LAVORARE, LIBERARE
Un reddito minimo di Cittadinanza, generalizzato, incondizionato e cumulabile con altri redditi.
 
La mobilità del lavoro, che per i nuovi ceti cosmopoliti e colti della comunicazione e dell’informazione rappresenta una liberazione, legittima, dal posto fisso ed immobile, è vissuta viceversa da molti milioni di lavoratori nel mondo globalizzato come un ricatto inaccettabile. Un ricatto rappresentato dalla precarizzazione dei contratti di lavoro e dell’assunzione a realtà stabile di una vita divenuta precaria ed insicura. La mobilità del lavoro può avere senso liberante e diventare una risorsa per i singoli solo in condizioni di piena occupazione, in cui vi è scelta occupazionale; altrimenti diviene puro e semplice ricatto che passa per le tenaglie della flessibilità ed in cui la mobilità è una rincorsa al livellamento verso il basso che conduce ad impieghi meno garantiti ed alla disoccupazione permanente, per cui si è pronti ad accettare qualsiasi elemosina.
Ciò che, per ovvi motivi, l’egoismo d’impresa non è in grado di garantire sarà compito della Società portare a realizzazione. La garanzia per tutti di non venire sottoposti unicamente all’ipoteca del reddito da lavoro e della precarizzazione dei diritti contrattuali passa attraverso l’istituzione di un reddito minimo garantito, incondizionato, generalizzato (a disoccupati e non) e cumulabile ad altri redditi. La richiesta di un reddito minimo vitale è una costante della progettualità del movimento operaio e del riformismo novecentesco; una novità radicale sarebbe associarlo nel medesimo programma ad una redistribuzione del lavoro disponibile. In tal modo, con i benefici occupazionali portati dalla riduzione d’orario, si eviterebbero l’assistenzialismo e la passività, prodotti dalla trasformazione dei beneficiari di reddito minimo in una classe stabile di cacciatori di sussidio, sottoposti agli arbitri delle burocrazie e magari costretti a forme di lavoro coatto riemergenti dall’utilitarismo del primo XIX secolo.
Il reddito minimo può diventare uno strumento di garanzia della sicurezza e della vitalità sociale solo se associato a politiche di riduzione d’orario, e solo se non diviene un sussidio di disoccupazione, che si viene a lasciare qualora si trovi un impiego o si venga costretti ad accettarlo.

Un reddito di Cittadinanza è un’affermazione del diritto del cittadino, chiunque sia o da qualunque luogo provenga, ad una vita degna e politicamente libera e attiva, ed è cosa ben diversa dalla vita sussidiaria garantita ai soli disoccupati. Istituire un reddito di Cittadinanza, incondizionato, generalizzato e cumulabile ad altri redditi, è possibile e necessario. Dovrebbe rappresentare una quota minima vitale che i lavoratori vedrebbero tassata progressivamente in base al reddito cumulato; che i disoccupati otterrebbero per intero, salvo le tassazione di base, e che tutti potrebbero vedere integrato da un "salario fantasma", garantito dalla deduzione fiscale del proprio tempo prestato ad attività volontarie, socialmente e civilmente utili.

 

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