Corriere della Sera - 07.03.98

WB01343_.gif (599 bytes)


L'INTERVISTA / Enrico Rovelli, ex manager di Patty Pravo e Vasco Rossi, racconta: negli anni '70 venni costretto a collaborare con gli 007

«Io, anarchico e re del rock, informavo i servizi»

«Diedi al commissario Calabresi la foto di Bertoli, l'uomo della strage del '73»

Mario Luzzatto Fegiz

MILANO - Questa è la strana storia di un uomo dai due volti: impresario rock di grande successo, fondatore di locali come il Rolling Stone e il City Square di Milano, manager di personaggi come Patty Pravo e Vasco Rossi da un lato; e dall'altro anarchico fervente trovatosi negli anni della strategia della tensione, dalla bomba di Piazza Fontana del 1969 fino al 1974 nell'imbarazzante ruolo di informatore dei servizi segreti con il nome in codice di «Anna Bolena». Sospetti sul ruolo di Rovelli sono nati già nel 1974 ma hanno ripreso vigore alcuni mesi fa, quando dall'«ufficio parallelo» del Viminale è saltata fuori una serie di informative che fanno riferimento ad «Anna Bolena» collegando questa fonte alla persona di Enrico Rovelli. Una velina in particolare indicherebbe in Dario Fo il capo delle Brigate Rosse, subentrato al defunto Giangiacomo Feltrinelli trovato morto sotto il traliccio di Segrate. Pochi giorni fa Vasco Rossi, su sollecitazione proprio di Dario Fo, decide di sospendere il rapporto d'affari col suo manager Enrico Rovelli, che si era sempre rifiutato di commentare queste notizie. Ora Rovelli ha deciso di rompere il silenzio. Con questa intervista.

«Non ho mai tradito nessun compagno, o meglio solo una volta ne ho accusato uno perché non riuscivo a resistere alle pressioni e ai ricatti, prima quelli del commissario Luigi Calabresi e poi quelli del vicecapo dell'Ufficio Affari Riservati del Viminale Silvano Russomanno e del suo agente, l'ispettore Alduzzi. Sono stato costretto a incontrare il commissario Calabresi ogni mese fino alla sua morte, per le ragioni che spiegherò. Ho sempre evitato, nel corso di questi incontri, di passare qualsiasi notizia sul circolo anarchico Ponte della Ghisolfa dov'ero entrato all'età di 17 anni. Non ho mai conosciuto Dario Fo (noi eravamo assolutamente lontani dall'area dei comunisti) e sono convinto che il mio nome sia stato usato in molte occasioni dai Servizi per dare credibilità alle informazioni più svariate. Vi posso dire una cosa: tutto quel che vedete al cinema sui servizi segreti, sui loro arbitr-i, sulle loro prepotenze, sulla loro mancanza di scrupoli, è assolutamente vero».

Enrico Rovelli nasce a Erba il 18 marzo 1944. Il padre, operaio alla Citroën, muore quando Enrico ha 15 anni. La madre, Maria Colzani, è sarta alla Scala. A 17 anni è conquistato dagli ideali anarchici. Si iscrive al circolo di Ponte della Ghisolfa, dove conosce «Pino», Giuseppe Pinelli, l'anarchico precipitato da una finestra della questura dopo la strage di Piazza Fontana; Piero Valpreda («ma lui era un po' un cane sciolto») e altri. Viene fermato nell'agosto del 1969 nelle indagini su un attentato avvenuto alla Fiera. Nel 1970 chiede una licenza per aprire una discoteca a Bollate, chiamata «Carta vetrata».

«È l'inizio della mia odissea. All'ufficio licenze mi trovo di fronte il commissario Luigi Calabresi che avevo già incontrato per le autorizzazioni alle manifestazioni del circolo anarchico. Calabresi mi dice che concedere la licenza è impossibile, ma promette di aiutarmi. Qualche tempo dopo mi telefonano dalla questura: la sua licenza è pronta. E all'uffico autorizzazioni ritrovo Calabresi. La licenza c'è, ma per un mese. Il commissario mi chiede di dare notizie sul circolo anarchico. Io cerco di schermirmi, dico che è un normale circolo che fa normali attività. Lui era una persona intelligente. Poliziotto, ma brillante. E ogni mese, al momento del rinnovo della licenza del locale, mi martellava di domande. Io ero evasivo. Finché un giorno, alcuni mesi dopo, vengo avvicinato da un uomo dei servizi segreti, l'ispettore Alduzzi. Che mi presenta successivamente il suo gran capo, nome in codice "Il professore" (più tardi scoprirò dalla foto sui giornali che si trattava di Russomanno). Il "professore" mi fa dei discorsi da furbino, fra la lusinga e la minaccia. Mi "consiglia" in sostanza di non dare notizie a Milano, ma darle a loro di Roma. Periodicamente Alduzzi veniva nel locale, ma in sostanza tornava a mani vuote. Però sembrava contento. Secondo me, a loro interessava poter dire "in alto" che avevano un infiltrato fra gli anarchici di Milano. Calabresi era più intelligente: un giorno mi mise alle strette e feci una delazione, su un compagno, a proposito di una foto falsa su un passaporto. Lui poi se la cavò. Questo rapporto perverso finì nel 1974. Io non davo più notizie e la licenza del locale mi venne tolta con il pretesto che davanti al locale fumavano spinelli».

Nel circolo avevate un'idea di chi poteva avere messo la bomba di Piazza Fontana?

«No, però Valpreda aveva un sosia, che cercava sempre di frequentare il circolo, Nino Sottosanti, detto Nino il fascista. Questa pista non venne mai presa in considerazione dagli inquirenti».

Lei parla del «compagno» che Calabresi la costrinse a denunciare. Quello della foto su un passaporto. Era per caso Gianfranco Bertoli, colui che lanciò la bomba nel 1973 in via Fatebenefratelli, che da sempre i magistrati considerano un infiltrato dei servizi segreti?

«No, io misi nei guai un compagno del circolo che molto tempo dopo fu prosciolto. Io non potevo sapere che quella foto era di Bertoli, strano personaggio che non ho mai conosciuto. La verità emerse quando Calabresi era già morto».

Ma cosa succedeva esattamente nel circolo anarchico della Ghisolfa?

«Guardi, dal '69 in poi era un circolo politico-culturale e ricreativo come tanti altri. Prima, negli anni Sessanta, qualche piccola azione dimostrativa, qualche vetro rotto. Gli anarchici non hanno mai rivendicato nessuna azione violenta o terroristica».

La vita di Rovelli dal '74 a oggi ha oscillato fra clamorosi successi e drammatici fallimenti, complicati anche da tragedie familiari come la morte improvvisa, nell'agosto dello scorso anno, del figlio Billy di 29 anni. «Ha insegnato il mestiere a tutti», dicono i colleghi. Ha fondato Radio Music, poi diventata Radio Dee Jay; il Rolling Stone; il City Square; ha organizzato i più grandi concerti milanesi riportando la musica a San Siro con Bruce Springsteen, Bowie, Dylan. Ha perso cifre colossali con l'acquisto della Durium, col tour di Celentano e con quello di Antonello Venditti. «Il licenziamento (o la sospensione) da parte di Vasco Rossi mi ha amareggiato, sorpreso, e ha aggravato le mie difficoltà economiche. Io vorrei che Vasco ragionasse con la sua testa e non accettasse consigli sbagliati. Ricordo solo che nel bene e nel male io non l'ho mai abbandonato».

Rimorsi? Rimpianti? «Col senno di poi dico che avrei dovuto rinunciare al locale e continuare a dipingere o vendere saponette. Ma ho la coscienza tranquilla, non ho fatto male a nessuno».

WB01343_.gif (599 bytes)