La Stampa - 02 luglio 1997
LE DUE AMNISTIE
di Gad Lerner
Tony Negri non certo personaggio che possa risultare simpatico: vent'anni fa esortava il proletariato giovanile a "calarsi il passamontagna sul viso" per dare luogo a espropri e ronde, indirizzate magari contro i suoi stessi colleghi di Senato accademico. In lui si combinavano erudizione e vitalismo, intuizioni sociologiche e fantasie cruente. Arrestato nel '79, scontò - non dimentichiamocelo - quattro anni e mezzo nei reparti speciali delle supercarceri di quell'epoca, prima di profittarsi dell’elezione a deputato radicale per fuggire in Francia, accompagnato dalle maledizioni di tanti suoi elettori traditi.
Eppure oggi non solo gli dobbiamo il rispetto che merita qualunque uomo alle cui spalle si chiuda la porta di una cella. Ci tocca pure ammettere come dalla resa di questo professore superbo possa avviarsi il decorso, impopolare ma ineludibile, che qui potremmo definire delle due amnistie: per gli anni di piombo, innanzitutto, e poi anche per Tangentopoli. Mi rendo conto che anche solo l'evocazione di una tale doppia ipotesi suscita clamorosi boati di disapprovazione. Ma ciò non basta a chiudere il discorso, perché vi sono ragioni oggettive che insistono nel riproporre una "soluzione politica" là dove vicende politico-criminali di notevole rilievo (quali, per l'appunto, gli anni del terrorismo e gli anni della corruzione) non possono essere risolte con una pura e semplice soluzione giuridica.
Solo per comodità parliamo qui delle due amnistie, poiché esistono come è noto vari altri strumenti giuridici appropriati quali l'indulto, il patteggiamento allargato, provvedimenti di grazia mirati, che possono essere calibrati dal Parlamento, dal governo, dal Presidente della Repubblica, allo scopo di meglio suturare le ferite del tessuto sociale là dove l'amministrazione ordinaria della Giustizia non è in grado di farvi fronte da sola.
Ma che cosa lega, dunque, vicende diversissime tra loro come quella che tanti lutti costò all'Italia tra gli Anni Settanta e gli Ottanta e lo scoperchiamento dell'improprio rapporto politica-economia che ha prodotto il crollo della Prima Repubblica? In entrambi i casi è accaduto che un comportamento illegale assumesse le dimensioni di fenomeno sociale diffuso. Ciò che naturalmente non assolve chi si è macchiato di reati più o meno gravi, ma - come vedremo - rende impensabile che il ripristino della normalità possa equamente realizzarsi solo applicando il codice penale. Il paradosso è che non ritorna alla normalità con strumenti normali. Riconosciuto un tratto comune alle due patologie sociali, è poi facile indicarne le differenze: la prima ha coinvolto spezzoni di movimento giovanile (per lo più studenti e operai) orientati all'estrema sinistra e all'estrema destra; la seconda invece chiama in causa settori politici, economici, istituzionali della nostra classe dirigente.
Nel primo caso si tratta di riequilibrare l'eccezionale severità (regolata da apposite leggi "speciali") con cui lo Stato ha perseguito la sconfitta dei movimenti eversivi e punito alcune migliaia di loro aderenti, 225 dei quali sono tuttora detenuti.
Nel caso di Tangentopoli la situazione si presenta come rovesciata: l'obbligatorietà dell'azione penale ha portato la magistratura a mettere sotto inchiesta un sistema talmente vasto e ramificato da rendere impensabile il suo esame in tempi ragionevoli. Già le inchieste e i processi hanno dato il loro contributo di fatto a un parziale ricambio di classe dirigente, inducendo al ritiro molti indagati, producendo dimissioni e mancate ricandidature di altri. Ma il futuro delle indagini è sballottato tra rivelazioni casuali e condizionamenti politici. Del resto è giusto chiedersi se abbia senso proseguire giudiziariamente quel ricambio di classi dirigenti che per via fisiologica non si è prodotto. La parzialità di tale ricambio non dipenderà anche da mancanza di alternative?
Se nel caso del terrorismo si tratta dunque di ridimensionare condanne di molto più elevate rispetto a quelle comminate per reati analoghi a detenuti non politici, l'emergenza Tangentopoli rischia di chiudersi con l'esito opposto. Questo è il punto. In assenza di una soluzione politica (corredata di quelle leggi anti-corruzione che ancora tardano a essere approvate), i partiti, il Parlamento, il governo tenderanno inevitabilmente ad assumere provvedimenti di neutralizzazione della magistratura. Saranno portati a imbavagliarla perché non si è trovata un'alternativa per chi ha operato nel mercato e nelle istituzioni. Non a caso l'opportunità di una soluzione politica è avvertita soprattutto tra i magistrati più efficienti e vigili.
Si tratta, ripetiamolo, di iniziative molto impopolari perché paiono privilegiare terroristi e corrotti, quando invece favoriscono nel tempo la cura dei danni inferti da costoro alla società. Dopo che lo stesso Toni Negri ha invocato l'approvazione di un indulto, abbiamo sentito risuonare l'obiezione: è troppo presto, le ferite sono ancora fresche. Figuriamoci poi nel caso di Tangentopoli, vicenda dei nostri Anni Novanta. Ma non sempre il tempo lenisce il trauma dei parenti delle vittime e dei "derubati". Non paia banale se citiamo ancora una volta l'amnistia per i fascisti emanata il 22 giugno 1946 dal guardasigilli Palmiro Togliatti, a quattordici mesi dalla fine della guerra civile. Senza consultazioni precedenti della propria base, che si sarebbe di sicuro ribellata.
Sappiamo bene che sotteso all'accordo raggiunto in Bicamerale tra D'Alema, Berlusconi, Fini e Marini, molti sospettano vi sia un mercato improprio riguardante le telecomunicazioni e la giustizia. Ma non è detto che dal ritrovato "comune sentire", da un nuovo quadro di regole condivise debba necessariamente spuntare il famigerato colpo di spugna. Forse potrà derivarne la forza, per la classe politica, di assumersi quella responsabilità d'iniziativa nei campi delle leggi d'emergenza e dei rapporti politica-affari che da anni le manca. Talvolta una politica forte deve saper decidere anche contro l'opinione pubblica, ma per farlo deve collocarsi al di sopra di ogni sospetto. In Italia quel giorno non è ancora venuto, lo sappiamo bene. Ma perfino il ritorno del latitante Toni Negri può costituire un interessante banco di prova.