La Repubblica - 18.04.98

- Schiaffo Usa all'Italia.
"Baraldini resta qui"
- Prodi: sono deluso ma non mi
arrendo
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- dal nostro corrispondente ARTURO ZAMPAGLIONE
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- NEW YORK - Silvia Baraldini resterà nel carcere di
Danbury, nel Connecticut. Dopo aver respinto a dicembre
la richiesta di libertà vigilata, infatti, il ministro
americano della giustizia Janet Reno ha detto no, ieri,
per la quinta volta in sette anni, all'ipotesi di
trasferire la detenuta in Italia come consentito dalla
convenzione di Strasburgo. "Ci rendiamo conto delle
ragioni umanitarie", ha sostenuto la Reno in una
lettera al collega italiano Giovanni Maria Flick,
"ma i reati commessi dalla Baraldini sono più
importanti di queste considerazioni".
- La decisione è stata uno schiaffo al governo italiano
che si era adoperato in ogni modo, anche con la
mobilitazione di Romano Prodi e Walter Veltroni, per il
trasferimento della Baraldini, la quale ha già trascorso
sedici anni nelle prigioni americane per il
coinvolgimento in azioni terroristiche. Ed è
comprensibile, perciò, l'amarezza del presidente del
Consiglio. "C'è un elemento di personale
delusione" ha dichiarato Prodi "perché quello
della Baraldini è un caso di cui mi sono interessato in
prima persona. Si vedranno in seguito i passi da fare per
affrontare la situazione".
- Neanche il ministro Flick l'ha presa bene. Con
"profonda amarezza e sconcerto" si è appellato
ai principi della convenzioen di Strasburgo, mentre il
presidente di Rifondazione Armando Cossutta è arrivato a
sostenere che, se il rifiuto americano non sarà
revocato, il nostro governo dovrebbe minacciare
"conseguenze pesanti sui rapporti tra i due
paesi".
- Prodi non lo ha detto, ma è quasi certo che solleverà
la questione nell'incontro con Bill Clinton alla Casa
Bianca tra due settimane, cioè durante la visita
ufficiale negli Stati Uniti dal 5 all'8 maggio. Con
l'ultimo no, infatti, il caso Baraldini da giudiziario
diventa politico e diplomatico. Gli Stati Uniti hanno
compiuto uno sgarbo all'Italia, mostrando la stessa
arroganza con cui, all'inizio della settimana, avevano
giustiziato in Virginia il cittadino paraguaiano Angel
Francisco Breard a dispetto delle violazioni della
convenzione di Vienna e della richiesta di sospensione
del tribunale dell'Aja. E a questo atteggiamento il
governo italiano può solo rispondere facendo capire, in
privato e in pubblico, quali saranno i danni per le
relazioni italo-americane.
- Certo, gli Stati Uniti continueranno a insistere sulla
linea sin qui tenuta: la Baraldini, diranno, non ha dato
segni di voler collaborare pienamente con la giustizia e,
se fosse trasferita in Italia, è poco probabile che
sconterebbe l'intera pena comminata, cioè 43 anni.
"Dobbiamo anche valutare" ha osservato ieri la
Reno nella lettera a Flick "se un trasferimento
possa favorire un disprezzo per la legge, mandando un
segnale sbagliato a quanti usano la violanza per
obiettivi ideologici".
- Ma a prescindere dalla faziosità di queste tesi -
perché la Baraldini ha rinunciato, dopo la tragica morte
della sorella Marina e con la domanda di libertà
vigilata, alla intransigenza ideologica del passato - è
inaccettabile che Washington umili l'Italia, nella
persona del presidente del Consiglio, senza pagare un
prezzo. Così come è paradossale che il Pentagono
sottragga alla giustizia italiana i Rambo di Cavalese e
poi si rifiuti di collaborare su un caso, come quello
della Baraldini, che è molto a cuore al popolo italiano.
"Silvia è stata informata della decisione dal
console italiano a New York", ha riferito a
Repubblica l'avvocato della Baraldini, Elizabeth Fink.
"E' rimasta molto dispiaciuta e scoraggiata. La sua
speranza, ora, è che il governo italiano si mostri più
energico nel discutere sul caso con la controparte
americana". L'unico sollievo, dice ancora la Fink,
viene dalle condizioni di salute: Silvia sta bene, dopo
tanti malanni degli anni scorsi (e le pessime cure rice
vute nel carcere di Lexington), e passa ore e ore a
rispondere alle lettere che arrivano dall'Italia.
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