Il Manifesto- 13.05.98

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LEGGE 180

E' arrivato il momento di chiedere perdono

ANGELO RIGHETTI*

E' giusto celebrare i 20 anni della 180 così come è giusto celebrare la festa della Liberazione. Così come sarebbe sacrosanto che la psichiatria ufficiale chiedesse perdono all'umanità per aver fornito strumenti fisici, intellettuali e scientifici per l'eliminazione dei malati di mente: 120 milioni erano i matti senza speranza messi a morte sociale nei manicomi italiani. Questa è l'unica celebrazione accettabile. Chiedere perdono. E' stato fatto per la risiera di San Sabba, le Foibe, Auschwitz, Buckenwald, per i gulag. Va fatto anche per i manicomi, ricordando che i primi sterminati in quei mattatoi furono i malati di mente in quanto alterità, simbolo vivente di ciò che deve essere eliminato, pietra angolare dell'edificio della razionalità depurativa e omologativa.

E fare presto a chiedere perdono perché i semi di quel disconoscimento dell'altro, le pratiche della sua eliminazione, le necessità della sua esclusione, sono ancora fra noi e si stanno riproducendo nelle forme più strane.

Il bisogno di manicomio è diffuso e ad esso concorrono le risposte della psichiatria così come quelle dei poteri politici, e parlano di abbandono che migliaia di malati di mente affrontano oggi dentro le derive sociali dovute all'impossibilità di accedere ai diritti (alla casa, alla formazione, al lavoro, alla socialità). E abbandono è anche quello dentro ai manicomi residui. Ventimila persone in attesa di morire, per lo più anziani/disabili, con possibilità economiche non spendibili perché utili alle banche, o fonte di reddito per le famiglie, o fonte di rapine da parte delle Aziende sanitarie che coprono buchi di bilancio, utilizzano il personale sottraendolo ai malati. Manicomi privati per nuovi cronici, masse di diseredati sui quali lavorano e si legittimano nuovi razionalizzatori del non senso, per lo più tecnici e politici avanzati o progressisti, con a cuore l'assistenza egualitaria anziché la promozione della libertà, vecchi volponi dei buoni sentimenti, tecnici della mitologia medico-scientifica come risposta unica, assoluta e risolutiva, interpretatori dell'inconscio come risposta estatica.

Quanto anche le ideologie progressiste contribuiscano a questo panorama è del tutto lecito chiederselo, se non altro perché è ormai logico domandare quanto e come i poveri-matti (o matti-poveri?) ci mettono in causa e aspettino una liberazione che non viene perché disabilità e povertà è in occidente un grande business per le caste professionali e non.

Come anche chiedersi quante risorse passino dalle istituzioni agli utenti più bisognosi; quale diritto alla casa, al lavoro, alla socialità, all'affettività, a forme di autosufficienza e sostegno, quante risorse alle famiglie e quante allo sviluppo economico e sociale, quante risorse alla cultura contro l'analfabetismo di ritorno, quante risorse per la formazione dei giovani.

Insomma, quante politiche attive dell'accesso ai diritti alla libertà partendo dalle fasce deboli, malate e povere, vengono messe in atto, quanti servizi psichiatrici sono strumenti di tali politiche, quanti centri di salute mentale sono scuole di libertà aperti e funzionanti 24 ore e non centrali di smistamento dei pazienti verso l'ospedale psichiatrico o privato. E infine quante risposte sono oggi basate sulla brutale repressione della sofferenza, perseguendo la follia, la devianza e non il reato.

Migliaia di malati sono nelle carceri, nei manicomi criminali, negli istituti per aver commesso il vero reato di essere poveri e malati in un contesto economico e sociale che scarica il costo della propria ideologia dello sviluppo nella cristallizzazione della sofferenza, disabilità, vecchiaia dentro e attraverso l'istituzione.

Bilancio discutibile della 180 su ciò che noi volevamo: meno carceri, manicomi, istituzioni, ospedali, case di riposo e più politiche attive dei diritti, diseguali per persone diseguali. Ciò che abbiamo ottenuto è, nella maggior parte dei casi, diminuzione dei costi e degli investimenti come epigono della razionalizzazione dei servizi.

La macchina-manicomio non esiste più, e il suo costo non riconvertito in risorse per i pazienti anche. E' più conveniente l'abbandono, magari nutrito dall'ideologia che la malattia mentale non esiste. In altri istituti e con la stessa logica e minor costo rimangono in attesa della morte migliaia di persone. In altri luoghi, ancora troppo pochi, non si è rimasti in attesa né di nuove leggi né di nuova provvidenze né di definitive scientifiche soluzioni: si è concretamente agito, si è cercato di librare le persone, i gruppi, le culture, i tecnici e farle divenire esse stesse risorse di uno sviluppo economico che li include, anche a costo di divenire panda in estinzione, come li aveva chiamati Giuliano Amato nella versione rampante degli anni 80.

Mai come ora si osserva la pochezza di tanti proclami, perorazioni di principi, ideologie su pratiche inesistenti, riciclaggi scientifici-descrittivi di terz'ordine, assenza di progetto e di speranze. Molti di noi avevano profetizzato che la sinistra al potere avrebbe sanato l'ingiustizia e redento gli ultimi, ma pochi sapevano che le profezie sono vere non perché prevedono il futuro ma perché lo costruiscono.

I pochi metri che abbiamo fatto per rendere concreta la nostra profezia di liberazione non sono mai stati così a rischio come oggi. Il rischio siamo noi ogni volta che, anziché dare voce alle persone, copriamo con gli stramazzi scientifici, storici, celebrativi, sociali, solidaristici, la voce e l'esperienza di vita delle persone che dovremmo assistere e con le quali vogliamo provare a vivere la vita liberando la libertà.

*Direttore del dipartimento di Salute Mentale di Palmanova

 

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