La Francia è stata scossa nel marzo del 1994 da una vera rivolta studentesca contro l'introduzione del CIP, che con la scusa di favorire la riduzione della disoccupazione introduceva un salario d'ingresso per i giovani al primo impiego. Si è trattato della prima vera mobilitazione sociale, non dominata dalle figure tradizionali del lavoro salariato, su tematiche direttamente salariali.
Un movimento che si è caratterizzato per la violenza dello scontro con gli apparati dello Stato e che ha costretto l'allora governo Balladur a ritirare il CIP.
Nel corso del 1995 altre mobilitazioni hanno attraversato le università francesi, dalla lotta che ha ottenuto il ritiro dell'emendamento del governo Juppé per la riduzione dell'ALS, l'Allocation au logement, un sussidio per pagare l'affitto, fino alle mobilitazioni all'interno del movimento di novembre-dicembre, "ostacolate" però nel loro sviluppo dallo stesso riuscitissimo sciopero dei mezzi pubblici.
L'intervista che vi proponiamo tradotta proviene dalle pagine Web dell'Università di Paris VIII durante gli scioperi dell'autunno 1995, oggi non più on-line.
Georges Lapassade, sociologo, insegna a Paris VIII, Università che ha la propria sede nella banlieu di Saint-Denis, zona tradizionalmente rossa, da molti anni all'avanguardia nello studio dei movimenti giovanili e dei fenomeni controculturali e delle sottoculture. In italiano esce nel 1980 per la casa editrice Feltrinelli il suo Saggio sulle transe, oggi fuori catalogo. Sul numero 6 della rivista milanese "Decoder" è pubblicato un suo articolo dal titolo Rap francese. L'epoca del riconoscimento. Nel maggio 1995 partecipa a Roma al Convegno Culture giovanili e conflitti metropolitani organizzato dal Centro studi "La città senza luoghi" con una relazione su Islam dei giovani e "resistenza culturale", pubblicata nel volume M. Canevacci, R. De Angelis, F. Mazzi, Culture del conflitto, Costa & Nolan, Genova, 1995.
G. Lapassade: Io sono convinto che c'è sempre nei grandi movimenti sociali una dimensione di "transe". I rapporti abituali tra la gente sono cambiati. Non sono il solo a vedere i movimenti sociali in termini di transe. C'è tutto un gruppo di ricerca psico-sociologica da Gustave Le Bon a Serge Moscovici che si è occupato di questa questione. Sartre c'era molto vicino nella Critica della ragione dialettica quando descriveva il comportamento delle masse nel giorno della presa della Bastiglia. Parlare allora di "gruppi in fusione in una alta temperatura storica" e anche di "gruppo Apocalisse", una espressione di Malraux. Non ho visto, in questi ultimi giorni, dell'Apocalisse. I rapporti sociali restano freddi e un po' distaccati, come lo sono nella vita quotidiana universitaria.
C. Nestel: Diresti, allora, alla maniera di Baudrillard: "Lo sciopero non c'è stato, è stato tutto un simulacro?"
G. Lapassade: C'è uno sciopero in corso, ma è lo sciopero del metrò. Del resto tutti lo riconoscono, ma fa male dirlo. E questa difficoltà di formulare e riconoscere le contraddizioni e i limiti di questo sciopero è legata anche all'assenza di transe, poiché durante la transe la gente fa discorsi più veritieri che allo stato naturale. La parola esplode ovunque. Sartre dice a proposito del 1789: "Le chiese occupate rigurgitavano di folla, ognuno era oratore". Questa descrizione combacia perfettamente con l'Odeon occupato o la Sorbonne e con le altre Assemblee Generali del maggio 1968. La parola irrompeva ovunque in disordine, e questo provocava intuizioni e contrasti che facevano avanzare il movimento. In queste situazioni c'è qualcosa di ispirato, profetico da parte degli oratori. Oggi, invece, gli insegnanti si fanno delle lezioni tra di loro mentre gli studenti sono riuniti in un'altra aula.
C. Nestel: Ma non hai trovato niente di interessante in queste assemblee di insegnanti?
G. Lapassade: Sì, c'è una questione che mi ha interessato. Ci sono due tendenza: chi vuole dibattere dei grandi problemi della società e chi, al contrario, chiede che si parli dell'università, dei problemi dell'organizzazione locale, degli insegnamenti. Per esempio, uno studente chiedeva dei corsi serali, segnalando che si stava perdendo l'abitudine di istituirli. Non si è presa in considerazione questa proposta ed è stato un peccato, perché i problemi quotidiani sono, a mio avviso, dei veri problemi.
Per questo sono abbastanza pessimista. Penso che nulla muterà a questo livello. Del resto, ogni volta che c'è una crisi universitaria, si ritrova questa dicotomia. C'è sempre una parte, minoritaria, che vorrebbe che le cose mutassero localmente. Parlano, organizzano dibattiti locali, poi tutta ritorna nell'ordine.
C. Nestel: E dalla parte degli studenti, hai sentito la stessa freddezza?
G. Lapassade: No, poiché gli studenti sono giovani e hanno delle riserve di entusiasmo. Sono meno prigionieri dei loro ruoli sociali. Non hanno il problema di fare buona impressione, di fare le "persone serie", di ricordare che hanno responsabilità sindacali. Contrariamente al 1968, oggi ho una visione più superficiale del movimento studentesco, anche perché lo sciopero dei trasporti ha svuotato le facoltà. C'è qualche studente accampato in un locale: sono il simbolo di una occupazione proclamata, ma si devono sentire ben soli... Mi hanno fatto anche notare che c'erano pochi studenti nei cortei parigini. Sarebbe bene riflettere su tutto questo, senza tabù.
C. Nestel: Ma allora come dare un po' di colore a questo sciopero freddo e invernale.
G. Lapassade: Dicevo giusto adesso a degli studenti, un po' per scherzo, che si potrebbe organizzare qualche rave parties in questa università che è senza dubbio in sciopero, ma non di certo in transe. Io ho partecipato ad una di queste feste, e sono stato colpito per il calore con il quale ero accolto. La mia proposta di organizzare dei rave nelle facoltà era formulata col tono dello scherzo, ma in effetti ci credo abbastanza. Penso alla notte del 13 maggio del '68 alla Sorbona occupata. Noi avevamo portato nell'atrio un piano a coda necessario al gruppo jazz che avevamo invitato per festeggiare l'occupazione. C'erano dei militanti furiosi. Ci dissero che c'erano dei feriti gravi, forse dei morti, nella notte delle barricate: non era il momento di fare festa. La foto di quel piano apparve l'indomani in prima pagina su France-Soir. Il mio amico Mallet, sociologo, era in quel momento a Nantes tra gli operai che non erano ancora in sciopero. Glia hanno detto che la foto di questo piano, in quel luogo venerabile, aveva dato un'idea positiva del movimento studentesco, più che ogni altro discorso.
Ci saranno sempre dei militanti a dire che tutto questo non è essenziale. E probabilmente è vero, poiché il mio riferimento è, come dice Reich, "il piccolo, il banale, il quotidiano".
Terminerei con una citazione di Goffman. Dice più o meno così: "Io so che è più nobile per un sociologo osservare i grandi mutamenti sociali e cercare i mezzi per seguirli. Io vorrei fare altrettanto, ma constato, sfortunatamente, che in generale al posto di rivoltarsi, la gente dorme. Io vorrei comprendere il perché. E' questo che mi interessa. E' per questo che chiedo di poter andare da loro in punta di piedi evitando di svegliarli e osservare come dormono".
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