro attribuito alla ex ragazza dei Nar e a Valerio Fioravanti. Una strage di cui loro da sempre si dicono innocenti. Le polemiche sull'indulto non si placano, anzi... E proprio oggi a Bologna Violante ha rinnovato le sue critiche. Perché secondo lei? "Ogni volta che si riparla di indulto si dimentica che ci sono stati cinquemila giovani implicati in storie di terrorismo. Attualmente in carcere sono rimaste circa 220 persone, che hanno subito condanne aggravate dalle leggi dell'emergenza. Persone che intanto sono cambiate, che in buona parte sono rientrati nella vita civile, che lavorano, che fanno volontariato. Le polemiche nascono forse perché non si vuole dare una soluzione che tenga conto del grande dolore che ha attraversato il Paese. Una sofferenza che ha in sé una sorta di bipolarismo: il dolore delle vittime e dei loro familiari. E quello degli stessi autori di quelle azioni". 

Non crede che ci siano buone ragioni per considerare queste ferite ancora aperte?  "Sono convinta che il dolore bruci ancora. Vent'anni sono certamente pochi. Però mi sembra sia giusto ricordare che già da molto tempo lo Stato ha trovato soluzioni che hanno portato fuori dal carcere molte altre persone che avevano compiuto atti violenti...". 

Allude ai pentiti? "Sì, e anche ai dissociati. In carcere sono rimasti solo coloro che non hanno voluto usufruire di quei benefici che di fatto hanno azzerato anche le responsabilità. Sono quelli che hanno detto semplicemente: è vero, abbiamo sbagliato, abbiamo commesso un grave torto contro questa società. Ma ora tentiamo di capire perché è accaduto, parliamo, riflettiamo. Cerchiamo di tornare in un ambito dove si possa ridimensionare l'emergenza, accettare che venti anni di carcere possano costituire un primo passo per un reale ritorno nella società". 

Sull'indulto, dentro l'Ulivo, i popolari hanno votato contro perché sostengono che su quegli anni e sul caso Moro, non c'è ancora la verità. "Io penso che i responsabili di quelle azioni abbiano ormai ammesso le loro responsabilità. In modo diverso, in circostanze e momenti diversi. Ma ormai la verità sostanziale è stata ricostruita. Che poi possa mancare un altro pezzo di verità, quella che potrebbe venire dalla parte dello Stato, è un'altra questione". 

Tutto questo non spiega il ricorrente ripensamento sull'indulto. "Se dentro a questo ripensamento, c'è la ricerca di come migliorare questa legge che è delicata, allora è un bene. Io non ho mai creduto che l'indulto fosse facile da realizzare. Mi sembra piuttosto un po' uno specchietto per le allodole, per tastare il polso, per vedere che cosa è cambiato nelle coscienze, nel sentire e nel vivere". 

I familiari delle vittime chiedono rispetto. Che cosa può dire a quanti si sentono offesi dall'indulto? "Non penso che si possa dare giustizia attraverso una legge. Il dolore non può essere sanato né con il carcere, né con la libertà. Alla sofferenza non c'è rimedio. Non si può riparare allo strazio delle persone che hanno avuto vittime fra i loro cari per azioni nostre, mie e di molti altri. L'unica cosa è sperare che quanto è accaduto possa essere ripensato nella comprensione reciproca". 

Lei rivivrebbe la sua vita così come è stata? "No di certo, io non procurerei più dolore. Io dico sempre che ormai conosco bene quella parte di me che è stata capace di compiere atti violenti. E oggi io guardo a quella ex ragazza con molto distacco. Ormai sono una donna di 44 anni, è passato tanto tempo ed è passato tanto carcere... più di 17 anni...". 

L'indulto approvato in commissione giustizia della Camera le sembra una buona legge? "È come non mi riguardasse. Cerco di considerarla con distacco. Tutte le polemiche di questi giorni, i ripensamenti. Insomma, io credo proprio che non ce la farà ad andare in porto". 

Troppo presto? "Forse è troppo tardi. No... secondo me non ci saranno i due terzi del Parlamento disposti a votarla. Il numero di chi è rimasto in carcere per terrorismo non costituisce un problema così grande. In galera ci sono 500.000 detenuti, l'indulto riguarda 220 persone soltanto. E poi bisognerebbe ammettere che c'è stata una sovrapenalizzazione, le leggi dell'emergenza...".

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