La Repubblica - 13.08.97

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I colleghi di Calabresi "Processo Sofri da rivedere"

Articolo sulla rivista dei funzionari di polizia: "Si affermerebbe principio di civiltà"

nostro servizio

ROMA - "Il processo per la morte del commissario Calabresi può arrivare alla revisione". Lo sostiene, sul prossimo numero, la rivista Forze civili, organo ufficiale dell'Associazione nazionale funzionari di polizia con un articolo del segretario nazionale Giovanni Aliquò. "Calabresi, come Pinelli - scrive Aliquò - prima ancora che protagonisti di una tragedia che altri hanno voluto portare in scena, erano uomini. Il dolore delle loro famiglie (pochi se lo ricordano, ma anche l'"anarchico" aveva una moglie e due figlie in tenera età) come quello dei familiari di tutte le altre vittime di quel periodo lungo ed oscuro della storia dell'Italia repubblicana, dovrebbe spingerci a pretendere la verità storica, oltre che quella giudiziaria, sugli anni della "strategia della tensione". Il sistema che, eliminate le garanzie di difesa, ha trasformato un commissario di P.S. e un anarchico in agnelli sacrificali da immolare sull'altare di una giustizia deviata - in quanto fondata su assiomatiche e inaccettabili generalizzazioni - quali: i commissari sono necessariamente servi del potere e gli anarchici sono, per antonomasia, bombaroli. Sono generalizzazioni che hanno precise radici che è bene individuare per evitare che errori tragici possano riprodursi in futuro". 

"Quanto a Sofri, Bompressi e Pietrostefani - continua il segretario dell'associazione - sappiamo che, a breve, potremo trovare in libreria il testo della sentenza che li ha condannati. Fino ad ora, delle motivazioni, conosciamo solo gli stralci che sono stati pubblicati in allegato alle note di critica. Molti e importanti personaggi del mondo della cultura e del diritto, non necessariamente "vicini" ai condannati, hanno criticato duramente la sentenza sul "caso Calabresi", ritenendo del tutto insufficienti (se non addirittura contradditorie) le motivazioni sulla quale essa si sorregge. L'opinione pubblica è stata coinvolta in un ampio dibattito nel quale, da una parte e dall'altra, sovente si sono utilizzati argomenti poco razionali per sostenere le rispettive tesi. Alle "simpatie" di chi è vicino ai tre per la pregressa militanza politica si sono contrapposte le "antipatie" di chi li ritiene solo i coccolati esponenti di una lobby ben radicata nel mondo politico e in quello dell'informazione per i quali, al momento della condanna, è scattata la solidarietà di casta".  

Conclude Aliquò: "Personalmente ho molto apprezzato il fatto che Sofri, Bompressi e Pietrostefani, invece di imitare i più noti ladri di Stato, subito dopo la pesante condanna si sono regolarmente costituiti. Il problema, tuttavia, non è registrare e misurare le passioni che le figure o le vicende dei condannati riescono a suscitarci, ma valutare se essi siano stati riconosciuti colpevoli sulla base di prove sufficienti e di ragionamenti validi. La questione è aperta. Riconoscere sulla base di una minuziosa analisi critica e di ogni nuovo elemento, che si può arrivare alla revisione del processo non significa certo delegittimare la magistratura, disconoscere il ruolo dei pentiti e, men che mai, ammettere a priori che i tre condannati siano innocenti. Si stabilirebbero solo i confini inviolabili oltre i quali la teratalogia giudiziaria non può spingersi. Si affermerebbe, in altre parole, un consolidato principio di civiltà: nessuno può essere privato del diritto alla libertà se non sulla base di una sentenza la cui motivazione possa effettivamente sostenere il vaglio della ragione". 

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