Tale forma di commercio si basa sulle EFTA (European Fair Trade Association) che comperano dai produttori dei PVS materie prime alimentari e prodotti artigianali e li pagano con prezzi più alti di quelli stabiliti dal commercio internazionale e dalla borsa.
Si saltano i processi di commercializzazione e le EFTA vendono direttamente i prodotti ai paesi del nord del mondo attraverso le Botteghe Terzo Mondo o Botteghe del commercio equo e solidale (Ibid).
Gli operatori del commercio equo e solidale traggono lo spunto morale nella loro azione dal fatto che le ragioni di scambio a livello di commercio mondiale siano fortemente sbilanciate a favore dei paesi a sviluppo economico avanzato, visto che il prezzo delle materie prime dei paesi del sud del mondo vengono acquistate a prezzi sempre più bassi.
Così si vogliono garantire "prezzi equi, decisi dagli stessi produttori in base ai costi reali di produzione, includendo un margine per gli investimenti in progetti sociali autogestiti" (dal volantino/documento di presentazione del CTM, Cooperazione terzo Mondo, distribuito dalla Cooperativa Mappamondo).
Il tutto è fatto con l'intenzione di "dare un contributo concreto per la costruzione di rapporti nord-sud più giusti, equi e umani......, un passo concreto a favore della costruzione di leggi commerciali più giuste, che ridiano eticità all'economia, per la creazione di una diversa consapevolezza nel consumatore sui rapporti nord-sud."(ibid.).
Le ambizioni progettuali di questi "buoni samaritani" che ripongono evidentemente un'eccessiva fiducia nelle possibilità di riformare in senso più democratico l'economia mondiale, sono contraddette dall'effettiva consistenza dei progetti realizzati: il commercio equo e solidale a livello europeo, a ben 35 anni dal suo avvio, coinvolge circa 100 gruppi di produttori in 33 paesi dell'Africa, America Latina e dell'Asia, per un totale di 40.000 persone impiegate (dal documento del CTM).
Come si può ben vedere, l'impatto sul commercio mondiale di questa economia alternativa è stato alquanto blando: non si è scalfito minimamente il dominio di un sistema che opera sulla base dello sfruttamento del lavoro e degli ecosistemi del sud e del nord del mondo: i prezzi dei prodotti che costituiscono i maggiori introiti in valuta per i paesi a sviluppo capitalista non avanzato, continuano ad essere fissati dalle borse di New York, Parigi, Londra eccetera, con una tendenza costante al ribasso.
A ben vedere però, il commercio equo e solidale questo sistema non fa che rinforzarlo, per cui sotto molti aspetti non si può che essere contenti della sua mancata diffusione su scala più generale (d'altronde non sembra nemmeno essere molto ricercato e inseguito dai produttori del sud del mondo).
Le cooperative di contadini e artigiani che producono per l'EFTA, non si sono create togliendo uomini e terre dal dominio delle multinazionali che gestiscono le grandi piantagioni per l'esportazione dei prodotti agricoli primari (cacao, caffè, thè, arachidi, canna da zucchero ecc.), bensì mettendo in pratica dei progetti all'interno di villaggi toccati solo marginalmente dalla mondializzazione dell'economia e del commercio.
Tra le strategie del capitalismo a livello mondiale, c'è nel sud del mondo quella della progressiva privatizzazione della terra in modo da riorganizzare la produzione agricola in funzione delle esigenze del mercato mondiale. Per la realizzazione di ciò ci si è serviti di leggi, contenute in tutti i Piani di Aggiustamento Strutturale, che tolgono alle comunità etniche o di villaggio il controllo dell'uso delle terre stesse (in Messico l'abolizione dell'ejido nel 1982, in Nigeria il Land Use Decree del 1978, in Marocco espropri veri e propri, in Egitto una legge del 1992 sottrae a partire dal 1997 i diritti agli affittuari dei terreni agricoli), o di espropri di migliaia di ettari di terreno per la realizzazione di progetti idrici faraonici (ad esempio le famose dighe finanziate dalla Banca Mondiale) che lasciano ogni volta centinaia di migliaia di contadini senza terra per favorire l'irrigazione delle grandi piantagioni.
Questi provvedimenti sono posti contro un obiettivo molto ben definito: le comunità autoctone e il controllo comunitario dell'uso della terra, che porta ad un'uso della stessa rivolto alla soddisfazione delle esigenze alimentari (autosussistenza) per poi riportare le eccedenze all'interno di reti commerciali autoctone, fuori da un controllo stretto del mercato mondiale.
Le dure lotte di resistenza contro le espropiazioni e per il mantenimento del controllo sull'uso della terra, confermano il fatto che dall'inserimento nel mercato mondiale, da molti considerato come l'ingresso nello sviluppo, gli abitanti del cosiddetto sud non hanno niente da guadagnarci, perchè il tutto si traduce in maggiori difficoltà di sopravvivenza, allontanamento dalle campagne con conseguente urbanizzazione e proletarizzazione: in pratica si sta riproponendo lo stesso processo descritto da Marx nel primo libro del Capitale cioè l'accumulazione originaria di capitale a partire dalla chiusura delle terre da uso comune (commons). ( sugli argomenti qui trattati, vedi "Donne e politiche del debito" e "Donne, sviluppo e lavoro di riproduzione" a cura di M.e G.F.Dalla Costa, "The debt crisis, Africa and the New Enclosures" di S.Federici in Midnight Oil, "The New Enclosures" a cura del Minight Notes Collective).
Rispetto a questi processi, l'azione seppur limitata della rete del commercio equo e solidale si pone non come ostacolo ma come sostegno di un processo di mondializzazione dell'economia e del commercio su basi capitalistiche.
Vi è un'impostazione molto eurocentrica del tipo: noi sappiamo come vi dovete sviluppare e organizzate il vostro villaggio così e così perchè così vivete meglio: le reti commerciali autoctone sono scalzate, i prodotti da coltivare non sono quelli che possono servire a sostenere il villaggio, soprattutto dal punto di vista alimentare, ma si mantengono o si introducono le coltivazioni dei beni da esportazione, cioè quegli stessi beni (cacao, caffè ecc) la cui produzione intensiva ha storicamente inserito le ex colonie in una posizione fortemente subordinata nella suddivisione internazionale del lavoro.
Si ripete in poche parole lo stesso errore compiuto dal cosiddetto Marxismo Terzo Mondista: in base a una concezione del processo di sviluppo ritenuto unico e immutabile, si sono volute estirpare le forme di autoregolamentazione comunitaria e di villaggio per dare vita a forme di gestione della terra ritenute più "avanzate" come le piantagioni di stato in Mozambico o le fattorie sul modello occidentale dello Zimbabwe.
La stessa logica civilizzatrice, la si nota nei progetti di tante ONG che, a parte un lavoro meritorio nelle aree di crisi, si trovano spesso a creare e a gestire progetti estranei a culture e popoli che hanno una loro propria dinamica, con finalità altamente discutibili, come quella di favorire la diffusione della religione cattolica-romana in aree favorevoli e di costituire un bastione contro la diffusione dell'Islam nelle zone di "frontiera" (solo così si spiega la quasi completa mancanza di interventi delle ONG cattoliche italiane affiliate alla Focsiv e al Cipsi in aree di crisi a prevalente religione islamica).
A conferma di questa impostazione "neocolonialista", occorre notare che, indipendentemente dalla loro consapevolezza, le Organizzazioni Non Governative sono utilizzate dai governi dei paesi di provenienza come capisaldi per la penetrazione e la dominazione economica dei paesi che "usufruiscono" dell'intervento: nel caso della Francia, le Ong sono delle vere e proprie "agenzie governative" che la diplomazia usa quando non voglia esporsi in prima persona. (vedi "Italia-Usa-Vaticano: le sinergie della cooperazione" di Germano Dottori sull'ultimo numero sull'Africa di LIMES).
Lo stesso autore, delineando le linee che la cooperazione italiana dovrebbe seguire per riuscire ad avere un intervento più "efficace" in Africa, suggerisce una maggiore "collaborazione tra pubblico e privato nel quale al Ministero degli esteri e alla sua Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo (Dgcs) spettino le funzioni di coordinamento e direzione strategica della politica di cooperazione, e alle ong il compito di operare sul campo, sfruttando la propria professionalità e valorizzando la propria vocazione umanitaria......Così facendo, la cooperazione italiana potrebbe avere anche nel Continente Nero l'occasione di riscattarsi, proponendosi .....come strumento utilizzabile sia difensivamente, per contribuire a controllare i flussi migratori, che offensivamente per preparare una penetrazione politico-economica selettiva in alcuni paesi ritenuti di interesse nazionale".
Ancora alcune riflessioni sulla impostazione di fondo di tanto volontariato che interviene su questioni a livello internazionale o sull'immigrazione: dagli scout alle coop.come i CTM: innanzitutto si fa solo e esclusivamente un discorso interclassista, il capitalismo va riformato ma in fondo è l'unico sistema che può funzionare. Al limite bisogna modificare gli atteggiamenti individuali, fare sacrifici, rinunciare ai consumi, pagare più cari alcuni prodotti per riuscire a rendere più giusto questo mondo: è un po' come dire che gli operai e i proletari occidentali sono responsabili della povertà dei proletari del sud del mondo perchè con i loro alti salari spingono il mercato a rifarsi sul prezzo pagato per i prodotti provenienti dal sud. Non vengono mai messi in discussione i meccanismi di base del capitalismo, la logica del profitto e la schiavitù del lavoro salariato.
Una logica conseguenza di questo è il fatto che qualcosa bisogna fare (le contraddizioni del capitalismo sono troppo macroscopiche per non essere notate)ma, per carità, mai mettere in discussione quello che succede a casa nostra: non a caso i nostri paladini sono sempre ben accetti nelle stanze del potere locale, ricevono in alcuni casi dei buoni finanziamenti ecc.
Ma non tutto finisce qui: questi antimperialisti (lontano da casa loro) non vedono di buon occhio chi si oppone al capitalismo e all'imperialismo partendo da casa loro: le leggi contro gli immigrati dovrebbero essere contestate in primis da coloro che, comunque una lettura un minimo precisa ce l'hanno su come funzionano le migrazioni a livello mondiale, ma non li vediamo mai promuovere qualcosa in questo senso.
Il mitico Tosolini, cavaliere senza paura e vero padre spirituale a Parma di questa area del volontariato terzomondista, ha dimostrato di saper andare oltre: nel suo ruolo di sbirro-vicepreside delle scuole Magistrali San Vitale, un po' troppo disturbato dalle studentesse ribelli che occupavano la scuola nel 1994 contro il progetto di autonomia scolastica, arrivava a minacciare le più attive di andarsene dalla scuola per evitare problemi, mentre per tutto il proseguimento dell'anno scolastico le ragazze, in particolare l'Arianna erano prese di mira con attenzione nelle interrogazioni e nei compiti in classe.
Coerentemente con le loro posizioni, Associazioni come Kwa Dunia, Mappamondo, Lega Ambiente, Arci ecc, non ci inviteranno mai a iniziative da loro promosse. Altrettanto coerentemente noi ce ne dovremmo fregare di loro, almeno finchè il collettivo vorrà mantenere una posizione classista di antimperialismo militante che vuole creare momenti di conflitto e antagonismo nel cuore stesso del capitale.
PS: Il tavolo di discussione di Madrid sull' economia al secondo incontro intercontinentale ha escluso tassativamente il sostegno al commercio equo e solidale come mezzo per combattere il neoliberismo.
Il commercio equo e solidale è un sistema di cooperazione internazionale "nato ragionando sul fatto che il sottosviluppo passa attraverso la mancanza di occupazione"(Lucia Lanzanova, su "Educare allo Sviluppo"1996,pag.44, raccolta di testi sulla Educazione allo Sviluppo curata da Associazione Kwa Dunia, Legambiente, Cooperativa Progetto Ambiente).