La Repubblica - 07.08.97
Sofri: vita da carcere tra droga e delazione
Un'anticipazione di "A doppia mandata", l'ultimo scritto dell'ex leader di Lc
HO APPENA trascorso in carcere cinque mesi. Non è molto. Non è poco. In un solo carcere. Ciò che dico però utilizza notizie su altri carceri, ricavate soprattutto da detenuti. I detenuti e il rispetto di sé. La degradazione della stima di sé e dell'interesse reciproco nei detenuti è molto forte, a paragone del vecchio carcere e dei suoi codici di valori, sia quello criminale, sia quello "politico". Questa caduta di dignità e di persuasione "morale" ha due ragioni principali: la droga e la delazione. La droga è la causa più o meno diretta per cui si trova in galera la maggior parte dei detenuti, italiani e stranieri. Ed è per antonomasia una ragione di irresponsabilità, di vittimismo e di autodistruzione, di disposizione furbesca e lamentosa a usare gli altri come strumenti. (...)
Tutta la struttura carceraria, e degli stessi apparati psicologico-sanitari, ammesso che si ponga il problema, tiene i tossicodipendenti in una condizione di infantile e ottusa sottomissione. Sovrabbondano i farmaci, di ogni genere e in ogni dose, che i detenuti spesso incrociano micidialmente con la birra o il detestabile vino che ci si può procurare in carcere. Questo alcolismo tumefatto e farmacologico è un enorme flagello. È tollerato, quando non incoraggiato. Le occasioni di lavoro interne al carcere sono così rare e ricercate che un cedimento al vino basta a farle perdere. Imminenza che fa invertire spesso la scena vera. Il detenuto beve e dunque non può lavorare affidabilmente. La verità è che fra le ragioni che spingono i detenuti a bere e anestetizzarsi c'è, oltre al dolore del vivere, l'impossibilità di trovare un lavoro o un'attività.
Ci sono, poi, a proposito della tossicodipendenza altri strani capovolgimenti di senso. Per esempio, è ormai rarissimo che qualcuno dica che i drogati devono stare in galera: non è più così di moda. (...) Aggiungo una constatazione ovvia, dal momento che ciò che avviene in galera riproduce quel che avviene fuori, con le deformazioni derivate dalla compressione e dalla mutilazione: con poche e residuali eccezioni, il disprezzo nei confronti della droga e del suo spaccio è scomparso. Non sono cose di cui vergognarsi - neanche lo spaccio più grosso. Nella scala dei valori, soprattutto dei ragazzi, tanto è crollata l'ignobiltà dello smercio di droga quanto è andata alle stelle l'ammirazione per il denaro guadagnato in fretta, e molto. È ovvio, ma è importante: perché in quella che si chiama crisi dei valori, la parte decisiva riguarda in realtà la crisi dei disvalori, delle cose di cui un tempo ci si vergognava, e non ci si vergogna più. Il primo valore a essere travolto è infatti la vergogna, che dall'antichità fino a poco fa era la causa di gran lunga più importante dei suicidi. E questa digressione ci porta diritto al secondo fattore dell' impoverimento umano del carcere, che è la delazione: inarrestabile quanto la droga, e a sua differenza libera di ogni proibizione, e anzi incitata e premiata. (...)
Incitamento e premio alla delazione non si esauriscono fuori dalle mura del carcere, ma continuano dentro. Come il paesaggio carcerario ne sia stato snaturato e stravolto, è difficile descrivere. I "pentiti", gli "infami" di un tempo, i delatori, sono così numerosi e abituali che, a parte pochi casi di clamore e con speciali protezioni, sono mescolati alla rinfusa con gli altri detenuti. Un tempo sarebbe stato impensabile: per ragioni "di principio", e materialissime. Oggi è pressoché impensabile il contrario. Sono in cella nella stessa sezione, escono alla stessa aria, detenuti condannati per una delazione e detenuti che hanno compiuto quella delazione. Questi ultimi andranno fuori di galera prima, e magari intanto avranno lavoro e altri favori. Lo stesso governo del carcere, già facilitato dalla caduta di solidarietà e dall'isolamento reciproco provocati dalla gara premiale della ex legge Gozzini, si fonda, senza tante ipocrisie, sull'impiego corrente della delazione. Non c'è bisogno di microspie, dove ci siano spie così a buon mercato. (...) L'omertà è un'ignobile legge di sopraffazione, intimidazione e avvilimento: ma le pensioni e l'onore resi alla delazione non sono migliori, e venendo dalle autorità legali, rischiano di essere peggiori.