LE IMPLICAZIONI DELLA LEGGE PRODI-NAPOLITANO-TURCO.
In tutti i casi l'immigrazione viene presentata come un problema, un'emergenza che occorre risolvere, frenando gli afflussi per via legislativa, moltiplicando le difficoltà per l'ingresso e il soggiorno degli stranieri.
Le probabilità, da parte della legislazione anti-immigrati, di ottenere successi risolutivi nel frenare l'immigrazione sono però praticamente nulle, visto che le motivazioni che attraggono gli immigrati nelle cosiddette "democrazie industriali" sono più forti dei mezzi impiegati per impedire gli afflussi (sebbene questi siano sempre più consistenti).
E' importante parlare delle motivazioni che portano alla migrazione: sarebbe un grave errore, tra l'altro già ripetutamente compiuto dalla sinistra occidentale, considerare l'immigrato come un povero disperato completamente sprovveduto che approda nell'occidente civilizzato. Un'altra lettura, completamente errata, è quella che vede l'immigrato spostato come una marionetta da una parte all'altra del globo dai propri sfruttatori.
In realtà l'immigrazione è un processo di autovalorizzazione operaia e proletaria con la quale la forza lavoro dei paesi a sviluppo capitalistico non avanzato va alla ricerca di condizioni di esistenza migliori, alla ricerca di redditi più elevati e di possibilità più agevoli di accesso ai beni di consumo.
L'immigrato è colui che non accetta il prezzo offerto dal capitale per la sua forza lavoro nel paese d'origine e, in un'economia sempre più globale, si sposta incurante delle leggi che vorrebbero la libera circolazione dei capitali ma impediscono quella della manodopera.
A fronte di questo processo, la legislazione sull'immigrazione ha la funzione di ridurre il vantaggio che al migrante deriva dal fatto di essere approdato in occidente assogettandolo a discriminazioni e ricatti dal punto di vista giudiziario e repressivo, che lo pongono sul mercato del lavoro (sia questo quello legale o quello informale, il lavoro nero) in una posizione di debolezza e di estrema precarietà, aumentando le possibilità di ricatto contro la classe nel suo complesso.
Le leggi xenofobe risultano così più efficaci nell'indebolire tutti gli stranieri (sia quelli in regola con i documenti che quelli che non lo sono) che nel frenare l'immigrazione. Passiamo ad analizzare meglio il caso italiano.
Agli imprenditori italiani il lavoro immigrato serve; la programmazione triennale dei flussi prevista all'art.39 dall'ultima legge vuole limitare e regolare l'ingresso in Italia di nuovi stranieri in base a quella che sarà l'andamento demografico italiano che, presumibilmente, si caratterizzerà per il progressivo invecchiamento della popolazione e la riduzione della popolazione economicamente attiva disponibile.
Se prendiamo per valide le previsioni ufficiali, a fronte di un calo notevole delle nascite, nel 2000 la popolazione italiana sarà per l'11% rappresentata da ultra-ottantenni il che significa che ci troviamo di fronte a una riduzione notevole della popolazione economicamente attiva, con quel che ne consegue in termine di solidarietà sociale tra generazioni.
La tendenza irreversibile verso la diminuzione della popolazione italiana può essere controbilanciata solo dal flusso migratorio: senza nuovi immigrati, la popolazione totale con gli attuali ritmi riproduttivi si ridurrebbe nel 2044 a 44 milioni di abitanti, rispetto agli attuali 57 milioni (dati della ragioneria generale dello stato).
Lo stesso Andrea Monorchio, Ragioniere generale dello stato afferma che "se i flussi saranno regolari e programmati, costituiranno una boccata d'ossigeno per le casse statali: sia per i contributi pensionistici sia per il prodotto interno lordo" (Corriere della Sera 14-02-97).
Le altre variabili di cui si terrà conto nel momento in cui si stabiliranno le entità dei flussi saranno l'andamento delle congiunture economiche, in modo da poter seguire nel modo più fedele possibile gli andamenti ciclici della produzione, i suoi alti e bassi, e la mancata copertura da parte di manodopera locale di posti di lavoro generalmente rifiutati perchè troppo pesanti e degradanti, o solamente perchè questi non corrispondono al livello di istruzione raggiunti da giovani italiani/e che aspirano a redditi più alti e a lavori più qualificati.
Ecco le "umanitarie ragioni "che spingeranno l'apparato statale a regolamentare l'ingresso di alcuni immigrati in Italia, e su questo centrodestra e centrosinistra sono sostanzialmente d'accordo.
E' quindi prevedibile che negli anni a venire l'immigrazione in Italia assumerà una consistenza ben più rilevante dell'attuale già per l'entità dei flussi regolari determinati e permessi a livello statale, poi per gli ingressi clandestini che continueranno a verificarsi indipendentemente dalle leggi.
La tipologia del soggetto proletario immigrato è contraddistinta da una serie di caratteristiche che lo rendono da un lato potenzialmente e effettivamente conflittuale, dall'altro particolarmente debole:
dal percorso messo in atto dal Collettivo Senza Frontiere di Parma nel suo primo anno di vita, possiamo trarre la conclusione che la conflittualità e la disponibilità alla lotta del soggetto immigrato è spesso riscontrabile su una serie di questioni legate alla sua profonda emarginazione, (ad esempio la questione della casa), un certo tipo di reazione a istanze repressive e/o razziste, mentre la sua posizione è di debolezza e di pesante subalternità sul posto di lavoro, dove le istanze rivendicative, di insubordinazione e lotta, se emergono, vengono più facilmente represse, mentre più spesso rimangono inespresse, troppo condizionate da almeno due fattori:
1)le forti esigenze di reddito del lavoratore immigrato, che non può godere di una rete familiare di appoggio che possa integrare la mancanza di reddito o la sua riduzione, e che si trova anzi spesso nella condizione di spedire a casa, nel paese di provenienza, buona parte dei risparmi.
2) la posizione di ricattabilità che il proletario immigrato si trova a vivere per il fatto che l'essere inserito in un posto di lavoro, qualunque esso sia, non solo garantisce un reddito ma costituisce la condizione indispensabile per l' ottenimento del permesso di soggiorno e per il suo rinnovo e quindi l'immigrato è spesso disposto a tutto pur di difendere il suo inserimento nella produzione.
Questa ricattabilità sul posto di lavoro, costringe l'immigrato a comportamenti di sudditanza, obbedienza e paura, il che si traduce in maggiore disponibilità all'incremento di produttività (intensità di sfruttamento nel tempo, più plusvalore relativo estratto), dall'altra parte in maggiore disponibilità a spendere il proprio tempo sul lavoro, più disponibilità a fare straordinari ecc.(aumento di estrazione di plusvalore assoluto) e accettare condizioni lavorative malsane.
A tutto questo è strettamente ricollegato il clima di paura e di incertezza che la repressione razzista, legalizzata da provvedimenti legislativi altamente discriminatori, diffonde tra i proletari immigrati: in questo modo, specialmente se non si sono avviate delle lotte sul territorio che hanno stimolato un certo tipo di autorganizzazione e di esperienza rivendicativa, si contribuisce a far assumere all'immigrato un atteggiamento di sottomissione sul posto di lavoro.
Può essere utile riportare, a sostegno di quanto ora sostenuto, alcune esemplificazioni concrete analizzate sul territorio parmigiano: un primo caso significativo è quello delle T.E., un'impresa metalmeccanica per la produzione di lamierini in alluminio, dove le condizioni di lavoro sono particolarmente dure e usuranti in particolare per il rumore, il calore, l'esalazione di gas ecc, con una rotazione su turni e una forte richiesta di straordinari: in questa fabbrica la componente immigrata costituisce circa il 40% della forza lavoro impiegata su un totale di circa 160 addetti, con grande maggioranza di proletari del Ghana, quasi tutti assunti con un contratto a tempo determinato di un anno (rinnovabile per un altro anno).
In occasione della mobilitazione sul contratto nazionale, alcuni compagni presenti all'interno, hanno promosso una serie di azioni di controinformazione e di mobilitazione che hanno portato anche ad un blocco stradale.
In tali occasioni gli immigrati non hanno sostenuto neanche a livello di partecipazione personale le azioni intraprese, in alcune occasioni non hanno nemmeno aderito agli scioperi indetti dalla triplice sindacale; più in generale sono continuamente disponibili ad effettuare straordinari, mentre i turni serali sono quasi completamente costituiti da forza lavoro immigrata. Evidentemente, la paura della mancata riassunzione alla scadenza del contratto biennale ha il suo effetto, anche perchè per il lavoratore immigrato perdere il lavoro significa anche il rischio di perdere il permesso di soggiorno.
Un altro esempio è costituito dall'industria del prosciutto molto diffusa nella zona pedemontana, un settore che sembra non conoscere crisi e che garantisce forti utili alle aziende, tutte di medio-piccola grandezza, che vi sono impegnate.
In questo settore si riscontrerebbe, in mancanza di forza lavoro immigrata, una forte carenza di personale, dovuta all'alto tasso di abbandono del lavoro da parte della popolazione locale, nonostante i salari siano abbastanza alti (1.800.000 al mese in media) soprattutto per il fatto che si tratta di un lavoro usurante, a causa dell'umidità, gli sbalzi di temperatura che si è costretti a subire passando da un reparto all'altro ecc.
Anche in questo caso la presenza di lavoro immigrato è rilevante e anche in questo caso sono proprio gli immigrati a dare la maggiore disponibilità a straordinari e a subire aumenti dei ritmi produttivi.
Queste sono due esemplificazioni di come il lavoratore immigrato sia comunque posto nella condizione di rispondere alle esigenze del capitale di avere manodopera flessibile e disponibile.
In termini più globali, situazioni simili si presentano in tutto quelle zone e settori produttivi del nord che stanno conoscendo una forte espansione in termini di esportazioni, investimenti, profitti: alcuni settori produttivi del Nord-est sono il caso più evidente.
La precarietà e la flessibilità sono caratteristiche che contraddistinguono sempre di più la condizione della forza lavoro nel suo complesso : l'instaurazione di una serie di provvedimenti normativi sul lavoro altamente penalizzanti per la classe in sè, come i contratti d'area, il lavoro interinale, il prolungamento dei periodi di formazione e di apprendistato ecc,(introdotti con il Pacchetto Treu) rispondono a un processo di legalizzazione o normalizzazione del caporalato, del lavoro nero, di una discriminazione salariale tra aree depresse e aree a sviluppo incalzante, il tutto per incentivare investimenti anche nelle aree più depresse e garantire alti profitti .
In questo quadro occorre inserire la figura dell'immigrato, in particolare del clandestino, figura destinata a rimanere e a consolidarsi numericamente in quanto la nuova legge non prevede nessun tipo di regolarizzazione per gli immigrati e in seguito al fatto che immigrati clandestini entreranno comunque, visto che i tetti numerici fissati dalle politiche migratorie non potranno mai comprendere tutti i dannati della terra che emigrano per andare a vendere la loro forza lavoro ad un prezzo più alto.
Il clandestino costretto al lavoro nero, verrà a costituire sempre e comunque la figura che porta a indebolire ulteriormente le nuove figure di lavoratore flessibile e precarissimo che il nuovo patto per il lavoro viene a delineare, in una corsa al ribasso del costo della forza lavoro che vede coinvolte in particolare le regioni meridionali d'Italia ma anche settori produttivi particolari, dove il lavoro nero degli immigrati viene utilizzato in modo sistematico, come il settore edile e il settore agricolo. Per non parlare del settore, altamente redditizio da un punto di vista capitalistico, delle attività controllate dalla malavita organizzata, attività che vanno dallo spaccio alla prostituzione alla ricettazione ecc. Il soggetto immigrato costa sicuramente meno, dal punto di vista delle richieste, ed è facilmente intercambiabile e quindi più ricattabile e facilmente eliminabile in caso di controversie, si riesce in tal modo a rimpiazzare soggetti italiani che possono quindi fare richieste più alte come controprestazione all'attività svolta per i pesci più grossi.
Esiste a nostro parere una stretta connessione tra la mancata regolarizzazione degli immigrati presenti clandestinamente sul territorio italiano e l'introduzione di provvedimenti come i patti e i contratti d'area che riducono considerevolmente il costo della mano d'opera autoctona al sud d'Italia (in una percentuale che secondo le stime da parte padronale varierà tra il -28 e il -32%): lo spazio per nuovi investimenti al sud è, per lo meno in prospettiva, più ampio e conveniente, specialmente in termini di salari. Vista questa possibilità, si rende meno necessaria e conveniente la disponibilità di forza lavoro regolare immigrata che si offre prevalentemente ai settori produttivi del nord.
Da qui la politica degli ingressi selettivi e del mantenimento della clandestinità come condizione più favorevole ai fini dello sfruttamento.
Il peso repressivo della nuova legge sull'immigrazione è notevole: la minaccia di espulsione condiziona negativamente i soggetti regolarizzati che si espongono a livello politico antagonista, visto che si può essere espulsi su indicazione del ministero degli interni "per gravi motivi di ordine pubblico e di sicurezza dello stato" e che, come nel Decreto Dini, viene introdotta l'espulsione come misura di prevenzione, per chi risulti socialmente pericoloso, su disposizione del prefetto. Con questo passaggio si vuole evidentemente anche bloccare la crescita di una soggettività politica forte da parte degli immigrati.
Per quel che riguarda i clandestini, le politiche repressive volte a accelerare le procedure di espulsione (sono previsti anche dei centri di trattenimento degli stranieri in attesa di espulsione - lager-) determinano il fatto che la clandestinità diventerà un dato ancor più nascosto e gli immigrati senza permesso di soggiorno saranno preda sempre più appetibile del lavoro nero, visto che nessuno si potrà permettere di denunciare un padrone per lo sfruttamento cui si è sottoposti, pena l'espulsione certa.
In un'epoca contraddistinta dal tentativo di mondializzazione della produzione, la ricerca di manodopera sempre più economica può quindi, dal punto di vista capitalistico, trovare una risposta sia in paesi sottosviluppati o zone franche dove si sono riuscite a creare condizioni propizie all'accumulazione di lavoro e capitale, sia nella creazione di figure altamente precarizzate e sottomesse da inserire nel processo produttivo senza trasferirlo altrove. Il proletario immigrato detiene a questo riguardo le caratteristiche necessarie e solo un percorso di ricomposizione che parta dalla creazione di autorganizzazione e dall'accrescimento delle soggettività immigrate che affermi il loro protagonismo può permettere di bloccare il disegno del capitale.
Una legge così discriminante risponde anche all'esigenza della classe dirigente italiana di ottenere consenso da una massa sempre più disorientata che, grazie alle campagne diffamatorie (dis)informative dei media che stanno accompagnando l'iter dell'emanazione della legge, può ora trovare nell'immigrato il soggetto sul quale sfogare le tensioni sociali accumulate.
Un altro obiettivo che la legge tende a rendere realizzabile è la separazione e la creazione di conflittualità tra gli immigrati stessi, per i quali si creano diversi livelli di garanzie e diritti in base a fattori come la fedina penale (meglio se candida), la durata della permanenza, e, naturalmente, il possesso del permesso di soggiorno.
Agli immigrati più integrati, più ubbidienti e remissivi viene così garantita una serie di microdiritti tra i quali la farsa della carta di soggiorno (Art.7, che esenta dal visto di reingresso e poco altro) e i diritti previsti dagli art.35, 36, 37, in base ai quali si fa promessa (?) di concessioni in materia di abitazione e diritto allo studio.
Da tutto questo sono naturalmente esclusi i clandestini, vera feccia della società, penalizzati anche per quel che riguarda l'accesso all'assistenza sanitaria (art.31, 32, 33, 34).
L'accettazione positiva da parte di immigrati già ben inseriti e da parte di associazioni di stranieri di questo disegno di legge deve essere letta proprio in questo quadro di tentativo di frammentazione delle diverse soggettività immigrate: occorre smitizzare e smontare la falsa solidarietà montata con alcune norme del ddl. e rifiutare la logica emendativa rispetto a una normativa che si propone di creare, per il fatto stesso di esistere, una frattura e una discriminazione.
Occorre contrastare con tutte le nostre energie leggi come quella predisposta dal governo Prodi, lottare per la libertà di circolazione e per il diritto di cittadinanza per tutti, senza che questi siano vincolati all'esistenza di un rapporto di lavoro, all'etnia o alla nazionalità e riconquistare l'unità della classe con lotte autorganizzate per il diritto a un reddito, alla casa, ai servizi sociali in qualità di cittadini tutti con gli stessi bisogni.
COLLETTIVO SENZA FRONTIERE PARMA
La nuova legge quadro in materia di immigrazione predisposta dal governo di centro-sinistra (?) Prodi non si discosta di una virgola dalla logica repressiva e discriminante di tutte le leggi o i progetti di legge emanati sulla questione dai governi precedenti o dagli altri paesi europei.