La Repubblica - 06.08.97

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Nessun perdono ai terroristi tedeschi 

Misure umanitarie ma senza alcun cedimento sui principi  

di ANDREA TARQUINI   

VENT'ANNI dopo l'autunno del piombo, dunque, la Germania dice ancora no alla linea del perdono. Nella sua intervista al quotidiano della sinistra alternativa berlinese "Tageszeitung", il ministro della Giustizia Edzard Schmidt-Jorzig esclude nel modo più netto un'amnistia per i terroristi della "Rote Armee Fraktion" che si macchiarono di omicidio in nome della "lotta allo Stato imperialista" e dei loro deliranti sogni rivoluzionari.

E' una linea della fermezza che si distingue esplicitamente (lo dice Schmidt-Jorzig stesso) dalle ipotesi perdoniste italiane. E che appare tanto più solida in quanto, sostanzialmente, è espressione d'un consenso trasversale tra partiti e blocchi politici: la durezza di Bonn contro il terrorismo, che la maggioranza moderata di Helmut Kohl approva, fu inaugurata proprio vent'anni fa da un governo di sinistra, quello guidato da Helmut Schmidt. Pure, la scelta - nell'unico altro paese occidentale oltre all'Italia che dovette affrontare una sfida armata, a prescindere dai separatismi nordirlandese e basco - non è unanime. Ancora oggi è anzi segnata da dibattiti, scontri, "Todesspiel" (Gioco mortale), l'efficace telefilm sulle drammatiche settimane tra il rapimento del leader degli industriali, Hans-Martin Schleyer, il dirottamento del jet Lufthansa su Mogadiscio, il blitz delle "teste di cuoio" e il suicidio collettivo in carcere dei capi della Raf. Ma all'accusa implicita nella trasmissione - di aver sacrificato l'amico Schleyer alla ragion di Stato - il Grande Vecchio dell'eurosinistra Helmut Schmidt risponde difendendo senza riserve ogni sua decisione. E sottolinea: "Ancora oggi farei lo stesso. E se incontrassi un ex terrorista, mi rifiuterei di stringergli la mano". 

A Bonn insomma un crimine resta un crimine. Soprattutto, un omicidio resta un omicidio. L'argomentazione non è avanzata solo da vedove e orfani delle pur molte vittime del partito armato, ma dalla maggioranza dei politici. Pesa, certo, il rispetto verso chi vive soffrendo ancora per altre vite spezzate, ma pesa ancor più la ragion di Stato. Che sul Reno, per inciso, la sinistra ha fatto propria da più tempo e con più coerenza che non altrove: i socialdemocratici, anche all'opposizione, vi trovano un valore comune con gli avversari. Ma l'assenza di cedimenti dai principi non ha prodotto rigidità assoluta. Ha anzi consentito di introdurre un approccio più flessibile ai singoli casi di terroristi in prigione. Ci pensò cinque anni fa l'attuale capo della diplomazia Klaus Kinkel, quand'era responsabile della Giustizia, a introdurre una riforma che porta il suo nome e segnò una coraggiosa scelta dello Stato di diritto: vinta la sfida militare del terrorismo rosso, ridotta a fenomeno contenibile (le manifestazioni violente degli antinucleari o dei punk) la minaccia dell'ultrasinistra, la Repubblica federale si ritenne abbastanza forte da poter abrogare alcuni provvedimenti dell'emergenza, estendendo ai terroristi misure di clemenza che il suo sistema giuridico ipergarantista dal dopoguerra e reso ancor più liberale dall'onda del '68 applica ai detenuti comuni.  In sostanza, anche gli ex "guerriglieri" possono usufruire di sconti di pena per buona condotta una volta scontati i due terzi della condanna, o della grazia presidenziale.

Oggi infatti, mentre undici militanti della Raf sono ancora in carcere, dieci sono stati liberati perché scontata parte sufficiente della pena, e due graziati dal capo dello Stato. Il principio è chiaro: le leggi dello Stato di diritto devono valere, nella loro duttilità, anche per i suoi nemici o ex nemici. Ma non fino a voltare pagina con la clemenza dichiarata verso la sfida armata alla Costituzione. Clemenza che - proprio visto il passato tremendo della Germania - aprirebbe pericolosi precedenti e spazi a ogni estremismo.  

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