La Repubblica - 24.10.97
Folena: "Ecco perché non merita il carcere"
Il responsabile Pds della giustizia: "Sofri protagonista di battaglie di solidarietà"
ROMA (g.d'a.) - Curiosa la situazione di Pietro Folena, responsabile del Pds per i problemi della giustizia. E' convinto dell'innocenza di Adriano Sofri, Ovidio Bompressi e Giorgio Pietrostefani, ma non crede che gli argomenti dispiegati dal "generoso movimento di solidarietà" che chiede per i tre detenuti la grazia siano buoni, giusti, efficaci. E' convinto che Sofri non c' entri nulla con la morte di Calabresi, ma non riesce a parlare di Sofri senza ricordare Calabresi. Ne vuole parlare, onorevole Folena?
"Parlo, ma voglio fare un premessa...". Vada per la premessa. "Io credo che Sofri, Bompressi e Pietrostefani siano estranei all'assassinio del commissario Luigi Calabresi".
Infatti ha firmato l'appello che chiede a Scalfaro di mettere riparo alla sentenza definitiva di condanna. Quindi anche lei è d'accordo - come molti altri - che ci siano le condizioni per concedere la grazia?
"Anch'io credo che quelle condizioni ci sono, ma non credo che si possa chiedere la grazia sulla base di un intimo convincimento di innocenza degli imputati. Altrimenti avrebbe ragione il ministro Flick".
Flick sostiene che la grazia non può diventare un quarto grado di giudizio che annulla i precedenti. Lei è d'accordo?
"Non si può non essere d'accordo. Non si può attribuire alla richiesta di grazia l'improprio significato di un quarto grado di giudizio, che poi nel "caso Sofri" sarebbe addirittura l'ottavo. Il punto della "questione Sofri" non è questo".
E qual è, allora?
"Io credo che la grazia possa essere chiesta anche da chi ha dei dubbi o addirittura è convinto della colpevolezza di Sofri, Bompressi e Pietrostefani".
Sofri, Bompressi e Pietrostefani possono essere anche colpevoli, ma - tuttavia - vanno graziati. Per quale motivo, allora graziarli?
"Perché oggi i principi della Costituzione e le leggi ordinarie attribuiscono alla detenzione non una funzione punitiva, ma una necessità di difesa sociale e obiettivi di rieducazione e recupero. Vivaddio, siamo il Paese di Beccaria e non, come gli Usa, della legge del taglione. Se affrontiamo la questione da questo punto di vista, ci sono ragioni eloquenti per concedere a Sofri, Bompressi e Pietrostefani la grazia".
Ce le spieghi, per favore.
"Adriano Sofri, ad esempio, è stato nel corso di questi decenni impegnato contro la mafia, è stato il protagonista di iniziative culturali di altissimo livello: penso alla sua collaborazione con la casa editrice Sellerio, prima e dopo la morte di Leonardo Sciascia. In questi ultimi anni è stato un vero e proprio ambasciatore di pace e di non-violenza in Bosnia e in Cecenia. Con Pietrostefani e Bompressi - impegnato, il primo, nel recupero dei tossicodipendenti; il secondo nelle organizzazioni umanitarie - ha dimostrato di non essere socialmente pericoloso e di essere, se colpevole - e ripeto io non lo credo - riabilitato".
Si fa spesso un'obiezione a chi vuole vedere libero Sofri. Questa: mai, in questi anni, egli ha preso le distanze dalla campagna politica che precedette l'assassinio del commissario Calabresi.
"Questo non è vero. Sofri, come nessun altro, è stato uno dei protagonisti della riflessione critica sull'ideologia dell'intolleranza e della violenza di una certa sinistra italiana degli Anni Settanta. Ho qui il suo libro Memoria. E' vecchio di sette anni. Leggo a pagina 114. Sofri scrive. "Io avevo allora 27 anni. Ero inesperto, ignorante, esitante... La nostra campagna contro Calabresi diventò una persecuzione, un linciaggio, un'agonia distillata. Furono scritte cose truci e feroci (non fui io a scriverne ancora, ma questa conta poco). Qualcuno lo disse già allora. Elsa Morante lo pensò senza esitazioni". Ecco cosa scriveva Sofri quando ancora si era lontani dalla condanna definitiva. E tuttavia la riflessione di Sofri non può farci dimenticare il sacrificio di Luigi Calabresi".
Tra le storie di Sofri e Calabresi c'è sempre in mezzo, dimenticata, la morte di Pinelli, venuto giù da un balcone della questura di Milano.
"Ho riletto in questi giorni gli atti giudiziari dell'inchiesta condotta dal giudice Gerardo D' Ambrosio e pubblicati proprio da Sellerio a cura di Adriano Sofri. Io non credo né alla tesi dell' omicidio né a quella del suicidio. Io credo che Pinelli, dopo tre giorni di torture psicologiche non edificanti, si sia sentito male e sia caduto. In questa tragedia non va dimenticato Pinelli, ma nemmeno Luigi Calabresi. Non ci sto a dimenticarlo".
Dimenticato?
"Sì, colpevolmente dimenticato. A Luigi Calabresi il Paese deve rendere omaggio come merita un servitore dello Stato di grande sensibilità sociale, un uomo coraggioso e leale".
Lei pensa che la signora Capra Calabresi possa svolgere un ruolo in una vicenda che rischia - con l'annunciato sciopero della fame a oltranza - di diventare un nuova tragedia?
"Io mi auguro di sì. Io credo che la signora Capra e i suoi figli possano contribuire a un dialogo che riesca a superare muri oggi insensati. La signora può aiutare la nuova classe
dirigente a trovare un messaggio di fiducia e di speranza, a spingere la nostra società a fare un passo avanti sulla strada della tolleranza".
La vicenda Sofri ha sul piatto non soltanto la vicenda giudiziaria ma, con lo sciopero della fame in corso nei penitenziari d' Italia, anche le condizioni di vita dei 50mila detenuti.
"E infatti io penso che la grazia a Sofri contestualmente, anche se non contemporaneamente, possa farci affrontare altre due importanti questioni. La prima è, appunto, la vita nelle nostre carceri. Anche un colpevole ha diritto a una civile condizione di vita mentre oggi quelle condizioni sono drammatiche e su di esse pesano l'impossibilità di ospitare in circuiti differenziati i detenuti comuni e quelli più pericolosi della criminalità organizzata".
Qual è la seconda questione?
"Senza fare impropri collegamenti, chiudere gli "anni di piombo" vuol dire innanzi tutto riconoscere, alle vittime e alle loro famiglie, diritti non riconosciuti negli ultimi 25 anni".
Pensa a un risarcimento economico?
"Non soltanto a quello, ma anche a un risarcimento solenne, formale, istituzionale alla loro memoria".
E per i detenuti?
"Penso a un riequilibrio tecnico della pena per chi ha ucciso. Oggi in carcere ci sono ragazzi e ragazze degli Anni Settanta. A loro, dopo quindici o diciotto anni di detenzione va riconosciuta - ora che hanno i capelli bianchi - la possibilità di essere accolti di nuovo dalla società".