Il Manifesto - 30.10.97
SOFRI
GIULIANO PISAPIA*
E' RIMASTO uno spiraglio. Un piccolo spiraglio per evitare altro dolore, altra sofferenza, altra ingiustizia. E' rimasta una speranza per la vita e la libertà di Ovidio Bompressi, Giorgio Pietrostefani, Adriano Sofri, che l'inaspettata presa di posizione del Presidente Scalfaro non ha cancellato e non può cancellare.
Nessuno - e tanto meno i diretti interessati - hanno mai pensato che la grazia fosse un "quarto grado di giudizio". E' la Costituzione che prevede la possibilità per il Presidente della Repubblica di concedere la grazia e anche, spesso lo si dimentica, di "commutare le pene". Ed è la legge che prevede espressamente la possibilità della "grazia d'ufficio", quale strumento "correttivo-equitativo dei rigori della legge" (cfr. relazione al nuovo ccp). Ma come è possibile dimenticare che le "pene devono tendere alla rieducazione del condannato"? Cioè che il "diritto di punire" deve trovare dei limiti nella giustizia e nell'utilità sociale, "altrimenti i concetti di giustizia e di umanità si trasformano in vendetta"?
Ma di altro, adesso, pare si debba parlare: di indulto. Ma quanta ipocrisia!Non è ammissibile che, quando si parla di un provvedimento teso a "riequilibrare" le pene irrogate negli "anni di piombo", c'è chi - spesso strumentalizzando il dolore delle vittime - chiede che non abbia "il carattere della generalità". E che, quelle stesse persone - se si pone il problema della "grazia" - rispondono, ricordando le "numerose proposte di legge di indulto presentate nei due rami del Parlamento".
Ma, soprattutto, bisogna uscire definitivamente dall'ipocrisia di chi - sapendo perfettamente che la vita e la storia, politica e personale, di Sofri, Pietrostefani e Bompressi, non hanno nulla a che vedere con il "terrorismo" - cerca di creare confusione al solo fine di impedire una soluzione sia a un problema che all'altro.
Che fare, ora? Abbiamo cercato, nel pieno rispetto di tutti, di far comprendere che era possibile, giuridicamente e umanamente, restituire la libertà a chi sta mettendo in gioco la propria vita (non per sostenere le proprie ragioni, ma per difendere i diritti di tutti, e in particolare dei più deboli). Chi ha sperato in un atto di clemenza, non ha più speranza ma solo disperazione.
E, invece, è ancora possibile evitare una tragedia che non cancellerà mai il dolore e la sofferenza di chi ha perso l'affetto più caro. Anzi è possibile evitare un destino che non dobbiamo rassegnarci a considerare ineluttabile.
Per un nuovo processo i tempi saranno lunghi. Ma - per il giudizio sulla ammissibilità della revisione - i tempi possono essere brevi. Fra pochi giorni sarà depositata la richiesta di revisione di una sentenza che - da qualunque parte la si voglia vedere - ha lasciato dubbi e perplessità (basti pensare all'annullamento della condanna da parte delle sezioni unite della Cassazione). Questo è lo spiraglio al quale possiamo aggrapparci: senza polemiche, ma anche con fermezza. Nella convinzione, profonda, che - se vi sarà serenità nell'esaminare l'ammissibilità della richiesta di un nuovo processo; se vi sarà un vero giudizio e non un "pregiudizio" - avremo, in ogni caso, fatto qualcosa di positivo per la giustizia.
*Presidente commissione
giustizia della camera