Il Manifesto- 13.05.98

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LEGGE 180

Compie vent'anni il diritto universale ad essere persone

Una mattina con i "nuovi matti": non hanno mai conosciuto il manicomio perché sono giovani, e vogliono che la loro sofferenza mentale sia "dentro" le loro vite

- GIUSI GABRIELE * -

F orse non è solo il ventennale della legge 180 che dovremmo celebrare. La riforma psichiatrica è solo una data di una storia più lunga, che è iniziata negli anni 60 con l'esperienza di Franco Basaglia a Gorizia e continua oggi, nella battaglia vinta ma non ancora conclusa per la chiusura dei manicomi e nel lavoro quotidiano per l'applicazione della legge. Ma, soprattutto, è una tappa nella conquista di quei diritti universali dell'uomo la cui Dichiarazione solenne compie cinquant'anni proprio quest'anno. Spesso si sente parlare di egemonia della cultura di sinistra; se c'è un terreno dove si è misurata, faticosamente, duramente, è proprio la riforma psichiatrica. Incrinato l'approccio positivista della psichiatria, ha riconosciuto nel folle una persona, un individuo portatore di dolore, di bisogni, di punti di vista degni di ascolto anche se devianti dai normali codici di comunicazione.

E' bene ricordarlo perché i dati ci dimostrano la resistenza ancora vivissima della mentalità istituzionale conservatrice, che affida all'internamento in strutture sostanzialmente manicomiali e alla cura farmacologica una parte consistente della risposta al disagio mentale. Invece la sfida della 180 è di destabilizzare il rapporto tra diritto (del paziente) e potere (del medico, del terapeuta). Si può anzi dire che quel diritto nasce con la riforma e con l'introduzione di un nuovo termine: il punto di vista del malato. "Vivere dialetticamente le contraddizioni del reale - spiegava Franco Basaglia - è l'aspetto terapeutico del nostro lavoro... Ma la dialettica esiste solo quando ci sia più di una possibilità, cioè un'alternativa". La dialettica aperta dalla riforma è tra il mondo della "ragione" e quello della "sragione". Ma la sottrazione di questa dialettica allo schema autoritario medico-paziente è un percorso irto di difficoltà e contraddizioni. Intendiamoci: nessuno pensa di cancellare la sofferenza che il disagio, la malattia mentale porta con sé e che ha bisogno anche di una risposta sanitaria, di cura, con più soldi e più servizi. Ma, accanto alla risposta tradizionale, cresce la credibilità, la solidità delle risposte alternative: i servizi territoriali, il lavoro di reinserimento, di riabilitazione, di liberazione dei "malati". E anche queste risposte necessitano di quei finanziamenti e di quelle energie umane che dal varo della riforma sono state -non casualmente - insufficienti.

"Vent'anni da matti", titolava il suo inserto sulla 180 "il manifesto". Se vogliamo portare a compimento questa battaglia di libertà, cerchiamo di non distrarci per i prossimi vent'anni.

*Assessore alla promozione della salute del Comune di Roma

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