Il Manifesto - 28.12.97

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Stato di grazia senza emergenza

ELLA BAFFONI -

L A GRAZIA, sulle prime pagine di molti giornali, fa discutere. Ma qualcuno, evitando le banalità, va più a fondo: "L'amnistia della sovversione politica, delle violenze e del terrorismo anni Ottanta non sarebbe una vera amnistia, ma un atto di chiarezza... - scrive Giorgio Bocca su la Repubblica - Una amnistia che viene dopo venti anni di carcere duro o durissimo dovrebbe essere accettata anche dai parenti delle vittime. Dicono che nulla può ripagare la morte dei loro cari, ma in un paese dove non esiste la pena di morte ci si può chiedere quale pena maggiore dei venti anni di galera si possa infliggere. Nell'immediato dopoguerra un altro ecumenico, il segretario del Pci Palmiro Togliatti (ma sarà un vizio ereditario?) fece passare un'amnistia per i fascisti collaborazionisti. I parenti delle vittime non erano allora come ora qualche centinaio, erano decine di migliaia, ma i governanti e l'opinione pubblica ritennero che quella amnistia ci avrebbe aiutato ad uscire dalla guerra civile".

Scalfaro sancisce la "fine dell'emergenza", scrive Gad Lerner su la Stampa, anche se "gli anni di piombo non possono chiudersi a colpi di provvedimenti di grazia individuali"; proceda dunque il Parlamento. Ma Lerner avverte: "Il presidente che si adopera per una consapevole chiusura delle emergenze nazionali certo non potrebbe adoperare gli stessi strumenti di pressione riguardo a quell'altra illegalità diffusa, venuta alla luce più di recente, cioé Tangentopoli. Anche se va notato come i reati graziati ieri - concorso in omicidio, ferimento, sequestro di persona - siano moralmente più gravi e odiosi dei furti, delle tangenti, delle corruzioni. I tempi e le procedure necessarie a ristabilire la giustizia dentro un paese risanato sono ben differenti, così come differenti sono le ferite degli anni di piombo e di Tangentopoli. Ma il metodo dell'interrogarsi collettivo, dell'autoanalisi pacata, della politica finalmente saggia e coraggiosa: quella è l'intuizione preziosa che ci viene dal Colle".

Un appassionato editoriale sul Chiapas di Saverio Tutino apre l'Unità: "Una sorta di Portella della Ginestra, moltiplicata molte volte per il numero e la quantità delle vittime, come per il volto feroce e scoperto dei massacratori governativi". E ancora: "I burocrati del Pri, eterni governanti, temono oggi soprattutto la saldatura tra il movimento modernizzatore degli indios e quello democratico della nuova sinistra... E sarà probabilmente proprio l'alleanza tra gli indios, che avanzano nella rivendicazione dei propri diritti civili, e la sinistra che farà argine in difesa della democrazia, il fattore vincente nel Messico di domani. Purché il problema degli emarginati del Duemila sia tenuto in primo piano da chi vuol fare una politica di sinistra, dopo la fine delle ideologie".

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