"LE STRAGI DI STATO" -
ASSEMBLEA ORGANIZZATA ALL'UNIVERSITA' STATALE
DAI COMPAGNI DEL C.S. LEONCAVALLO -
Milano, 11 Dicembre 1989
CONTRIBUTO SCRITTO INVIATO ALL'ASSEMBLEA DAI COMPAGNI DETENUTI NELLE CARCERI SPECIALI
12 DICEMBRE 1969: quella strage di piazza Fontana, dietro la maschera democratica, cela il volto terrorista e stragista dello stato borghese.
La bomba di Milano è il primo anello di una catena di stragi e tentati golpe accompagnati da montature poliziesche e da provocazioni contro la sinistra rivoluzionaria.
Con una scelta unilaterale, le classi dominanti diedero il via all'aggressione armata contro il proletariato.
Dopo Piazza Fontana nulla è più come prima nello scontro tra le classi. Per questo, venti anni dopo, il 12 dicembre rimane una data simbolo nella nostra memoria.
Una risposta immediata lo Stato la ebbe nelle piazze, con la mobilitazione di massa in cui la sinistra rivoluzionaria giocava un ruolo da protagonista.
All'arresto di Valpreda, all'omicidio di Pinelli, la sinistra rivoluzionaria rispose individuando - da subito - l'innegabile responsabilità diretta degli apparati dello stato e della DC nella strategia delle stragi.
Ma il clima di avvenuta militarizzazione del conflitto di classe obbligò tutti i soggetti politici, rivoluzionari e non, a scelte che condizioneranno il decennio successivo.
La sinistra riformista, intimorita dalla violenza reazionaria, scelse la strada di compromesso e collaborazione di classe che la porterà a cooperare in modo diretto alla repressione del periodo emergenziale.
La sinistra rivoluzionaria, consapevole che la borghesia non esita ad impiegare tutti i mezzi, stragi comprese, per bloccare l'antagonismo di classe, cercò uno sbocco rivoluzionario alla spinta nelle lotte di massa del biennio '68/'69. E' in questo particolare clima sociale e politico che prende il via l'esperienza rivoluzionaria delle Brigate Rosse. Il tentativo rivoluzionario, pertanto, pienamente coerente con itinerari e scelte della sinistra rivoluzionaria, che muove i suoi primi passi dopo la scelta delle stragi da parte della borghesia.
Nelle ricostruzioni storiche ufficiali, piazza Fontana, le stragi successive, i tentati golpe sono ambiguamente definiti una pagina oscura nella storia della repubblica.
In realtà già allora la sinistra rivoluzionaria seppe dimostrare che non vi era nulla di oscuro nelle scelte delle classi dominanti, democristiani, industriali, servizi segreti, carabinieri, ps e fascisti, impauriti dalle lotte proletarie ed operaie del biennio '68/'69 reagirono con tutti i metodi per tentare di isolare, criminalizzare e reprimere i movimenti antagonisti e di classe.
Lo Stato, al servizio della borghesia, mostrò per intero i suoi limiti: nessuna tolleranza per un antagonismo sociale che mette in discussione la natura classista dello stato stessa.
Ancor più chiara è la continuità profonda tra le scelte reazionarie e stragiste dell'immediato dopo '68 e il furore repressivo del periodo emergianziale della seconda metà del decennio.
Lo stato delle stragi diventa lo stato delle carceri speciali: emergenza e democrazia blindata. La volontà di bloccare il protagonismo di massa del dopo '68 si prolunga nella fredda determinazione di sradicare i movimenti antagonisti negli anni dell'emergenza.
E' solo con il massiccio ricorso alla repressione che l'ordine voluto dalle classi dominanti torna a regnare nella società.
Poi sono arrivati gli anni '80 e il decennio reaganiano, durante il quale passività, rassegnazione, depoliticizzazione di massa sono interpretati dalla borghesia come una legittimazione incondizionata e definita del proprio potere. La voglia di ordine e di stabilità sociale alimenta l'ideale di una metropoli asettica, depurata dal terreno della conflittualità sociale e di classe.
Per questo l'autoritarismo costituisce un aspetto decisivo del modo di governare negli anni '80.
Tutto ciò che sfugge all'immagine patinata dell'Italia prospera e pacifica viene affrontata col pugno di ferro.
I centri sociali sono criminalizzati poi sradicati dalle ruspe delle immobiliari protette dagli sbirri.
La repressione nelle fabbriche viene rafforzata nella limitazione del diritto di sciopero. La questione droga strumentalizzata dai gorilla del PSI, e ridotta a problemi di sbirri e carcere.
Dentro i muri delle carceri speciali sono ancora ben saldi nel tenere chiusi i comunisti e nel minacciare chi si ribella e lotta.
Il neoautoritarismo di oggi è figlio legittimo delle scelte reazionarie dell'immediato dopo '68, del resto - come per beffa - la continuità dal lato delle classi dominanti è dimostrata persino dall'interrotta permanenza al potere di alcuni dei riciclati protagonisti della "normalizzazione" di questi anni, che sono Andreotti e Forlani.
E' in questo clima di restaurazione sociale, politica e culturale che la borghesia decide la storia di questi 20 anni con un solo obiettivo: assolvere se stessa, la memoria storica delle classi deve convergere verso un'immagine di una democrazia maturata nella resistenza ad opposti estremismi, finalizzati, che l'hanno aggredita.
Deve sparire la storia dello scontro di classe tanto aspro da sfociare sul terreno armato, così come non deve esserci traccia della responsabilità sì, ma della borghesia, nella militarizzazione del conflitto stesso.
E proprio a questa riscrittura interessata degli anni '70 sono stati deviati decine di processi politici.
I processi farsa in cui sono stati regolarmente assolti i manovali dello stragismo, fascisti, e agenti del servizio segreti, e i processi in cui sono stati sepolti sotto secoli di carcere i comunisti.
Perchè la classe dominante non ipotechi il futuro occorre strappare il monopolio del passato dalle ricostruzioni storiche ufficiali ritagliate sugli interessi della borghesia occorre contrapporre la storia dal lato dei movimenti antagonisti e di classe, dal lato dei soggetti politici e sociali protagonisti di quello straordinario ed originale tentativo di trasformazione sociale rivoluzionaria che ha attraversato gli anni '70.
Una memoria storica addomesticata è uno dei presupposti idologici di questa democrazia che si vuole eterna, ed è insofferente all'idea stessa di un'alternativa rivoluzionaria e di classe.
Per questo non accetteremo mai che la storia del movimento rivoluzionario sia manipolata contro l'attualità delle sue ragioni sociali e ideali.
Per questo vogliamo che tutte le pagine bianche della recente storia italiana, da piazza Fontana in poi, siano riempite con una denuncia chiara ed inequivocabile delle responsabilità della democrazia cristiana e degli apparati dello stato.
Sulle convulse trasformazioni dei paesi dell'est si svolge la scomposta arroganza di vittoria delle borghesie occidentali, mercato, profitto, parlamentarismo vengono elevati a rango di punto di arrivo della storia, unico involucro sociale accettabile per l'uomo, quale che sia la sua condizione di classe, dinanzi alla profondità di questi mutamenti ed alla sostanza autoritaria, classista, limitata delle democrazie occidentali, noi riaffermiamo l'attualità della trasformazione sociale del comunismo come unico soggetto credibile di liberazione sociale ed umana.
Per questo noi prigionieri delle brigate rosse crediamo che la sinistra rivoluzionaria, le forze comuniste possano impiegare un ruolo importante, in questo paese, dove le classi dominanti mescolano da quarantanni un trasformismo inquieto all'uso spregiudicato della repressione.
Con la decisione di un passaggio alla lotta politica aperto e di massa vogliamo contribuire direttamente al processo di riorganizzazione della sinistra rivoluzionaria e di classe, partecipare con tutto il peso della nostra esperienza alla ricerca di itinerari comuni fra tutti i soggetti che pongono la trasformazione sociale al centro della propria attività.
La strage di stato è uno slogan che unisce immediatamente generazioni diverse di compagni. Coloro che lo urlarono subito, intorno alla bara del compagno Pinelli, e i compagni più giovani che si sono ribellati all'inganno dell'Italia postmoderna.
Uno slogan che unisce voi che sieti lì riuniti, a dimostrare che ce ne vuole prima che i comunisti si estinguano, e noi prigionieri politici che al di qua dei muri di cinta delle carceri speciali rivendichiamo con orgoglio la nostra storia, la nostra scelta di rivoluzionari. E' un filo rosso che ci unisce e che non si è mai spezzato, ma dobbiamo irrobustirlo, non solo con la solidarietà, non solo con il richiamo alla comune storia, ma soprattutto con le comuni battaglie politiche che dobbiamo condurre contro i diversi luoghi dell'autoritarismo borghese.
Rebibbia, Novara, Cuneo, Dicembre '89
Per il comunismo
Pasquale Abbatangelo
Renato Aureli
Anna Laura Braghetti
Paolo Cassetta
Gerardina Collotti
Prospero Gallinari
Claudia Gioia
Francesco Lo Bianco
Francesco Maietta
Fabrizio Melorio
Remo Pancelli
Francesco Ruggeri
Teresa Sciliga
Bruno Seghetti
Severino Durini