La Repubblica - 27.12.1997
Scalfaro grazia sei terroristi
E riparte la polemica sull'indulto e il "caso Sofri"
di GIORGIO BATTISTINI
ROMA - Scalfaro libera sei terroristi. Graziati. Pena cancellata. Un segnale al Parlamento perché si muova sull'indulto?
E' la prima volta in cinque anni e mezzo, da quand'è presidente della Repubblica. La prima volta che il capo dello Stato toglie dal carcere sei condannati, usando il potere di clemenza. Singoli episodi di grazia del passato avevano rimosso solo pene accessorie alla condanna. Tutti i detenuti (cinque d'estrema sinistra uno d'estrema destra) erano in semilibertà o libertà condizionale. Si tratta di Giovanni Di Lellio, Claudio Cerica, Manuela Villimburgo, Carlo Giommi, Paola Maturi, Marinella Ventura. Nessuno condannato per fatti di sangue. Erano colpevoli di reati collaterali, favoreggiamento, fiancheggiamento.
Il presidente l'ha voluto come gesto largamente simbolico, quasi natalizio: la grazia, anche se la notizia è arrivata ieri, è stata firmata il 22 dicembre. Mano lieve, spirito umanitario. Perfino sottilmente allusivo verso l'altro "grande passo" che lo stesso Scalfaro privatamente si augura ma pubblicamente non caldeggia perché appartiene all'autonomia del Parlamento: l'indulto. Pensata e preparata a via Arenula, sede del ministero della Giustizia, in stretto collegamento col Quirinale (la materia è sotto la responsabilità del consigliere giuridico, Salvatore Sechi), la grazia ai sei terroristi si carica d'attese per un altro provvedimento che molti chiedono, una legge per Sofri.
Perché adesso? Le istituzioni hanno spesso il metabolismo lento. Di grazia Scalfaro parlò la prima volta due anni fa, celebrando a Montecitorio il cinquantesimo anniversario della Repubblica. "Col passare degli anni il delitto non muta né nome né sostanza", disse, "e la giustizia verso le vittime e chi ha sofferto e soffre merita rispetto". Lo Stato democratico "se vuol essere ricco d'umanità non può fermarsi a cercare una via che non abbia i caratteri della generalità", ma deve valutare "con intensa cura le singole situazioni" cercando di "tutelare quei diritti senza mai spegnere le speranze". In bilico tra giustizia e umanità, questa la bussola del Quirinale. In questo sottile crinale Scalfaro s'è mosso nel valutare i casi che il governo gli ha sottoposto, pescando i casi più lievi tra gli oltre 200 terroristi che ancora non hanno finito di saldare il loro debito con la giustizia.
Primo criterio di selezione, l'assenza dei condannati per fatti di sangue. C'erano altre coordinate. Quelle esposte a fine ottobre dallo stesso presidente, in una lettera ai presidenti delle due Camere Mancino e Violante, per motivare il suo no alla grazia per Sofri. Spiegò che non poteva intervenire perché un atto di clemenza "a breve distanza dalla sentenza definitiva di condanna" sarebbe sembrato una "valutazione opposta a quella del magistrato", col rischio d'un "evidente conflitto tra i poteri". La grazia, se pensata per "più persone sulla base di criteri generali predeterminati", costituisce "di fatto un indulto improprio, invadendo illecitamente la competenza che la Costituzione riserva al Parlamento" (quindi improponibile per Sofri, Bompressi e Pietrostefani). Diventa invece accettabile "per un numero del tutto limitato di situazioni prettamente individuali, ciascuna con caratteristiche singole e peculiari".
Ecco, è il caso dei sei ex terroristi d'opposto colore, sei storie diverse nella zona grigia dell'eversione. Per loro, aveva annunciato due mesi fa il presidente tra le righe di quella lettera, "ho già chiesto al governo sollecitudine nelle attività istruttorie". Ricordando le tre condizioni di fondo cui i graziati devono corrispondere. E cioè: la "pena ha anche carattere afflittivo, non solo di recupero sociale"; il "delitto non muta col passare del tempo"; le "sofferenze delle vittime non vanno dimenticate".
Ora che il ghiaccio è rotto (curiosamente a pochi giorni dalla vampata di parole sull'amnistia per Tangentopoli), riemerge la polemica sul versante giudiziario della politica, a cavallo tra storia e voglia di rimozione. Due i versanti interpretativi. La grazia anticipa e favorisce l'indulto; la grazia aiuta Sofri e amici. In questo senso Giovanni Pellegrino, presidente della commissione Stragi: "Una grazia nei loro confronti farebbe da riequilibrio. L'effetto non andrebbe al di là della conclusione del processo se ai tre imputati fossero state concesse le attenuanti che meritavano". "Forse si parte da lontano per arrivare a Sofri", azzarda anche Tiziana Parenti. "Ma no", nega il portavoce dei Verdi Manconi: "il passo vero è la legge sull'indulto".
E questa lettura sembra prevalere. "Mi auguro che la grazia di Scalfaro induca il Parlamento ad assumersi la propria responsabilità approvando la proposta di legge sull'indulto", dice il verde Marco Boato, relatore per la giustizia alla Bicamerale. "Un incoraggiamento alla classe politica" perché si muova sull'indulto, concorda il vicepresidente dell'Antimafia, Niki Vendola. "E' matura, stabilisce un equilibrio per un ampio numero di persone", ripete il pidiessino Siniscalchi. E i popolari, da subito, sono favorevoli a un indulto che riguarda solo i non responsabili di fatti di sangue o i colpiti dalle leggi speciali sul terrorismo. "Per loro si può fare", annuncia Sergio Mattarella. Prefigurando già una maggioranza parlamentare. "Un buon avvio, una spinta al Parlamento", ammette Antigone, l'associazione umanitaria che si occupa di ex terroristi.