
01 - 03 - 01 Wu Ming Si dal Messico
Ci sono cose che ti sembra di vivere in sogno.
Come trovarsi attorniati da migliaia di indios col passamontagna e da un esercito di donnine non più alte di un metro e venti, coi fazzoletti in faccia e laria ridente di bambine; e alcune lo sono veramente, altre hanno i figli al seno.
Ci sono cose che ti sembrano un sogno.
Trovarsi incoronati, come a Bologna, come a Praga e a Ventimiglia, ma questa volta lì in mezzo cè il subcomandante Marcos, che fuma la pipa tranquillo e saluta da dietro il finestrino.
Ci sono cose
Come attraversare di notte i vicoli di una città messicana, in fila per uno e zitti, cento fantasmi bianchi con la tensione che scorre nelle vene.
Ci sono cose
Come sentire il boato della folla che accoglie la Comandancia e poi quel silenzio assoluto, prima che quei piccoli uomini parlino da sotto i cappucci. Unatmosfera irreale, diecimila persone zitte, che ascoltano le parole del guerrigliero dalla voce lieve.
Ci sono cose che sembrano un sogno.
Esse catapultati in mezzo alle montagne messicane, con addosso una tuta da imbianchino, la scorta più improbabile per i combattenti più efficaci del mondo. O passare giorni interi su un pullman, senza mai lavarsi, o dormire in un campo da basket perché a cinquanta metri riposa la Comandancia.
Ci sono cose
Tepatepec, 28 febbraio 2001
Il paese è piccolo e compatto, tutto riunito qui.
La cosa che colpisce di più è che i bambini tantissimi non fiatano. Eccoci, sudati, lerci e col cuore in gola, mentre il comandante Eduardo cerca di scandire le parole, lette a stento dal foglio di carta; e non è solo lignoranza dignitosa di una vita trascorsa nella selva, cè lemozione di ritrovarsi davanti a tanta gente, a inceppargli la lingua.
Un piccolo paese stranito dalla nostra presenza, sguardi incerti verso los extranjeros que ayudan a Marcos.
I brividi si sono arrampicati su per la schiena, quando ha parlato la madre di Erika Zamora, studentessa dellUnam, incarcerata e torturata per il suo impegno politico.
"Perché?! Perché?! E non lo chiedo solo per mia figlia, ma per tutti i nostri figli".
Un silenzio irreale, la domanda sospesa sulla piazza. Per un attimo ci sentiamo in unaltra epoca, in unepoca di commozione e di lotte sociali possibili, di guerriglia semantica e di segni di vittoria lanciati dai finestrini.
Tanti ci applaudono, alcuni gridano "fuera los extranjeros!". Lo stesso che succede per Marcos, calunniato come straniero prezzolato da alcuni, adorato come un divo da altri.
Ragazzi, compagni, ci siamo ficcati nel mezzo delle contraddizioni, ancora una volta, la solita armata di "balordi" dalla testa dura, che ha attraversato loceano per affrontare questa impresa.
E mentre avanziamo tra le ali di folla che ci acclama, o ci guarda perplessa, o ci manda vaffanculo, il senso di molte parole diventa più chiaro ogni chilometro che passa.
Che occorre camminare domandando.
Che il buon cacciatore non è colui che ha una buona mira, ma chi ha un buon udito, chi sa ascoltare.
Che la parola consente di trovare ombre che la notte non contempla, e luci che il sole non dà.
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