Testo di Oreste Scalzone tratto da IRIS, GIORNALE DI CRITICA DEL TEMPO, distribuito durante le manifestazioni del dicembre 1995





AMMUTINAMENTO, RESISTENZA UMANA COME ANTI-ECONOMIA


"VIVERE!" Era lo slogan di uno striscione innalzato da un gruppo di donne e di impiegati delle poste alla manifestazione del 5 dicembre a Parigi. In effetti, questo rifiuto di arrendersi, questa improvvisa voglia di reagire, resistenza umana contro il totalitarismo dell'economia e le sue logiche monetarie e finanziarie asfissianti, è qualche cosa che sfugge alle classificazioni abituali.

Classificazioni solitamente binarie: carattere riformista o rivoluzionaro? Lotta offensiva o difensiva? Un orizzonte prigioniero nelle gabbie rivendicative o prospettive che vanno oltre, al di là di questo orizzonte?

Lampi di una vita diversa

Accanto e attorno a tutto questo, il blocco dei meccanismi regolanti la vita quotidiana ha sconvolto i modi di vita. Una microfisica di incontri, una rete di solidarietà diverse - i passaggi in macchina offerti agli autostoppisti, per esempio, una certa gaiezza, una sorta di clima euforico al posto del solito malcontento antisciopero - hanno lasciato intravedere squarci di una vita differente.

Di fronte a questo, le valutazioni, riprese e amplificate dai soliti opinion makers, dei poteri pubblici e di intellettuali di ogni specie ("corporativismo", "egoismo volgare", e così via...) risuonano come delle oscenità. Se a ciò si aggiungono proclami falsi quanto inverosimili, manifestatamente paranoici e/o politicanti, come "gli scontri sono una provocazione poliziesca", si può mettere assieme un vero bestiario.

Quello che ci sembra inquietante è che le stesse espressioni trovino eco nella fraseologia rivoluzionarista, intrisa di ideologia e di morale, di belle anime sprovviste di ogni traccia di materialismo critico.

Forzatamente rivendicativa nella sua forma immediata, questo ammutinamento, questa resistenza mana al fondamentalismo terrorista della scienza economica contemporanea, ha in sé degli aspetti radicalmente sovversivi. Non è una novità che molti rivoluzionaristi non se ne accorgano: peggio per loro...

Il problema non è il mito della durata illimitata della protesta, né lo sciopero generale o la violenza.

La mondializzzione reale che sta riformattando il mondo, la crisi degli Stati-nazione, la radicale trasformazione della configurazione del lavoro., della relazione lavoro/non lavoro fanno sì che ogni modello di "rivoluzione", nel senso di "presa del potere" al vertice di uno Stato-nazione, ovvero di "politica rivoluzionaria" come arte rivoluzionaria di governare non è ormai più pensabile. E questo è bene.

Come se...

Apparteniamo ad un mondo che è contrassegnato da un un doppio paradosso: il primo è quello di una ricchezza, di una massa di beni prodotti (tralasciando in questa sede ogni giudizio di valoree critica del sistema del bisogno, della forma di mercato, dell'alienazione del lavoro...) che è immensamente più grande che, per esempio, nel '68, mentre le povertà assolute e relative aumentano; il secondo è rappresentato dal fatto che la massa di lavoro necessario a produrre questi beni è diminuita vertiginosamente, mentre la durata della giornata di lavoro individuale di chi ha il (ben triste) "privilegio" di avere un impiego è rimasta immutata.

Rottura

Si deve e si può cominciare con l'affermazione che è da considerarsi diritto naturale di ogni essere umano il disporre dei mezzi necessari a condurre un'esistenza decente e giungere alla propria autorealizzazione.

In maniera simile a quella con cui un altro diritto - quello di non essere schiavo - si è affermato!

Se "la base di valorizzazione non è più il tempo di lavoro individuale dell'operaio, ma tutto il tempo di tutti gli esseri umani", è giunta l'ora di prendere atto di questa rottura, già consumata, del nesso lavoro/salario.

E' tempo di affermare che dichiarare "chi non lavora non deve mangiare" è diventato niente altro che complicità nel massacro dei poveri della terra.

Reddito d'esistenza ottimale

E' partendo da questa richiesta - punto di partenza (per ora, invisibile, immaginario) di una specie di Cahier de doléances o libro delle lamentele, dei bisogni dei desideri, di ragionamenti e sogni - che si può aprire la strada a conseguenze imprevedibili. La sola cosa certa è che senza questa vera rivoluzione si dovrà considerare come fortemente probabile una fine apocalittica per la specie umana, gli altri esseri viventi, il pianeta tutto.

Tutto ridiventa possibile

Al contrario, se quest'idea così semplice e allo stesso tempo così difficile da realizzare comincia ad affermarsi tutto ridiventa possibile. Se questo mutamento radicale del punto di vista è decretato - nella mentalità, nelle pratiche teoriche, nelle critiche pratiche, nelle sperimentazioni, nelle lotte e nei conflitti - l'orizzonte potrà cominiare a riaprirsi.

Tutto quello che seguirà inevitabilmente - la terminologia, i processi, i contesti - tutto ciò dovrà essere affrontato dopo...

Bisognerà liberarsi dai pregiudizi e dalla tentazione di fissare tutto questo in un modello-progetto già itulizzato ("utopia di un mondo d'ozio" o all'opposto "inscrizione in una ristrutturazione della regolazione sociale", "comunismo" o "assistanat", ecc.).

"Decretare" l'accesso ai mezzi d'esistenza e di realizzazione personale

Potremmo definire questo "dopo" come il passaggio del lavoro (la sua forma individuale e collettiva, il suo rifiuto che relega alla miseria) alla libera attività. Questo implicherebbe la sperimentazione di forme embrionali di una rete di relazioni umane e sociali radicalmente differenti, nelle quali la realizzazione di ognuno sarebbe condizione della realizzazione di tutti e viceversa. Noi diremmo: il cammino verso modi di intendere ricchezze altre rispetto all'ammasso di protesi di mercato, con il male di vivere che accompagna la miseria e l'esclusione, che si conosce.

Un esempio: il fatto di decretare una cosa così semplice come l'accesso ai mezzi di esistenza e di realizzazione per tutti, per il solo fatto di essere nati sulla terra, non potrà non comportare una trasformazione radicale, un'uscita, prima di tutto concettuale, dall'orizzonte delle categorie della ragione economica. Ed anche allo stato attuale delle cose, di ciò che chiamiamo "salariato", "capitalismo", "economia", sarebbe impensabile che una tendenza in questa direzione non fosse apportatrice di una riduzione decisa degli orari di lavoro: con tutte le conseguenze che ciò comporterebbe...

Ecco, per cominciare.

Animale sociale

Quando l'ondata di lotta di questo dicembre 1995, nel suo carattere acuto, concluderà il suo ciclo, forzatamente, bisognerà passare dalla modalità della protesta clamorosa, dalla fase del black-out/sincope alla presa di consistenza di di una sorta di sistema di ruscelli confluenti verso un fiume, ognuno con le sue peculiarità, ma conservando delle tracce, profonde e irreversibili, di questo grande ammutinamento.

I lessici dicotomici dell'avvenimento tradizionale (avanguardia/massa, intellettuali/movimento, ecc.) appariranno per quello che sono: incrostazioni residuali, cristallizzazione di frammenti di ideologie, balbuzie del dogma, improbabili certezze, zavorra che blocca la radicalità virtuosa di questo grande animale sociale che chiamiamo movimento.

Capacità di esistenza e offensiva

E' la nostra scommessa. La pulce nell'orecchio ha guadagnato terreno nel corso di queste giornate in cui risuonava questo formidsbile NO! In ogni caso, queste giornate durante le quali un sasso è stato scagliato nell'ingranaggio della razionalità economica, costringeranno le reti decisionali a reintrodurre, nel numero delle variabili da tenere in conto, una capacità di esistenza e di resistenza potenzialmente offensiva degli esseri umani sia come singoli che come comunità. Cattivo risveglio.

Durante queste settimane non avremo avuto gli orologi rotti contro i "padroni del tempo", non si sarà visto l'inizio dell'estinzione della funzione del governo, dello Stato, della politica come linguaggio separato, sovrapposto, incaricato di inquadrare, regolare fatti, persone, cose, tempo. Ma almeno avremo avuto una pausa, l'intuizione di una vita diversa, nella quale si uscirà dalle rispettive paure e dove sarà possibile incontrarsi, sorridersi... Ci sarà stata la festa.

Non è poco, vedete.





Torna all'indice