Corriere della Sera - 30.11.97

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IL SENATORE DEL PDS

Pellegrino: caro Bertinotti, allora sui giudici sei incoerente

D. Mart.

ROMA - L'avvocato Giovanni Pellegrino, garantista da sempre, presidente pidiessino della commissione Stragi, non trova nulla di strano nell'atteggiamento di chi, come Fausto Bertinotti, pur avendo sempre e comunque difeso i magistrati, adesso si scaglia contro i giudici che hanno emesso la sentenza definitiva di condanna per Sofri, Bompressi e Pietrostefani. Si spiega meglio il senatore: «Nulla di strano, vorrei però che Rifondazione prendesse atto di un principio di civiltà che mi piacerebbe vedere generalmente riconosciuto. E cioè che, democraticamente, è possibile dissentire da una decisione dei giudici».

Senatore è d'accordo con Bertinotti quando definisce «assurda» la detenzione di Sofri, di Bompressi e di Pietrostefani?

«Il contraltare dell'indipendenza e dell'autonomia della magistratura è la pubblica opinione: ripeto, c'è la possibilità che si possa anche dissentire da una decisione dei giudici. Non trovo niente di strano nella posizione di Bertinotti».

Dunque, le parole di Bertinotti non stonano, per così dire, rispetto alla linea tradizionale di Rifondazione che si è sempre schierata dalla parte della magistratura.

«No, non c'è nulla di strano. Vorrei però che Rifondazione prendesse atto di alcune circostanze importanti: da un lato, appunto, che l'opinione pubblica può dissentire dalle decisioni dei magistrati. E poi non possiamo mica scandalizzarci per il caso Sofri senza trarne conseguenze di carattere più generale sul funzionamento della nostra giustizia penale».

Come dire, che a sinistra molti si sono appassionati al caso eclatante dimenticando però le ingiustizie che colpiscono i «signor nessuno»?

«Ogni giorno ci sono persone che vengono condannate a pene detentive molto gravi in situazioni probatorie non più solide di quelle con cui è stato condannato Sofri. Allora, la considerazione da fare è un'altra».

Quale considerazione?

«La colpevolezza di Sofri non è stata provata al di là di ogni ragionevole dubbio. Noi abbiamo un sistema processuale che consente la condanna anche quando la prova non è al di là di ogni ragionevole dubbio: basti pensare che abbiamo un sistema in cui il giudice può condannare anche quando l'accusa ha concluso per l'assoluzione. Questa è un'anomalia. Quindi anch'io sono del parere che la sentenza Sofri lascia adito a moltissimi dubbi anche se poi non la ritengo un caso isolato, nella concreta vita di ogni giorno delle nostre istituzioni giudiziarie».

Qual è «il dubbio» che più la lascia perplesso nella lettura della sentenza?

«Quello che a me convince poco, e che mi sembra al di fuori di uno standard di normalità giudiziaria, è il mancato riconoscimento a Sofri e agli altri delle attenuanti generiche. Erano persone che comunque avevano ricostruito una vita: in particolare Sofri era uno degli intellettuali italiani che più di altri si era impegnato nelle missioni umanitarie, in Bosnia, in Cecenia. Così mi sento di dire che un punto della sentenza non rientra nella normalità giudiziaria: perché, in certe situazioni, le attenuanti generiche si riconoscono e questo sarebbe bastato per evitare il carcere. Così, oggi, la pena carceraria colpisce persone che non hanno bisogno di essere rieducate: perché, con tutto quello che avevano fatto negli ultimi anni, avevano dimostrato comunque notevole spessore e impegno nella società».

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