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 dalla psichiatria democratica
 
 alla non-psichiatria:
 
  bibliografia ragionata.

 

 

 

 

(a cura di m. del Telefono Viola Milano)

Questa bibliografia si pone come lavoro in progresso, suggerimenti, critiche o correzioni saranno accolte volentieri. I testi contrassegnati da un * non sono più in commercio ma sono comunque a nostra disposizione in fotocopia, se siete interessati, possiamo accordarci per farvene pervenire una copia. telviola@ecn.org

Giovanni Jervis, Manuale critico di psichiatria, 1975, Feltrinelli (*)

Manuale scritto prevalentemente ad uso degli operatori nel periodo caldo della contestazione allinterno degli ospedali.
E' strutturato in due parti, nella prima l'autore esprime un punto di vista critico (da intellettuale comunista, il libro si apre con una citazione dalla Ideologia tedesca di Marx) nei confronti dell'ideologia del benessere , della malattia e del sistema sanitario, espone una breve storia della psichiatria contemporanea e denuncia il ruolo repressivo dell'istituzione manicomiale e dell'ideologia della devianza (nonché della coppia normalità/anormalità) su cui esso si basa.Nella seconda parte è presente un “piccolo dizionario ragionato di psichiatria” (da “alcolismo” a “tossicomania” !). Entrambe le parti sono corredate di una bibliografia tematica molto ricca.
Jervis esprime il punto di vista più estremo e politicizzato della psichiatria senza comunque superarne l'ideologia scientifica e il ruolo dell'intellettuale professionista. Del resto ne è consapevole:

La rivoluzione non si fa con la psichiatria, e neppure la lotta politica si può fare solo con la psichiatria. Tutte le esperienze psichiatriche «alternative» sono solo esperienze più avanzate, che se vengono condotte correttamente dove la situazione è più favorevole possono talora fornire per un dato periodo sia un contributo utile e corretto per lotte politiche di massa, sia una più chiara presa di coscienza delle contraddizioni della società in studenti, operatori, amministratori, sindacalisti, quadri politici e semplici cittadini.
Se per «antipsichiatria» si intende una azione organizzata per abolire non solo i manicomi ma anche tutte le terapie psichiatriche mistificanti, integranti ed oppressive, occorre dire che una azione del genere (sul cui realismo ci sarebbe da discutere) non può comunque essere condotta da chi è operatore psichiatrico. Non è evidentemente il caso di riesumare la pretesa individualista, velleitaria, egalitaria, elitaria, ingenua e politicamente scorretta di quell'operatore tecnico che - così egli dice - «nega il proprio ruolo.

Per Jervis una affermazione simile non ha senso, chi vuole cambiare mestiere lo può sempre fare (e magari fare politica in qualche d'altro modo), per gli altri è d'obbligo scendere a dei compromessi. La polemica è qui rivolta nei confronti di posizioni tipiche di operatori come Giorgio Antonucci (vedi più avanti la sua posizione. )


I padri storici della anti-psichiatria sono gli inglesi Roland Laing e David Cooper. I testi pionieri:

Ronald Laing, L'io diviso, 1959, Einaudi
Ronald Laing, L'io e gli altri, 1961, Sansoni
David Cooper, Psichiatria e anti-psichiatria, 1967, Armando

Questi testi, che risalgono ai primi anni 60, hanno il merito di rompere violentemente con la rigidità storica della psichiatria tradizionale. Si critica la distinzione fra normalità e anormalità e si nega ogni significato al termine “malattia mentale” seguendo un approccio di studio soggettivistico e interrelazionale.
Si resta comunque in qualche modo ancorati ad un aspetto terapeutico e scientifico, il suffisso anti-, preposto a psichiatria indica prevalentemente il suggerimento di strutture alternative antiistituzionali e autogestite.
Sia Laing che Cooper, indipendentemente l'uno dall'altro, misero in pratica a Londra tali strutture alternative ottenendo ottimi risultati ma venendo osteggiati violentemen?>te dalle autorità accademiche (Per farsi un idea del clima di queste comunità alternative può essere interessante la visione del film "Family Life" di Ken Loach, anche se è stato girato alcuni anni dopo (1971), in un periodo in cui il discorso degli “antipsichiatri” si era ormai radicalizzato.)

Laing e Cooper sono anche considerati due padri della controcultura. Laing è psichiatra e psicoanalista, poeta, saggista, passato attraverso una serie di esperienze personali con LSD, interessato al buddismo, pacifista e contestatore su posizioni di estrema sinistra ma non legato a forze politiche. Nel 1968 radicalizza il suo discorso pubblicando

La politica dellesperienza e luccello del paradiso, 1968, Feltrinelli, (*)

Nel 1970 esce:

Nodi, Einaudi.

libretto di poesie basato sugli annodati “paradigmi di rapporti intrapsichici e interpersonali” dei quali egli fa risaltare la “eleganza formale di orditure della maya” (vocabolo delle filosofie orientali che designa l'insieme delle illusioni del mondo). Nello stesso stile è:

Mi ami?, 1978, Einaudi.

Cooper approfondì il viaggio all'interno della follia, per utilizzare la sua espressione, passando definitivamente dall'altra parte della barricata e venne perciò ostracizzato brutalmente dal resto del mondo accademico.
Il suo discorso successivo si fa negli anni ‘70 sempre più radicale e politico giungendo fino ai vertici più estremi della non-psichiatria:

D. Cooper, La morte della famiglia , 1971, Einaudi (*)
D. Cooper, Il linguaggio della follia, 1978, Feltrinelli

Ad esempio:

la follia è una proprietà sociale comune di cui siamo stati derubati, come siamo stati derubati della realtà ?>dei nostri sogni e delle nostre morti: dobbiamo riappropriarci politicamente di queste cose perché possano diventare creatività e spontaneità in una società trasformata”

Oppure,

la consapevolezza dell'oppressione è innanzitutto una coscienza della nostra oppressione personale, non quella di sventurati nostri simili; altrimenti saremmo quei celebri «liberatori di professione di altri» che sono certi psichiatri, preti, operatori sociali, insegnanti, eccetera”

O ancora

quando agli inizi degli anni sessanta, io presentai alla fine il termine infelice e infinitamente distorto di antipsichiatria, non esisteva una coscienza collettiva della necessità dell'impegno politico. In quegli anni eravamo tutti isolati nei nostri contesti nazionali di lavoro. Oggi ci sono migliaia e migliaia di noi che cominciano a riconoscere una dialettica nella nostra lotta attraverso al crescente solidarietà della nostra azione. C'è una dialettica che scaturisce dalla psichiatria e che confluisce attraverso l'antipsichiatria nella non-psichiatria (ovvero l'abolizione finale di tutti i metodi psicotecnologici di sorveglianza e di controllo). Lo sviluppo di questa dialettica è inseparabile dallo sviluppo della lotta di classe”

Per avere un idea del clima politico generale e dell'attivismo di Cooper e degli altri “antipsichiatri” intorno al ‘68 può essere interessante leggere:

David Cooper ( a cura di), Dialettica della liberazione, 1968, Feltrinelli (*)

sono gli atti del partecipatissimo ”anti-congresso” (aperto a tutti, autogestito, ecc.) omonimo tenutosi a Londra nel 1967 per iniziativa di un gruppo di psichiatri. Include gli interventi, fra gli altri, di R. Laing ,D. Cooper , G. Bateson , P.M. Sweezy, H. Marcuse, S. Carmichael.?>
Nel manifesto programmatico si legge:


“Tutti gli uomini sono in catene [...] Oggi un regno del terrore viene perpetrato e perpetuato su vasta scala. Nelle società opulente esso è mascherato [...] In un contesto globale la cultura è contro di noi, l'educazione ci vede schiavi, la tecnologia ci uccide. E' nostro dovere contrapporci a tutto ciò.”

Un altro pioniere dell' antipsichiatria è Thomas Szasz. Il suo lavoro si pone il compito di demitologizzare e deideologizzare la psichiatria e la psicoterapia. Meno politicizzato rispetto a Laing, Cooper (per non parlare poi delle esperienze italiane di Basaglia) egli parte dalla tipica posizione democratico-progressista americana della necessità morale e sociale della tolleranza e dell'imperativo del rispetto assoluto dei diritti dell'individuo.

Thomas S. Szasz, Il mito della malattia mentale. Fondamenti per una teoria del comportamento individuale, 1962, Il saggiatore.
Thomas S. Szasz, Legge, libertà e psichiatria, 1984* , Giuffrè (*)
Thomas S. Szasz, I manipolatori della pazzia. Studio comparato dell'Inquisizione e del Movimento per la salute mentale in America, 1972, Feltrinelli (*)
Thomas S. Szasz, Il mito della psicoterapia . La cura della mente come religione, retorica e repressione, 1981, Feltrinelli (*)
Thomas S. Szasz, Schizofrenia come simbolo sacro della psichiatria, 1984* Armando.(*)

Ne Il mito della psicoterapia Szasz fa in introduzione un bilancio della propria opera:

“Ne Il mito della malattia mentale mostro perché il concetto di malattia mentale è erroneo e fuorviante, in Legge libertà e psichiatria perché molti degli impieghi legali della concezione e degli interventi ps?>ichiatrici sono immorali e contrari agli ideali di responsabilità individuale, ne I manipolatori della pazzia perché le credenze morali e le pratiche sociali basate sul concetto di malattia mentale costituiscono una ideologia di intolleranza.
La credenza nella malattia mentale e la persecuzione dei pazienti psichiatrici hanno preso il posto della credenza nella magia e nella persecuzione delle streghe.
Nella presente opera estendo questa prospettiva critica ai principi e alle pratiche della cura mentale, nello sforzo di mostrare che gli interventi psicoterapeutici non sono medici madicarattere morale e quindi non sono veri e propri trattamenti ma solo metafore.”

Una buona antologia di testi per una visione panoramica generale sul disomogeneo mondo dell'antipsichiatria si ha in:

Laura Forti ( a cura di ), L'altra pazzia . Mappa antologica della psichiatria alternativa, 1975, Feltrinelli (*)

in questo testo è anche presente una bibliografia pressoché completa ( per quanto appunto lo consenta l' ambigua e non univoca definizione di “antipsichiatria”) della letteratura antipsichiatrica aggiornata fino al 1975.

Per quanto concerne il panorama italiano è d'obbligo citare Franco Basaglia, fautore delle battaglie antiistituzionali che hanno condotto poi sino alla legge 180 del 13 maggio 1978. Di Basaglia è uscita la raccolta completa degli scritti a cura della moglie:

Franco Basaglia, Scritti 1953-1980, a cura di Franca Ongaro Basaglia, 1981-82, Einaudi

questi scritti si articolano in due volumi :

Vol. 1° Dalla psichiatria fenomenologica allesperienza di Gorizia (1953-68),
Vol. 2° Dalla apertura del manicomio alla nuova legge sull'assistenza psichiatrica (1968-80)

Un testo rappresentativo della posizione di Basaglia e del?> contesto delle lotte italiane è :

Franco Basaglia (a cura di ) Listituzione negata, 1968, Einaudi (*)

Questo testo è linsieme di documenti, appunti e contributi militanti, come si legge nella presentazione, scritta da Basaglia stesso:

“La realtà manicomiale è stata superata con tutte le sue implicazioni pratico scientifiche e non si sa quale potrà essere il passo successivo.
Le uniche alternative possibili sono quelle di rinchiudersi nell' ambito istituzionale, con l'inevitabile involuzione di un momento dinamico che si fissa e si cristallizza, o di tentare di estendere la nostra azione alla discriminazione ed esclusione che la società ha imposto al malato mentale. Le discussioni, le polemiche, gli appunti raccolti nel volume hanno solo questo significato. L'analisi di una situazione che cerca un successivo superamento uscendo dal suo campo specifico e tentando di agire sulle contraddizioni sociali”

Vi furono, durante gli anni ‘70 anche molti congressi radicali a carattere “intellettuale” ma aperti al pubblico e molto partecipati. Un esempio significativo potrebbe essere:

Armando Verdiglione (a cura di) La follia. Atti del congresso internazionale di psicanalisi tenutosi l'1-4 dicembre 1976, 1977, Feltrinelli

A parte la discutibile figura del personaggio di Verdiglione, sempre teso a riaffermare il suo ruolo personale e quello della sua categoria di guru, e che tra laltro fu proprio in quella occasione contestato dal movimento milanese per vari motivi, al convegno si ebbero interventi interessanti molti dei quali influenzati dalla recente apparizione dell' Antiedipo di G. Deleuze e F. Guattari (vedi più avanti).


Testi di carattere storico:

Michel Foucault, Storia della follia nelletà classica, 1972, Rizzoli.

Questo testo è considerato unanimemente un capolavoro storiografico. Lautore segue il decorso storico del fenomeno follia parallelamente alle generali modificazioni economico-politico-sociali, allo sviluppo delle istituzioni territoriali atte ad occuparsi” di essa , alle sue rappresentazioni nellimmaginario collettivo ed infine alla progressiva formazione positiva della scienza” psichiatrica.

Un altro testo classico è:

Klaus Dörner, Il borghese e il folle. Storia sociale della psichiatria, 1975, Laterza.

Sulla situazione italiana :

Alberto De Bernardi ( a cura di), Follia psichiatria e società. Istituzioni manicomiali, scienza psichiatrica e classi sociali nell'Italia contemporanea, 1982, Franco Angeli (*)

Unaltra ricerca specifica dello storico A. De Bernardi sullo sviluppo storico dell'ideologia manicomiale in un particolare territorio è:

Alberto de Bernardi, Francesco De Peri, Laura Panzeri, Tempo e catene. Manicomio psichiatria e classi subalterne. Il caso milanese, 1980, Franco Angeli (*)


Un testo fondamentale , per il pensiero della seconda meta del ‘900 (il secolo deleuziano appunto secondo Foucault), analizza l'essenza e il ruolo della schizofrenia nel contesto della società capitalista:

Gilles Deleuze, Felix Guattari, Lantiedipo. Capitalismo e schizofrenia, 1973, Einaudi.

E' un testo di carattere filosofico dal linguaggio complesso che affronta, tra l'altro, il non semplice compito della Critica all'ideologia della psicanalisi, dello storicismo, dello strutturalismo, ed in general?>e del concetto di terapia ,ancorché “alternativa”. Per i due autori il delirio non è mai da intendersi in relazione alla storia individuale e relazionale dell'individuo, come fanno la psicanalisi e la psichiatria in modo altamente riduttivo, ma è sempre in funzione della storia e della cultura della società. Paranoici e schizofrenici in questa ottica delirano continuamente i continenti, le culture, le razze con discorsi il cui contenuto è politico, storico, culturale. Una breve introduzione molto chiara al loro discorso si trova nel già citato testo di Laura Forti, L'altra pazzia :

Vittorio Marchetti, Intervista a Gilles Deleuze e Felix Guattari


Per quanto riguarda la produzione italiana più recente, e più legata al contesto del Telefono Viola, citiamo :

Giorgio Antonucci, I pregiudizi e la conoscenza critica alla psichiatria, Prefazione di Thomas S. Szasz, Coordinamento Editoriale di Alessio Coppola, 1986 Cooperativa Apache srl - Roma
Giorgio Antonucci, Il pregiudizio psichiatrico, 1989, Eleuthera.

Antonucci si autodefinisce non-psichiatrico sottolineando la differenza fra questa posizione e quella “tradizionale” antipsichiatrica di Laing e Cooper, la quale , secondo lui è solamente una maniera diversa di concepire la psichiatria senza negarne il ruolo professionale. Di sfuggita notiamo come questa suddivisione rigida in campi sia sicuramente inaccettabile a chi abbia letto almeno alcuni testi fra quelli succitati, le posizioni degli antipsichiatri non sono mai omogenee e soprattutto si radicalizzano nel corso degli anni cosicché in definitiva anche Laing , e di sicuro Cooper, approdarono a quella negazione estrema che Antonucci definisce non psichiatria.
La distinzione a?>cquista però un senso in riferimento allo scontro politico avvenuto fra lui e Giovanni Jervis (il punto di vista del quale , a proposito, abbiamo già esposto) a Reggio Emilia agli inizi degli anni 70, scontro che , in definitiva , ricapitolava quello fra il movimento extraparlamentare e il P.C.I :

Jervis ragionava in termini di psichiatria e di tutela dell'ordine pubblico e distingueva i casi gravi e più pericolosi, da internarsi, da quelli meno gravi da assistere a casa. Io invece ragionavo in termini di conflitto fra individuo e società e di diritto dell'individuo ad essere rispettato nella sua libertà nel contesto di una società più aperta e meno intollerante.”

Per Antonucci in definitiva la psichiatria altro non è che una forma ideologica priva di alcun contenuto scientifico, non una conoscenza, ma una pratica il cui scopo è di “annientare la vita delle persone invece di provare le difficoltà della vita sia individuale che sociale per poi difendere le persone, cambiare la società e dare vita ad una cultura veramente nuova.”
Nel libro sono narrati alcuni episodi delle battaglie contro la psichiatria di Antonucci poiché, egli scrive,

"il mio pensiero ed il mio lavoro non hanno origine da convinzioni teoriche elaborate a tavolino ma sono il risultato di anni di esperienza con uomini e donne in un modo o nell'altro implicati in trattamenti psichiatrici (e che spesso nel libro fanno sentire la loro voce)"

Ad esempio, anche tramite l ausilio di documenti originali dell epoca, è raccontata l'esperienza del “gruppo della montagna” di Reggio Emilia che organizzava assemblee popolari con le comunità dell'Appennino le quali man mano prendevano coscienza del fenomeno "follia" come di un fatto politico.

Infine sempre di Antonucci un testo ?>quanto mai attuale (!) che racconta la storia e le motivazioni di fondo dell esperienza del T.V :

Giorgio Antonucci, Alessio Coppola, Noemi Bernani, Il telefono viola: contro i metodi della psichiatria, 1995, Eleuthera
(Questo testo è a nostra disposizione , se non lo trovate nelle librerie della vostra città possiamo spedirvelo in contrassegno, spediteci una mail o telefonateci)

Un'altra posizione di assoluta negazione, o indifferenza, nei confronti della “pseudoscienza” psichiatrica è quella di Giuseppe Bucalo:

Giuseppe Bucalo, Dietro ogni scemo c'è un villaggio. Per fare a meno della psichiatria, 1993, Sicilia Punto L.

Vi si narra dei casi in cui si è evitato il ricorso alle istituzioni psichiatriche nel contesto territoriale arcaico e rurale del paesino siciliano di Furci (Messina). Grazie ad una diffusa educazione alla tolleranza e alla comprensione, nonché alla messa in gioco di tutta una rete interrelazionale di appoggio per i soggetti “deboli” strettamente legata al concetto tradizionale di comunità questa microsocietà trae da sé le risorse per una gestione automatica non autoritaria della cosiddetta devianza. Se ci è lecito esprimere un dubbio però esso riguarda le possibilità di estensione di un tale modello comunitario, tenuto conto che le regioni tradizionalmente considerate ad alta potenzialità schizogena, cioè le metropoli e la provincia di recente urbanizzazione sono proprio quelle più deterritorializzate . Gli individui qui sono atomizzati, isolati, ed è difficile pensare che sia possibile ripercorrere a ritroso il percorso che, contemporaneamente all'evolversi delle strutture produttive, ha lentamente sradicato ogni forma di comunità tradizionale, con i connessi apparati di relazioni sociali, culturali, mor?>ali. Al posto di questa “utopia reazionaria” sembrerebbe più logico, ancora una volta, riproporre un superamento in avanti a partire dalle lotte, urbane, di trasformazione della realtà produttiva e sociale.

(Le date dei testi si riferiscono all'anno di pubblicazione nella lingua originale eccettuato quelle segnalate dall'** che si riferiscono invece alla traduzione italiana.)