La Repubblica - 25.10.97

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L'INIZIO DEGLI ANNI PIÙ BUI

di GIORGIO BOCCA

QUEL NERO dicembre del 1969: il 12 la bomba alla Banca nazionale dell'agricoltura, noi cronisti a seguire il passaggio delle barelle e dei morti, lampi di fotografi nel buio nebbioso, l'angoscia di una tragedia inspiegabile, di stare dentro un terrore che non ci riguarda, che non riguarda Milano, venuto da fuori, da chi sa chi, per chi sa che cosa. Gli opposti estremismi? L'autunno caldo degli operai? Ma si può fare strage per un conflitto sociale?

E le voci incontrollabili che attraversano le direzioni dei giornali, i primi annunci della pista che verrà battuta. Porto la mia cronaca al direttore del "Giorno" Italo Pietra. Mi chiede: "Secondo te chi è stato?". "I carabinieri" rispondo per dirgli che penso a una strage di Stato. Lui che come me è cresciuto nel rispetto delle autorità fa un sorriso amaro. "Ho telefonato al prefetto, dice che si indaga sugli anarchici".  Le voci si moltiplicano il giorno seguente, attraversano le redazioni dei giornali come frecce infuocate, in tutte le direzioni, contraddicendosi, intrecciandosi: "Sono stati i fascisti del Nar, quelli che sono stati in Grecia, addestrati dai colonnelli, è la Cia, è stata la Cia". Nessuno crede più alla informazione, tutti cercano di sostituirla con la controinformazione, ma la controinformazione è infiltrata dai servizi segreti, dall'ufficio affari riservati del dottor D'Amato.  I funerali delle vittime congelano per qualche ora il caotico affanno, le voci, le insinuazioni. Ma le facce dei ministri immobili mentre l'arcivescovo Colombo gli dice pesando le parole "così non può continuare", facce enigmatiche, facce da sepolcri imbiancati invitano a nuovi sospetti.

E il 15 sera, sempre in quel buio nebbioso di una Milano con i nervi tesi e le passioni dirompenti, l'altro colpo, l'altra ferita: un uomo, un certo Giuseppe Pinelli, un anarchico, pare, è caduto da una finestra della questura. Caduto? Impossibile, la sinistra non ci crede neppure per un attimo. Buttato giù, suicidato. Una conferenza stampa nello studio del questore Marcello Guida aumenta i sospetti.

C'è il capo della Digos Antonino Allegra, quello che fa esplodere la bomba alla Banca commerciale cancellando le possibili tracce degli attentatori, c'è con il suo pullover di cachemire bianco il commissario Luigi Calabresi, il nemico dei progressisti, il poliziotto della repressione, gentile, astuto, infido. Qualsiasi cosa dicano non verrà creduta, sia che cerchino di coprire il delitto, sia che non sappiano come spiegare la disgrazia.

Dichiarazioni imbarazzate che sembrano concertate. Il questore: "Era fortemente indiziato di concorso in strage. Di fronte a una testimonianza è crollato, si è sentito perduto". In ordine gerarchico parla Antonino Allegra: "Lo credevamo incapace di violenza e invece è risultato collegato a persone sospette". In certo modo Allegra dice il vero, la mattina del 15 è stato arrestato Valpreda, un tassista lo ha riconosciuto a "futura memoria" come colui che è entrato con una valigetta nella banca e Valpreda è un anarchico milanese che conosce Pinelli. Parla per ultimo Calabresi: "Lo avevamo convocato in questura per interrogarlo, lo conoscevamo come persona non violenta".

Le voci, le invenzioni, le testimonianze riprendono il loro intreccio pazzo nelle redazioni, nelle televisioni, nei discorsi della gente: "È morto per un colpo di karate. Così per nasconderlo lo hanno buttato giù", "No è stato un infarto. I poliziotti erano usciti dalla stanza lasciandolo solo, poi hanno fatto irruzione come volessero aggredirlo. Il cuore ha ceduto, lo hanno buttato giù". "È vero, Aldo Palumbo, cronista dell' "Unità" stava guardando la finestra illuminata e aperta, ha visto venir giù un corpo, gli è sembrato un armadio, ma che fanno, ha pensato, traslocano?". "Ma è la prova che lo hanno gettato, se si fosse buttato avrebbe fatto una parabola". "No, non lo hanno buttato, lui si è sentito male, si è appoggiato alla bassa ringhiera ed è caduto giù".  I cronisti corrono in via Preneste nella casa di Pinelli, li accoglie senza una lacrima quella donna forte che è la moglie Licia. Li ascolta nella sua v estaglia rosa con il colletto ricamato. L'espressione tragica ma ferma è di una che se lo aspettava. La sinistra non ha più dubbi: Pinelli è stato suicidato, Lotta continua indica nel commissario Calabresi il vero assassino, tutta la stampa progressista dai fogli estremi all'"Unità", al "Giorno" parla di un delitto di Stato e le indagini sembrano confermare i suoi sospetti, ci sono questori, prefetti, procuratori della Repubblica che vengono colti in manifesti tentativi di depistaggio, le trame nere vengono ignorate, gli anarchici e Valpreda vengono sepolti sotto una montagna di accuse poco e niente convincenti.  Sono passati molti anni, la giustizia ha detto la sua, Pinelli non è stato ucciso, Pinelli è caduto probabilmente per un malore, la finestra era stata aperta perché nella stanza dove tutti fumavano non si respirava più. Ma ognuno è rimasto della sua idea, del suo fermo sospetto. Chi scrive non aveva allora e non ha oggi un'opinione certa ma ricorda che quello che seguì fu un periodo di intossicazione generale in cui la sinistra accusava il governo dei peggiori misfatti e il governo cercava maldestramente di coprire la sua umiliante irresponsabilità, il fatto che la macabra danza veniva diretta dall'apparato poliziesco della Nato, più stupido che diabolico.

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