LAVORARE MENO
Una riduzione generalizzata ed immediata dell’orario di lavoro, a parità di salario, ed una redistribuzione del lavoro che c’è.

La tendenza è chiara. Le tecnologie che servono l’automazione e l’informatizzazione stanno cambiando volto al lavoro umano; non solamente nel settore manifatturiero, ma anche nei servizi ed in agricoltura.
L’eliminazione della forza-lavoro necessaria a produrre beni e servizi è quindi tendenzialmente generalizzata a tutti i settori produttivi; e non vi è alcuna ragionevole speranza che gli uomini e le donne espulse dall’Industria possano rientrare completamente dalla finestra quasi serrata dei servizi.
Le tecnologie dell’automazione e dell’informatizzazione hanno permesso straordinari aumenti di produttività del lavoro e, di conseguenza, una crescita estrema dei profitti. Tutto ciò va redistribuito; la crisi sociale lo impone, con l’unico mezzo giusto ed efficace adottato dalle società industriali da due secoli ad oggi: la riduzione dell’orario di lavoro. Dalle 14 ore, alle 10, alle lotte mondiali per le 8 ore, l’istanza del "lavorare meno" e "lavorare tutti", magari per vivere meglio e liberare il tempo, è stata sempre centrale nelle strategie del movimento operaio. Oggi, con la pressione esercitata dalla disoccupazione tecnologica di massa, tale opzione ritorna ad essere centrale ed assolutamente realistica. Di fronte a tali possibilità radicali, i padroni affermano la necessità di puntare alla "creazione di nuova occupazione"  (e dove?) ed al "rilancio dei consumi"  (ecologicamente insostenibile, già nel medio termine). Secondo l’opinione imprenditoriale la riduzione d’orario a parità di salario renderebbe non competitive le imprese italiane nel conflitto economico globale. È una menzogna; molteplici sono le soluzioni tecniche per evitare un aumento eccessivo del costo del lavoro: innanzitutto la ridotta disoccupazione permetterebbe allo Stato di spostare risorse dalla cassa integrazione, dall’assistenza ai disoccupati (in potenziale diminuzione), a politiche per finanziare la riduzione d’orario; in secondo luogo, un numero maggiore di redditi nella Società aumenterebbe la base dei contribuenti ed anche quella dei consumatori, aiutando sia il Tesoro pubblico che le imprese.

È possibile e necessaria una riduzione -generalizzata ed a parità di salario- dell’orario di lavoro a 32 ore, portando la settimana lavorativa a 4 giorni. È possibile ed auspicabile una riduzione individuale e volontaria dell’orario a 20 ore, impiegando almeno 12 ore a settimana in attività d’utilità sociale e civile, deducibili dalla tassazione e quindi integranti il salario, oppure scambiabili con altri "servizi" d’analoga "fattura" .

 

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