"LE STRAGI DI STATO" - ASSEMBLEA ORGANIZZATA ALL'UNIVERSITA' STATALE
DAI COMPAGNI DEL C.S. LEONCAVALLO - Milano, 11 Dicembre 1989


INTERVENTO DI UN COMPAGNO DI MILANO

Il dibattito è partito dal volantino di convocazione che i compagni hanno fatto per questa serie di iniziative.
Come tale esprime dei contenuti in maniera sintetica, perdendo alcuni passaggi. Infatti, credo di aver premesso, nel mio intervento precedente, che la domanda iniziale, la prima che ci si è posti organizzando questa serie di iniziative, è stata in sostanza un problema di sintesi, cioè quali domande e quali risposte, quali contenuti bisogna trasmettere a un movimento privo di memoria, formatosi nella sua massima parte, e scusate per quei pochi compagni che hanno un'età maggiore, in un periodo diverso da quello della strage di Piazza Fontana e degli anni seguenti.
Questo perchè è un movimento che probabilmente è privo di reminescenze, impostazioni, o - se vogliamo - vizi di forma (ed è parte del dibattito stabilire se siano vizi o virtł) che Umberto citava prima.
Noi abbiamo riconosciuto - in grande chiusura, credo - i fascisti come forze antisistema, non per questo riconoscendoli come possibili alleati, ma giustamente come nemici.
Io credo che fosse molto pił difficile, allora, riconoscere delle forme antisistema che ponevano in discussione una dialettica interna anche alla destra, così come, noi che non abbiamo vissuto tensioni di determinazione e di lotta per la democrazia, di impostazione del problema in tal senso delle stragi, abbiamo proprio la capacità di guardare indietro con tutta un'altra dimensione, a questa serie di problemi. E pure abbiamo sperimentato in questi anni '80 il permanere di alcune forme, anche oggi, che hanno svolto un'altra funzione. Questo per dire cosa?
Che nella seconda parte del volantino, che Umberto non citava fino in fondo, si è posto un problema centrale, io credo, aldilà dell'interpretazione della strage, che è vista in un'ottica di semplificazione estrema: il problema del riformismo, del partito comunista, delle sue strategie negli anni '70, in quei primi anni '70 e nei secondi anni '70 come loro estensione.

Posto chiaramente nell'ottica di quello che è oggi il problema delle scelte di un movimento di fronte a un fallimento inequivocabile della strategia rivoluzionaria, di una sinistra rivoluzionaria all'interno di questo paese negli anni '70. Però al tempo stesso oggi, dopo anni, finalmente, verifica il fallimento della strategia riformista, cioè verifica il fallimento sostanziale della via delle riforme e del modo strutturale in cui questa è impostata.
Noi facciamo riferimento innanzitutto, ma di questo ne parliamo dopo, ai poteri dello stato, a parti dei poteri dello stato, che poi all'interno di queste si identifichi quello che Umberto chiama il potere, cioè il potere come forma alta del comando all'interno di tutte le articolazioni dello stato, di tutte le forme di potere che si danno all'interno di questo paese, questo probabilmente è cosa vera. Questo è un problema che rimane indeterminato anche all'interno del nostro dibattito.

Al di là di quella che può essere l'interpretazione, da parte marxista, di quelli che sono i poteri reali dello stato, il problema - io credo - sia poi di identificarne la forma, ancor prima che la sostanza. Dove essi si identificano realmente e attraverso quali elementi strumentali essi questi si diano.
Perchè Umberto, per esempio, citava prima tutta una serie di strumenti e, chiaramente, inditerminato rimaneva il problema dei protagonisti, degli attori principali, non degli attori sulla scena o degli attori dietro le quinte, che gestiscono la strategia. Questo è un problema di interpretazione. Probabilmente Umberto ci può dare la sua idea degli attori protagonisti però, credo, che siano cose che poi vadano lasciate al dibattito, alla cognizione di ciascuno, però - diciamo - tra le cose lasciate in sospeso.
Non perchè, forse, non se ne abbia un'idea chiara ma perchè, forse, è cosa complessa e non ovvia esprimerla. Forse non conveniente esprimerla.

Il nostro convincimento è che allora, dal nostro punto di vista, una parte dei poteri dello stato sicuramente, a nostro modo di vedere, e lo coglievamo anche nel documento dei compagni delle brigate rosse che sono intervenuti, esprimevano in modo reale il convincimento che il problema del contenimento del conflitto sociale potesse essere espresso attraverso delle istituzioni autoritarie e forti. Ma che questo fosse un convincimento reale, era dato probabilmente anche dal fatto che anche a a sinistra esisteva questa percezione diffusa, e nel dibattito i compagni hanno ricordato a volte il convincimento di Feltrinelli, a quel punto portato fino alle estreme conseguenze sul piano organizzativo, ma che - io credo - era abbastanza esteso, almeno così noi lo percepiamo, se poi i compagni che allora magari hanno vissuto queste lotte e questi dibattiti antagonisti vogliono puntualizzare anche gli aspetti di quello, secondo me, puo'essere importante.
Quindi, una tensione reale perchè altrimenti non si spiegherebbe il perchè, senza avere una cognizione precisa delle strategie - come secondo me non avevano - ci sono attori che si prestano ad un certo tipo di operazioni.

Umberto citava prima il golpe Borghese e il fatto che nessuno entra nella città di Roma con il convincimento di fare certe cose, fuori dalle linee strategiche, se non ha un altro tipo di percezione, che può essere una figurazione ideologica, una proiezione, chiaramente sul piano della forza, perchè qui è chiaro rientra in quella che è la psicologia di un certo movimento di destra, sicuramente quello di quegli anni, però, attenzione compagni, credo che nessuno si è posto il problema del golpe.
Io credo, compagni, proprio per quest'appartenenza alla sinistra che è venuta dopo, non abbiamo mai avuto il dubbio, credo, almeno per quello che concerne noi, compagni dell'area dell'autonomia, chiamatela come vi pare, dei centri sociali, che in Italia si sia sfiorato realmente il problema di un golpe, non abbiamo mai avuto la percezione di questo. Neanche quando, da sinistra, sono venuti gli elementi che avrebbero potuto portare a una soluzione di questo tipo, cito ad esempio l'arresto dei compagni vicino a Senzani, e Senzani stesso, credo relativamente al tentato attacco al congresso nazionale della democrazia cristiana con i missili terra aria ecc.. Il problema che si poneva a sinistra era: che cosa succede nel momento in cui si verifica una cosa di questo tipo, i carabinieri cosa fanno?
La struttura dell'arma dei carabinieri, e gli apparati, come reagiscono a una cosa di questa gravità? Ma anche questo io credo rientri in quella dialettica politica, in quel gioco delle parti di cui Umberto prima parlava che è coscienza di ognuno di noi. Nessuno, però, ha parlato mai di golpe per questo convicimento reale, i compagni delle Br lo facevano notavo, perchè siamo convinti che questo non fosse un problema reale.
Reale era invece la stabilizzazione, d'attuarsi o attraverso la via autoritaria, che non è necessariamente quella del golpe, oppure - e questa è l'importanza secondo me della seconda parte della discussione che si sta facendo - attraverso il contenimento delle lotte sociali.
E bene citava Umberto prima, dicendo che il problema delle lotte era il loro contenuto eversivo da un punto di vista della richiesta di potere che queste esprimevano aldilà della rivendicazione salariale.

A questo punto c'è tutto quel dibattito sull'identità della lotta economica e della lotta politica che fa parte del patrimonio di almeno alcuni di noi, e che oggi non fa pił parte della storia, ma allora probabilmente sì.
La stabilizzazione significa questo, e si pone il problema della forma della stabilizzazione, come contenimento delle lotte sociale. Allora compagni andiamo pił avanti seguendo quella strada effettivamente perseguita, perchè la stabilizzazione, in questo paese, non è passata attraverso - in se stesse - le leggi emergenziali, le leggi speciali, ma attraverso quello che nel volantino e nei manifesti viene definita la via delle riforme. Cioè - in sostanza - attraverso un passaggio che poneva nelle mani del partito comunista e della sua dirigenza il compito di svuotare le lotte sociali e il conflitto sociale della carica eversiva e di potere politico che era instaurata all'interno.
E' una realtà compagni estremamente grave e discuterne significherebbe ammettere che milioni di donne e uomini hanno lottato all'interno di un processo che andava aldilà delle loro aspirazioni, che in realtà - aldilà delle loro richieste - tendeva a un meccanismo di stabilizzazione, e ad esprimere, in un'ultima analisi, un problema di controllo sociale, in una specie di infernale corto circuito.

Dentro questa cognizione precisa della strategia di contenimento delle lotte sociali è passata una stabilizzazione che - tra l'altro - contiene la suo suo interno anche le leggi dell'emergenza, che non sono state il portato di una cultura di destra, reazionaria, ma sono passate, e lo sappiamo benissimo, con l'avallo preciso o con l'astensione e in alcuni casi addirittura con il voto favorevole del partito comunista.
Allora il problema è di connettere questo tipo di strategia risultata vincente e poi attuata in questo paese con il problema delle stragi.
Io credo che Umberto abbia avuto il merito di mettere a fuoco questo aspetto del problema connettendo le stragi a una pressione mirata rispetto alla società, e in particolare a quella parte della società organizzata all'interno del partito comunista con la sua dirigenza. E' stato questo difatti il meccanismo, io credo, attraverso il quale è stata portata avanti l'accettazione da parte della dirigenza del partito comunista di questo ruolo che gli è stato attribuito.
Dopodichè compagni, io non so andare oltre, oltre questo tipo di meccanismo che si è venuto ad instaurare, perchè il problema della tragedia del riformismo in questo paese ha ragioni lontane, non si esaurisce negli anni '70, ce lo troviamo legato in maniera indissolubile in questi anni in cui tra l'altro il partito comunista disegna e ridisegna il proprio progetto, occhieggiando, in ultimo è bene ricordarlo, anche ai movimenti di lotta. Guardando a questo terzo della società che noi dovremmo praticamente rappresentare in qualche modo, in quanto cosa, non certo come rappresentanza reale, perchè non abbiamo forme di rappresentanza quando ci esprimiamo attraverso l'azione diretta, la democrazia diretta, ma in quanto siamo un elemento di confine tra questi terzi della società.
Siamo l'elemento in cui una parte della società, i cosiddetti invisibili, si esprime e in questo quadro risultiamo importanti per un progetto come quello del PCI, che tende in qualche modo a raggrupare in sè le differenze e a farsene in qualche modo portatore.
Siamo anche lì all'interno di questo, siamo all'interno di questo quadro che si disegna e si ridisegna, siamo chiamati a riflettere sul passato e quindi anche sulle determinazioni del presente, non è che dobbiamo discutere del cambiamento del nome del Pci, noi discutiamo delle strategie perchè cerchiamo di elaborarne una nostra, dopodichè lo ribadisco, noi non siamo in grado di andare pił in là, Umberto poneva il problema della strage di Bologna, io credo che su questo probabilmente ha ragione a porre uno iato, cioè è una separazione, tra quelle che sono quel tipo di stragi dei primi anni '70 e quello che è avvenuto dopo. Diciamo che Bologna è un problema di tempo storico, e i movimenti di lotta e le generazioni politiche guardano al tempo storico piuttosto che ad altre forme cognitive, in questo modo abbiamo un problema di storicizzazione, un problema di cognizione di qualcosa che è ancora troppo vicino a noi per riuscire a razionalizzare per intero. Però, compagni, questo è uno sforzo che dobbiamo fare perchè se no rischiamo di farci sfuggire questioni ugualmente complesse e, come diceva prima Umberto credo con ragione, anche molto pił complesse e molto pił raffinate che passano oggi sulla nostra testa e che, forse, in parte, siamo anche in grado di aggredire.
Diceva prima, ancora una volta Umberto, scusate se continuo a citare lui, ma credo che il suo intervento complesso abbia posto un po' anche il filo dell'assemblea e colto alcuni degli aspetti di quest'assemblea, che il problema della mafia non ci riguarda perchè noi siamo a sinistra e quindi abbiamo di queste cose una visione post rivoluzionaria.
Cioè queste cose ce le risolviamo a cose fatte, quando il bottino sarà portato a casa. Io credo che le cose non siano così e qui c'è proprio la spaccatura - io credo - tra quello che è un movimento di sinistra e a sinistra, formato e interpretato in anni passati e ciò che noi rappresentiamo, oggi. Non perchè noi rappresentiamo il nuovo, ma come livello di continuità del dibattito fra una parte di quella sinistra che non può essere identificata sicuramente con quella che Umberto citava prima. Ci siamo posti questa serie di problemi, oltre ai compagni di Catania che hanno su questo problema analisi pił avanzate e comunque un rapporto nel quotidiano che li mette in stretta relazione con questo, anche quando si trattava di interpretare leggi come la Russo Jervolino. Compagni, ci siamo posti in assoluta modernità anche con questo tipo di direzione, mettendo il problema della mafia in relazione all'estendersi e al ramificarsi del mercato degli stupefacenti e quindi alla creazione di centri di potere economico nuovo all'interno dell'assetto sociale e della distruzione delle forze delle vecchie forme di "devianza organizzata" legata comunque ad altri assetti economico-sociali.
Noi abbiamo posto tutto questo, secondo un tipo di formazione degli aggregati economici legati al traffico degli stupefacenti, come chiave di un'intera campagna politica che non si è esaurita nemmeno oggi.
Noi siamo arrivati a Parco Lambro '89 con questo problema, insisto ancora una volta, del perchè lo stato arriva oggi alla definizione di una legge repressiva rispetto agli stupefacenti in generale e di normazione sociale. Credo quindi che sta alla capacità di questo movimento di elaborarsi in forma nuova.

La cesura di questo passaggio io credo è sicuramente una cosa negativa, se relativa al fatto che siamo privi o quasi di memoria rispetto alle cose che forse Umberto citava, ma a volte la mancanza della memoria risulta essere un dato positivo.
Sarebbe importante cogliere la positività di entrambe le cose come capacità di essere nel nuovo e ha grande importanza e grande ruolo, dentro questo tipo di capacità, cogliere la positività di quei compagni che fanno da cinghia dentro la memoria, dentro la coscienza fra questo movimento e la coscienza acquisita, accumulata da un movimento passato.
Credo che sia necessario lavorare nei movimenti con estrema spregiudicatezza di analisi e innovando continuamente anche il patrimonio che ci viene trasmesso.
Questo credo sia un po' l'insegnamento per noi di questo 12 dicembre e che sta al centro del dibattito anche come capacità di critica e di autocritica come presupposto della formazione del nuovo, in qualche modo.