Corriere della Sera - 29.10.97
G. Ga.
ROMA - «Hanno detto che Scalfaro ha mancato di coraggio? Ma se c'è una cosa che non gli manca è proprio il coraggio... Secondo me invece è stato istituzionalmente perfetto, in questa occasione. Lui non poteva minare l'istituzione giustizia dicendo ai giudici: avete sbagliato tutti, e io modifico le vostre sentenze perché ho il potere di farlo. La grazia è un'altra cosa, viene concessa a chi la chiede».
Carol Beebe Tarantelli è abituata a pensare con la sua testa. E anche stavolta non si smentisce. Ex deputato del Pds, psicoanalista, nonostante abbia avuto un marito ucciso dalle Brigate rosse si è sempre battuta nelle file di chi invocava la «chiusura dei conti» con gli anni di piombo.
Ma sul caso Sofri ha una sua idea precisa: «Io non so se Sofri sia colpevole o innocente. Non lo può sapere nessuno, tranne lui. Ma l'istituzione della giustizia nei Paesi civili esiste proprio perché non siamo capaci di penetrare all'interno della coscienza di un altro. Allora il dibattito, che partiva dal presupposto che esistesse un "cuneo" capace di penetrare nell'anima di Sofri, è una lesione grave alla cultura del diritto, alla giustizia».
Anche perché, dice Carol Tarantelli, Adriano Sofri e i suoi compagni «sono stati giudicati da cinquanta giudici diversi. E a questo va portato rispetto: non possono esserci cinquanta persone comprate, o vendicative, o quello che è. Trovo tutto questo davvero molto offensivo per l'istituzione della giustizia. E in fondo anche molto primitivo, rispetto alla cultura del funzionamento di una società complessa».
Primitivo e viscerale, per la psicoanalista, è anche l'atteggiamento dei compagni di Lotta continua, che rifiutano l'idea di esser stati «anche loro» colpevoli dell'assassinio di Calabresi. «Hanno perfettamente ragione a dire "non posso essere incolpato per quello che ha fatto la mia organizzazione". Ma se non accetti gli errori che hai commesso, non riesci mai a fare chiarezza. È il problema dei terroristi. Certo, questa è un'altra storia. Ma c'è un dato comune: anche i brigatisti rimuovono la realtà della violenza che hanno commesso. Non sono in grado di farci i conti».