La Repubblica - 03.08.97
Bologna, il giorno dell'ira
"Il governo dimentica le vittime". Violante e Veltroni: stop all'indulto
di MICHELE SMARGIASSI
BOLOGNA - "Prima le vittime". Al fischio delle locomotive sul primo binario della stazione di Bologna muore il progetto di indulto per i reati di terrorismo. Con gran stridor di freni il Pds scende dal treno del disegno di legge Manconi: di traverso, sui binari, c'è l'indignazione dei familiari delle vittime della strage più sanguinosa nella storia d'Italia, la bomba del 2 agosto 1980: 85 morti e 200 feriti. Ne fanno una questione simbolica, la prova di sincerità del governo dell'Ulivo (della quale già dubitano). E allora uno dopo l'altro Veltroni, Violante e Brutti dicono: prima i sentimenti e i diritti delle vittime. Che è come dire: stop, non è il momento di "contrattare coi terroristi né coi loro amici", dice brutalmente quest' ultimo, sottosegretario alla Difesa. Sembra un film d'archivio il palco della manifestazione per i diciassette anni dalla bomba.
È un sabato, come quel giorno maledetto. Un sabato di partenze per il mare. Ma Bologna ha prodotto ugualmente un incredibile corteo di migliaia di persone. Come alla moviola ecco, c'è un presidente dell'Associazione familiari delle vittime (non è più Torquato Secci, scomparso senza sapere tutta la verità, è Paolo Bolognesi) che attacca il governo con le parole più dure meditate in un altro anno immobile: "Abbiamo la sensazione che ci sia un accordo per tacitare le richieste di verità sulle stragi e sul terrorismo". Ma questa volta il governo è quello amico, dell'Ulivo. Non conta. Anzi, peggio: "Chi in passato aveva fatto dell' impegno per la verità un motivo d'orgoglio appare ora molto defilato e reticente". Durissimo. Applauditissimo. Al suo fianco, il presidente di quel governo, Romano Prodi, a braccia conserte, è come di pietra. Il vicepresidente, Walter Veltroni, fissa un punto dell'orizzonte. Il presidente della Camera, Luciano Violante, scalpita nervoso. Dirà, qualche minuto dopo: "Siamo tutti dalla stessa parte, camminiamo insieme, se ci dividiamo è un grande regalo agli stragisti". Ma Bolognesi non ha voglia di fare sconti ai ministri dell'Ulivo. Da quando i giornali hanno pubblicato, mesi fa, la foto di una stretta di mano tra il ministro della giustizia Flick e Francesca Mambro (condannata definitivamente per la strage assieme a Valerio Fioravanti) la parola con cui i familiari delle vittime di Bologna identificano il nuovo governo è "delusione".
Nel mirino finisce, segnato a dito da Bolognesi, per primo Giorgio Napolitano: "I ritardi del ministro dell'Interno nel punire i responsabili degli occultamenti e la riabilitazione degli stessi debbono far riflettere". L'allusione è al caso Ferrigno, il funzionario trovato in possesso di carte imbarazzanti sui depistaggi dei Servizi. Ma allora anche il governo di centro-sinistra vuole chiudere il libro degli anni di piombo senza scriverne in chiaro i capitoli: e così lascia strada all'"innocentismo più o meno romantico" che circonda Mambro e Fioravanti, se non addirittura ai nuovi depistaggi: "Il Sismi, influenzando il giudice istruttore di Milano Salvini, ha tentato di accreditare un falso alibi per i due condannati, e nessuno ha preso provvedimenti". Ma soprattutto è l'indulto, il "perdono" ai terroristi, che disgusta i parenti dei morti di Bologna. Anche se con loro non c' entra nulla (nel disegno di legge non rientrano i reati di strage). Anche se è cosa del parlamento e non del governo. "Gli anni di piombo si chiudono solo colpendo i mandanti e gli ispiratori politici delle stragi". Il timore, spiega più tardi Bolognesi all' assemblea dell'Associazione (partecipa anche Grazia Pradella, il giudice milanese che indaga su Piazza Fontana), è che gli stragisti vengano inclusi più tardi, passo passo, nel perdonismo avanzante. L'incubo: vedere Mambro e Fioravanti in libertà.
Con chi sta il governo dell'Ulivo? "Bologna è con i familiari delle vittime: ma anche il governo è qui", tenta di rimediare alla tensione ormai fortissima il sindaco di Bologna. Il governo c'è, ma non parla: il discorso ufficiale è affidato a Violante (accolto da un coretto di Bella ciao a cura di milianti di Rifondazione, che scelgono questa giornatina tranquilla per rinfacciargli certe sue opinioni sulla Resistenza). Il presidente della Camera non ha difficoltà a dar ragione ai familiari delle vittime: "Il rispetto per voi prima di ogni altra cosa. Poi, se c'è qualcosa da rivedere per i colpevoli, si può fare, ma dopo, in un secondo tempo". Adesso, no. Perché "si rischia di avviare contrattazioni e patteggiamenti con quelli che hanno tradito la libertà e la democrazia. Da nessuno dei quali, oltretutto, ho udito chiedere scusa al popolo italiano per ciò che hanno fatto". Grandi applausi.
L'indulto si allontana nel futuro remoto. Veltroni, più tardi, conferma parola per parola: "Bisogna partire dalle esigenze delle vittime di tutte le stragi. Rispetto a questo, il problema di superare le leggi d'emergenza è secondario". E difende il governo dai sospetti di compromessi con la memoria: "Per la prima volta c'è un governo che aiuta concretamente la ricerca della verità, gli esempi ci sono", allude a Ustica, "adesso lo sforzo è di rendere trasparenti i servizi segreti, la riforma aiuterà". E Prodi? Zero commenti. Bolognesi, un po' rinfrancato dalle durezze di Violante, lo avvicina davanti alla lapide coperta di fiori e gli tende la mano: "Però, presidente, l'anno prossimo deve esserci lei al microfono a spiegarci cosa avrete fatto". Prodi ricambia il saluto, ma continua a tacere. Alle telecamere solo un'affermazione secca: "La mia presenza qui non è solo un impegno per il futuro, è una testimonianza di cose già fatte. Quel che ci hanno chiesto le famiglie l'abbiamo fatto, se ci chiederanno altro lo faremo. Ma le promesse sono state mantenute". I familiari non hanno questa impressione, gli chiedono, ma il premier alza la mano in segno di "basta" e s'infila in auto per andare a ricevere Tony Blair.