La Stampa - 04 luglio 1997

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CHIUDERE TUTTI I CAPITOLI

di Sergio Romano

QUALCUNO potrebbe sostenere che la doppia ipotesi evocata da Gad Lemer su questo giornale - due amnistie, una per i terroristi, l'altra per i corrotti e i corruttori - configura una specie di "pacchetto" politico. Qualcuno potrebbe osservare, maliziosamente, che le amnistie sono più facilmente accettabili quando tengono conto di esigenze contrastanti e soddisfano diversi settori dell'opinione nazionale. In altre parole, con due amnistie, adottate contemporaneamente, gli italiani si perdonerebbero a vicenda i loro peccati di destra e di sinistra. Non è cosi che funzionano da sempre le società cattoliche? Anche se questo fosse lo spirito con cui Lerner ha gettato il suo sasso - e credo che le sue intenzioni fossero diverse - non ne sarei sorpreso o scandalizzato. Ma credo che un Paese serio debba rifiutare, nel momento in cui decide di chiudere un capitolo della propria storia, i falsi parallelismi. Le due amnistie, se mai verranno adottate, rispondono a logiche diverse. Se vogliamo farne un pacchetto cerchiamo almeno di dire a noi stessi con chiarezza le diverse ragioni per cui esse sono opportune. Quella per i reati di Tangentopoli appare a prima vista prematura. Se il primo requisito di un'amnistia è la fine di un particolare fenomeno criminale, non si vede perché il Parlamento debba improvvisamente cancellare reati che vengono continuamente commessi e non smettono di falsare le regole del gioco della democrazia italiana. In una società tradizionalmente incline ad arrangiarsi e ad assolversi l'amnistia verrà inevitabilmente interpretata come l'equivalente di una condono edilizio o fiscale.

Non sarà la fine di un capitolo, ma un tacito incoraggiamento ai corrotti e corruttori di domani. L'amnistia per Tangentopoli ha un senso ed è opportuna soltanto se muove dalla constatazione che nessuna magistratura - meno che mai quella del nostro Paese - potrà mai punire tutti i responsabili di un fenomeno che ha coinvolto per molti anni, in misura diversa, una larga parte della società italiana. Se obbedissi ai miei istinti sosterrei che il provvedimento, in questo caso, è assurdo. Lo accetto e lo comprendo soltanto perché la prosecuzione delle indagini e dei processi farà proporzionalmente danni maggiori di quanti non possa farne un atto di clemenza. In un Paese di corruzione diffusa, dove la magistratura procede con faticosa lentezza e l'esercizio dellazione penale è sostanzialmente discrezionale, i processi e le sentenze sono una sorta di decimazione o, peggio ancora, uno strumento di lotta politica. Non è giusto che alcune Regioni siano "innocenti" e che alcuni settori della vita politica o dell'economia nazionale vengano trascurati o dimenticati. Occorrono regole nuove per prevenire o reprimere con maggiore efficacia. Ma occorre soprattutto mettere fine al clima di lotteria giudiziaria in cui abbiamo vissuto durante gli ultimi cinque anni. Il problema del terrorismo è alquanto diverso. In questo caso l'amnistia mi sembra giustificata da due considerazioni. In primo luogo il fenomeno appartiene al passato e non minaccia più la salute della Repubblica. In secondo luogo esso è il risultato di una responsabilità diffusa che coinvolge direttamente o indirettamente i responsabili, i loro persuasori espliciti o occulti, il clima morale e intellettuale del Paese. Vi sono circostanze in cui il criterio della responsabilità individuale - chiave di volta e fondamento di ogni processo giudiziario - si dimostra, di fatto, insufficiente o illusorio. Chi è maggiormente responsabile di un assassinio politico? Il giovane che ha sparato? L'intellettuale che gli ha suggerito di ricorrere alla violenza? Il servizio segreto che ha cercato di "gestire" la vicenda per trarne qualche vantaggio? Il testimone che non ha parlato per paura o complicità? Il partito politico o il sindacato che hanno chiuso un occhio per evitare ricadute negative? Sono in prigione, generalmente, gli "esecutori materiali". Sono liberi, con poche eccezioni, i persuasori occulti e gli intellettuali fiancheggiatori. L'amnistia non sarebbe certamente un provvedimento di giustizia. Ma sarebbe probabilmente, in una fase in cui il terrorismo non è più una minaccia per il Paese, un provvedimento di minore ingiustizia.

A una condizione, tuttavia: che la misura invocata per i terroristi concerna anche i reati della seconda guerra mondiale. Se è assurdo processare i partigiani di via Rasella, è altrettanto assurdo processare - due volte - un vecchio fantasma di nome Priebke. Anche Priebke, come i terroristi, è soltanto un "esecutore materiale". Quando si decide di chiudere un capitolo occorre farlo senza riserve mentali e senza doppie misure. Soltanto così l'amnistia può seppellire i morti e diventare un fattore di pacificazione nazionale.

 

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