ATTUALITA' DELLA
LOTTA DI CLASSE NEGLI USA.
Brano tratto dalla Rivista “Carré
Rouge” del novembre 2002
Traduzione di Susanna Angeleri per REDS. Aprile 2005.
La
campagna preparatoria alla guerra in Irak dell’amministrazione Bush provoca
l’inquietudine del mondo intero. Dal momento del flop speculativo delle
azioni della “nuova economia” e dell’attentato dell’11
settembre, la risposta economica e militare della prima potenza imperialista
appare più che mai una minaccia per l’umanità. Ma un antimperialismo
che si riducesse essenzialmente ad una forma di antiamericanismo sarebbe una
trappola. Concepire la popolazione degli Stati Uniti come un unicum, nazionalista
e reazionario, docilmente allineato dietro i suoi dirigenti, con la sola eccezione
di un pugno di intellettuali di sinistra, significherebbe facilitare i progetti
della borghesia americana.
Antiamericanismo o antimperialismo? «L’altra America»
risponde
L’attualità più diretta smentisce una simile unanimità.
Un movimento contro la guerra sta nascendo per iniziativa di un collettivo che
si chiama « Not in our name» (non in nome nostro). Durante il fine
settimana del 5-6 ottobre 2002, un anno dopo l’inizio della guerra in
Afghanistan, diverse decine di migliaia di persone hanno manifestato contro
il piano di guerra in Irak, in circa una trentina di grandi città tra
cui New York, Los Angeles, San Francisco e Chicago.
Con grande dispetto di Bush e di una serie di multinazionali, una mobilitazione
di portuali ha bloccato per diversi giorni i 29 porti della costa occidentale
degli Stati Uniti. Dopo la serrata dei padroni, Bush ha deciso di costringere
i portuali a riprendere il lavoro per ottanta giorni. Ha fatto ricorso alla
legge Taft- Hartley del 1947 che non era stata più usata da ventiquattro
anni. Ma il movimento ha potuto riprendere dopo questo problema con una determinazione
raddoppiata.
Non si tratta di esagerare la portata di tali fatti, ma di constatare due fenomeni
importanti: 1) La popolazione americana sembra sempre più reticente a
seguire Bush nei suoi progetti di guerra, se si dà credito a sondaggi
recenti. Una parte dei giovani studenti è ostile alla guerra e lo dimostra.
2) Il pretesto della «crociata anti terrorista» non riesce a impedire
ad alcuni settori del mondo del lavoro a ricorrere alla lotta collettiva per
difendere i propri interessi. Oltre al movimento dei portuali, occorre segnalare
la mobilitazione molto forte, in particolare a Boston, da diverse settimane
di migliaia di «janitors», persone preposte alla sorveglianza e
alle pulizie dei grandi palazzi.
Stereotipi e realtà sociali
È impossibile spiegare qui con precisione le tendenze complesse e contraddittorie
che colpiscono un corpo sociale di 285 milioni di abitanti. Per di più,
il quadro della società americana che ci si poteva rappresentare due
anni fa, è attualmente modificato dal movimento di un’economia
in recessione. A ciò si aggiunge l’intervento di uno Stato ipertrofico
che dispone di fondi considerevoli, per mascherare in parte le incrinature di
questa economia, a colpi di sovvenzioni a scopi protezionistici in particolare
nei settori dell’acciaio e dell’agro – alimentare, a suon
di salvataggio dei gruppi in fallimento come le compagnie aeree e di commesse
massicce in particolare alle industrie legate agli armamenti.
All’inizio di settembre 2001, nel momento in cui le cifre annunciate dalle
grandi ditte erano nel loro insieme catastrofiche, l’attentato contro
le Twin Towers ha offerto alla borghesia americana l’opportunità
di intensificare il suo arsenale repressivo contro i propri cittadini, prima
di tutto i lavoratori e quelle e quelli che contestano il suo dominio. Ha colto
l’occasione di introdurre una forte dose di patriottismo in tutta la società
e di costringere le classi popolari a dei sacrifici nel nome della difesa dei
«nostri valori». Quei valori “i più alti”, non
potendo essere durevolmente quelli di Enron, di WorldCom o di Anderson, come
si ebbe in seguito l’occasione di vedere. Non potevano che essere valori
fittizi, ma su un altro terreno: i valori della «Morale», della
«Libertà» e della «Nazione». Per difendere in
maniera efficace gli interessi del capitalismo americano, i dirigenti degli
Stati Uniti hanno bisogno di arruolare ideologicamente tutte le classi sociali.
A questo scopo, hanno bisogno di dissolverli in delle intese grandiose: gli
Stati Uniti, asse del Bene e « paese libero», « paese delle
opportunità» offerte a tutti, avendo costituito, il popolo americano,
una Nazione unita e democratica per eccellenza.
«I nostri valori» non sono molto nutrienti e non danno lavoro. Non
danno nemmeno una copertura sociale e medica e neanche la possibilità
della pensione in condizioni decenti. È necessario indagare sulle forme
e l’ampiezza della crisi della società americana e di una lotta
di classe che non è sparita. Né oggi, né durante gli anni
dell’entusiasmo di Wall Street che hanno preceduto l’attuale recessione.
Il
mito di una società senza classi
Avere il potere di plasmare la rappresentazione sociale e politica che si fanno
i membri di una società è strategico per una classe dirigente.
Il grande capitale veglia meticolosamente sulle informazioni e le immagini che
diffondono i media che egli possiede e controlla. In tempo di crisi, i toni
tra gli opinion makers si devono stemperare. L’obiettivo è che
la maggior parte degli individui tra tutte le classi abbiano una visione standardizzata,
comune, di tutti i problemi, adeguata agli interessi della classe dirigente.
Le reti televisive ABC, NBC, CBS, CNN, per citare le principali, devono produrre
dei «prêt à penser» rigorosamente identici come un
«cheese burger» con un altro «cheese burger». Il principio
della «democrazia» americana e dell’efficacia della sua economia
è che una massima parte di persone pensino e consumino la stessa cosa,
siano uniti dalla stessa ideologia, le stesse pratiche sociali per soddisfare
i loro bisogni essenziali. Ciò significa dei processi che portino in
permanenza la popolazione a voler consumare gli stessi prodotti e ad avere accesso
agli stessi servizi. È indiscutibile che il sistema sia per il momento
di una efficacia inquietante, anche se provoca dei guasti sociali considerevoli
anche in seno alla classe media.
Tutto deve concorrere a potenziare l’idea che gli Stati Uniti sono una
società senza classi. La borghesia ha spiegato mezzi considerevoli per
soffocare qualsiasi necessità di una coscienza di classe e per accreditare
il mito di una società democratica e egalitaria. Ha conservato la memoria
di ciò che poteva essere la potenza collettiva dei lavoratori, in particolare
durante gli anni trenta e quaranta. Non ha mai nascosto che c’erano dei
«ricchi» e dei « poveri». I giornalisti possono persino
indagare su queste due categorie e presentare dei pezzi straordinari che riguardano
i molto ricchi o i molto poveri. Sul fronte ideologico, ciò non disturba
affatto e non può destabilizzare il sistema. È sempre possibile
mostrare un pugno di poveri che sono arrivati ad arricchirsi. Quanto ai poveri
degradati che non sono contenti della loro sorte, il sistema, nel suo insieme,
è abbastanza rodato per infilarli nella categoria dei delinquenti reali
o presunti.
Le autorità hanno così imprigionato il 2% della popolazione attiva.
Una parte dei prigionieri lavora per un salario che va dai 25 centesimi a 1,15
dollari l’ora! É forte a questo prezzo la concorrenza tra le imprese
per avere dei contratti con gli organismi legati alle prigioni federali o a
quelle degli Stati. Gli Afro-Americani, in particolare giovani, sono sovra-rappresentati
nelle prigioni e nei circuiti della giustizia criminale. Il potere instaura
così nei fatti e negli spiriti dei «cittadini rispettabili»
(sottinteso bianchi), una frontiera allo stesso tempo sociale e razziale con
la popolazione dei ghetti, i più poveri e vilipesi.
Chi ha costruito l’America?
La storia degli Stati Uniti è quella di numerose lotte sociali che hanno
avuto spesso un carattere grandioso. Le rivolte degli schiavi neri e la guerra
di Secessione nel XIX° secolo, il movimento per i diritti civili negli anni
1950–1970, le lotte radicali dei neri per la loro emancipazione, quelle
degli studenti contro la guerra in Vietnam hanno contribuito al progresso di
insieme della società americana, anche se la borghesia ne è stata
la principale beneficiaria. Le lotte importanti della classe operaia americana
dalle sue origini hanno contribuito fondamentalmente a formare gli Stati Uniti
in senso progressista e democratico; è ciò in modo quasi ininterrotto
da 140 anni.
Questo paese, che come diceva lo scrittore Herman Melville, è più
un mondo che una nazione, è così divenuto uno spazio e una società
seducente per milioni di persone venute da tutti i continenti. Il dinamismo
e la creatività artistica, tecnologica e scientifica degli Stati Uniti
provengono dal fatto che sono un paese d’immigrati, di lavoratori, che
hanno dato la loro energia in ogni settore.
Non ci sarebbero stati né grattacieli, né jazz, né cinema,
né uomini sulla luna, senza di essi. Non una sola conquista sociale che
non sia stata strappata da loro con grandi lotte. Sono essi coloro che hanno
costruito l’America.
È sintomatico della coscienza di classe della borghesia americana o almeno
del suo istinto di classe, che abbia sciorinato grandi mezzi perché il
suo proletariato sia muto e invisibile, perché la storia delle sue lotte
si cancelli dalla memoria dei lavoratori e delle giovani generazioni. È
molto significativo che gli Stati Uniti siano il solo paese al mondo in cui
il 1° maggio non sia commemorato con delle manifestazioni. Il 1° maggio
era stato scelto precisamente dal movimento internazionale in onore degli otto
lavoratori impiccati in seguito ai violenti scontri con la polizia a Haymarket
il 4 maggio 1886 a Chicago.
Insospettabile ricchezza del movimento operaio
Il proletariato americano è come un gigante che, nonostante i duri colpi
che ha sempre ricevuto, si è sempre rialzato in modo inatteso, come una
forza minacciosa. Il fatto che numerosi scioperi si siano accompagnati, in qualsiasi
epoca, al ricorso ai crumiri e ad una repressione sanguinosa, dove molto spesso
numerosi scioperanti trovavano la morte, non ha mai provocato in sé degli
arretramenti di lunga durata. Piuttosto è il peso delle burocrazie sindacali,
i loro tradimenti, il ruolo dello stalinismo e le debolezze interne al movimento
operaio che l’ hanno portato a segnare il passo a diverse riprese.
Visto da questa parte dell’Atlantico, è difficile immaginare ciò
che è stata la ricchezza in esperienze e in eroismo del movimento americano.
È necessariamente impossibile valutare ciò che è stato
trasmesso fino ad oggidì da queste esperienze esaltanti ma anche amare.
Disponiamo in francese della magnifica testimonianza di una delle pioniere del
movimento operaio alla fine del diciannovesimo secolo e all’inizio del
ventesimo, Mary Jones, più conosciuta con il nome di Mother Jones. Il
Movimento degli Industrial Workers of the World (IWW) è per forza conosciuto
male, a causa della mancanza di traduzioni in francese delle autobiografie e
delle testimonianze di un certo numero di militanti degli IWW, gli Wobblies.
Questi militanti sindacali erano dei rivoluzionari internazionalisti. Il loro
movimento esisteva anche in Messico e in Cile. Furono degli organizzatori senza
pari di grandi scioperi, di sindacati aperti a tutti, uomini e donne, operai
non qualificati, neri e bianchi, immigrati nuovi. Il movimento degli Wobblies
è praticamente scomparso negli anni trenta fondendosi nel grande movimento
del CIO. Ciò che questi militanti hanno compiuto non può che ispirare
ancora oggi tutti quelli che si preoccupano concretamente, negli Stati Uniti
o altrove, di intervenire in seno alla classe operaia con un progetto di trasformazione
della società, rivoluzionaria e internazionalista.
Il movimento operaio americano acquisì un carattere molto aggressivo
alcuni anni dopo la crisi del 1929 attraverso tre grandi scioperi nel 1934,
quello di Auto – Lite a Toledo, dei camionisti a Minneapolis e dei marinai
e dei portuali di San Francisco. Qui ancora abbondano in americano le testimonianze
degli attori stessi di queste lotte. Ma il carattere di massa di questo movimento
sorse con gli scioperi con l’occupazione del 1937 che secondo Art Preis
riguardarono 1 milione e 861.000 lavoratori (Labor’s Giant Step, Twenty
years of the CIO, Pathfinder,NY,1982). Si sa meno che negli Stati Uniti scoppiarono
degli scioperi durante la seconda guerra mondiale e che 3 milioni e 470.000
lavoratori scioperarono nel 1945 e che 4 milioni e 600.000 nel 1946! In questi
due anni del dopo guerra ci furono anche delle manifestazioni di soldati americani
a Manila, a Guam e a Parigi che esigevano la loro smobilitazione.
Ma tanto la classe operaia aveva guadagnato in forza negli scioperi, tanto le
sue potenzialità politiche andavano arrugginendosi fino quasi a sparire
durante la Guerra Fredda. La prospettiva di far emergere un Labor Party, un
partito di lavoratori autonomo si è presentata a diverse riprese nel
XX secolo ma è sempre franata a causa delle manovre degli stalinisti
e dei burocrati sindacali legati al partito democratico. Gli anni del maccartismo
furono anni di guerra contro tutti i militanti operai radicali. I comunisti
o quelli presunti furono eliminati dalle direzioni dei sindacati, spesso licenziati
e messi in una lista nera.Un cambio politico su vasta scala e sulla base delle
idee di emancipazione dei lavoratori non ha potuto ancora vedere la luce. Ma
è a partire da uno studio minuzioso di questa storia, qui evocata troppo
rapidamente, che il proletariato scriverà una nuova pagina. Con una nuova
generazione militante che si inspiri al meglio delle esperienze passate.
Sul terreno strettamente rivendicativo, un grosso arretramento della classe
operaia si è prodotto negli ultimi due decenni. Questo arretramento può
essere datato dal momento delle concessioni (salariali in particolare) imposte
ai lavoratori della Chrysler nel 1979–1980 sotto la presidenza Carter
e soprattutto a partire dal 1981 con il licenziamento da parte di Reagan di
11.500 controllori del traffico aereo in sciopero. Da allora sono scoppiate
delle grandi lotte, come lo sciopero della Caterpillar che durò 205 giorni
nel 1982–1983, ma non hanno permesso di riconquistare il terreno perduto.
Ritorno
di una « rivolta sociale ibrida»
Nel 1991, Gorge Bush senior aveva dichiarato davanti ad una platea di studenti
dell’università del Michigan: «Siamo diventati il sistema
più egalitario della storia e uno dei più armonici». Qualche
mese più tardi il 29 aprile 1992, una rivolta scoppiò a Los Angeles
in seguito al proscioglimento di poliziotti che avevano manganellato selvaggiamente
un guidatore nero in infrazione… Durò una settimana. Furono saccheggiati
dei supermercati da poveri di tutte le origini. Alcuni commercianti coreani
furono massacrati dai rivoltosi neri. La repressione poliziesca fu particolarmente
feroce. Questa rivolta che fu una delle più terribili della storia degli
Stati Uniti fece 58 morti e 2300 feriti. Non è proprio il genere di avvenimenti
di cui le autorità americane hanno voglia di festeggiare il decimo anniversario!
Tanto più che simili scontri possono di nuovo scoppiare in futuro in
una qualsiasi delle grandi megalopoli del paese, sotto la pressione esplosiva
della miseria, del razzismo e delle diverse altre forme di esclusione sociale.
La rivolta di Los Angeles della primavera del 1992 fu, secondo il sociologo
critico Mike Davis, una «rivolta sociale ibrida» che esprimeva delle
collere diverse e dei processi sociali differenti. Vi distinguevano tre elementi
principali: «Prima di tutto una dimensione democratica rivoluzionaria
che la collega alle insurrezioni degli anni sessanta. In seguito, un elemento
di rivalità interetnica che a volte l’ ha fatta assomigliare a
un pogrom. Infine fu la prima rivolta postmoderna per il pane, cioè un
tumulto multietnico dei poveri della città».
La lotta di classe può prendere delle forme complesse e essere sviata
dalla polizia o da degli elementi degradati. Ma la tregua sopravvenuta tra le
due gangs, i Bloods e i Crips, mostrava anche che l’autodistruzione di
una gioventù a cui non si è lasciata che una possibilità
di sopravvivere, cioè il commercio della droga, non aveva nulla di ineluttabile.
Le esperienze deformate o incompiute della lotta di classe non spariscono nella
memoria dei protagonisti. L’episodio sanguinoso di Los Angeles ricollegava
in sé degli ingredienti che non mancheranno di ripresentarsi in occasione
di un’evidente ingiustizia o di un’altra. Ma nessuno può
predire ciò che uscirà dalle future rivolte urbane. La sola certezza
è che la grande borghesia si prepara meticolosamente ad uno stato di
guerra civile rafforzando la repressione poliziesca e il suo arsenale giudiziario,
mettendo una contro l’altra le diverse componenti della popolazione e
soprattutto atomizzando e indebolendo al massimo la classe dei salariati.
L’offensiva della borghesia americana contro il suo stesso proletariato.
Il proletariato americano, se possibile più di qualsiasi altro, è
una classe inesistente sulla scena mediatica e politica. Ciò non impedisce
che questa classe sia stata l’oggetto di attenzioni particolari da parte
delle forze del grande capitale.
La realtà principale della lotta di classe negli Stati Uniti da venticinque
anni, è la potenza e la coerenza dell’offensiva portata avanti
dalla classe dirigente contro quella dei lavoratori. Nel 2001, il sociologo
americano Rick Fantasia ha potuto intitolare in modo significativo e senza esagerazione,
uno studio su questa offensiva: «La dittatura sul proletariato».
Questo studio dimostra particolarmente come i padroni hanno affittato a dei
tassi esorbitanti tutto un esercito di società di consulenza per sradicare
il massimo possibile di sindacati e per aiutarli a sostituire i lavoratori in
sciopero: «Alla fine degli anni ’70 si assiste, nell’industria
americana, ad un’offensiva brutale simultaneamente su due fronti: una
battaglia feroce per desindacalizzare i luoghi di lavoro là dove c’erano
già i sindacati e una lotta accanita per contestare i diritti dei salariati
a creare dei sindacati nelle imprese e le industrie dove non esistevano.»
Questa offensiva profonda e di lunga durata è stata vincente. Spiega
prima di qualsiasi altro fattore i pretesi miracoli realizzati dalla «
crescita dell’economia americana» negli anni ottanta..
La soppressione del sindacato nelle imprese ha avuto tre effetti benefici per
il datore di lavoro: 1) le difese dei lavoratori si sono indebolite in modo
considerevole e gli scioperi hanno ancora più facilmente carattere illegale,
2) i padroni non devono più far fronte al costo e agli inconvenienti
legati all’esistenza di contratti e alla loro rinegoziazione. Lo sfruttamento
della mano d’opera diventa senza limiti, 3) una impresa sprovvista di
sindacati attira più facilmente gli investimenti di un’altra in
cui i sindacati hanno una forte presenza. Partendo da ciò i diritti dei
lavoratori spariscono per far posto a quelli dei consumatori.
Non andremo ad enumerare qui l’insieme degli attacchi che, a partire dalla
presidenza di Jimmy Carter fino a quella di Bush junior passando da quelle di
Reagan, Bush senior e Bill Clinton, hanno accompagnato l’offensiva padronale
a livello di Stato Federale. Il democratico Carter ha inaugurato nel 1977 la
prima riforma fiscale regressiva a profitto dei più ricchi e il blocco
delle spese sociali. Gli altri hanno seguito. Il repubblicano Reagan ha preparato
lo smantellamento dello stato sociale ed è il democratico Clinton che
lo ha realizzato nel 1996. Fondamentalmente, la sua «riforma» ha
costretto qualsiasi persona ad accettare qualunque lavoro. In tutti gli altri
settori che riguardano le classi popolari, in particolare le pensioni, le indennità
di disoccupazione, il costo delle spese mediche o scolastiche, tutti i diritti
acquisiti e le garanzie dei lavoratori sono stati progressivamente distrutti.
In un’opera appena uscita intitolata I guasti del liberismo, Stati Uniti:
una società di mercato, Isabelle Richet dà un quadro preciso,
completo e particolarmente edificante di tutti questi attacchi. Sono stati pensati
da delle “boîtes à penser” reazionarie (le think tanks)
pagate dalle grandi imprese come la Heritage Foundation, il Cato Institute,
il Manhattan Institute, lo Hoover Institute, l’ American Enterprise Institute.
Le loro campagne preparatorie nei media sono finite con l’adozione dei
loro propositi da degli “eletti” pagati essi stessi dalle grandi
imprese. La sinergia tra gli ingranaggi della grande democrazia imperialista
è stata perfetta durante tutto questo periodo, comprese le finzioni dei
disaccordi tra repubblicani e democratici che si son concluse con un “compromesso”
totalmente a sfavore dei salariati e dei disoccupati.
Il “grande business” ha agguantato tutta la posta in gioco. Con
una mano d’opera sempre più flessibile, precarizzata, sprovvista
di rete di protezione, era possibile per i capitalisti correggere in maniera
sensibile i loro tassi di profitto. I progressi tecnologici sono stati associati
a delle forme di sfruttamento classiche e perfino arcaiche. Il taylorismo non
ha mai conosciuto una tale estensione nell’insieme dei settori industriali
e nei servizi.
Il successo delle “libere” imprese concorrenti della Hig Tech nella
Silicon Valley era riposto sugli investimenti massicci dello Stato in materia
di finanziamento della Ricerca e dell’insegnamento, e dell’acquisto
dei loro prodotti. L’altro pilone di questa success story è stato
l’impiego su larga scala di una mano d’opera molto mal pagata, poco
qualificata, subissata da ritmi di lavoro estremamente rapidi e che doveva respirare
prodotti molto tossici. Lo sviluppo delle catene di fast food corrisponde all’entrata
in massa delle donne nella sfera del lavoro salariato negli anni settanta. Il
loro lavoro era indispensabile per compensare la perdita del potere di acquisto
nelle loro famiglie e non lasciava più loro la possibilità di
preparare tutti i pasti per la famiglia. Un’impresa come la Mc Donald’s
ci si è gettata sopra proponendo cibo standardizzato, servito rapidamente
e ad un prezzo relativamente basso. L’uniformità dei prodotti e
la razionalizzazione del processo di produzione in più sono stati garanzia
per il sistema degli stabilimenti in franchigia. Per ottenere il massimo dei
profitti Mc Donald’s fece ricorso, come in seguito tutte le altre catene
di fast food, ad una mano d’opera soggetta ad essere formata in tempi
record e ad essere licenziata ancora più rapidamente.. molti sono dei
giovani che hanno solo tra i quattordici e i diciassette anni, cosa autorizzata
dalla legge dagli anni settanta. (tra i dieci e i tredici anni ci vuole l’autorizzazione
dei genitori). Il successo folgorante di Mc Donald’s negli Stati Uniti
riposa in gran parte sul fatto che l’80% della mano d’opera è
a tempo parziale e che al 100% non è sindacalizzata. Si sa con quale
determinazione questo marchio si sforza di esportare il suo “modello sociale”
nelle fabbriche del mondo intero. I fatti qui sotto descritti provengono da
un’inchiesta appassionante del giornalista americano Eric Schlosser, intitolata
Fast Food Nation. Ciò che descrive a monte della catena che riguarda
le condizioni di lavoro e d’igiene nei mattatoi e nelle fabbriche di lavorazione
e imballaggio della carne è terrificante come il quadro dato dallo scrittore
Upton Sinclair nel suo romanzo The Jungle all’inizio del ventesimo secolo
sull’industria della carne a Chicago. Nelle fabbriche e nei mattatoi odierni,
la mano d’opera è in maggioranza di origine latino americana. Le
braccia e le dita tagliate sono molto frequenti. Decine di lavoratori sono pure
decapitati e stritolati dalle macchine.
Le forme di sfruttamento più odiose proliferano pure nei settori dell’abbigliamento
in decine di migliaia di sweatshops (aziende che supersfruttano i dipendenti)
installate nel cuore delle grandi città americane. Questi sweatshops
non hanno nulla di nuovo. Di fatto, Friederich Engels le aveva già descritte
nel 1845 ne La situazione della classe lavoratrice in Inghilterra. Nel 2002
contribuiscono largamente alla crescita dei profitti dei grandi marchi come
Gap, Nike o Donna Karan.
Le lotte dei salariati, lo Stato e la burocrazia sindacale
Tutte queste aggressioni padronali e statali non sono state lasciate senza risposta
da parte dei salariati. Ma le statistiche indicano con evidenza che il rapporto
di forza non ha smesso di degradarsi a loro sfavore. Non è rimasta che
una media del 13,5% di persone sindacalizzate in tutto il paese, cioè
una diminuzione del 20% in vent’anni. Nel settore privato, i sindacalizzati
non sono che il 9%. Nel settore dell’agricoltura, non sono che il 2%.
Le statistiche ufficiali degli scioperi tengono conto solo di quelli che comportano
più di 1000 salariati. Su questa base,oggi sono dieci volte inferiori
a trent’anni fa. Nel 1974 ce ne furono 424, 187 nel 1980 e solo 29 nel
2001.I lavoratori non hanno dovuto solamente confrontarsi con la collusione
tra l’apparato dello Stato, i padroni e le compagnie specializzate a rompere
gli scioperi. Hanno avuto contro sistematicamente i burocrati sindacali. Gli
sforzi per costituire delle squadre sindacali di ricambio, combattive e indipendenti
dalla burocrazia e dalla mafia sono stati numerosi. Ma questi sforzi militanti
non sono riusciti a modificare il dato generale, tranne in qualche lotta settoriale,
locale o regionale.Il più grande sciopero che ha segnato l’ultimo
decennio, è scoppiato nell’estate del 1997: Riguardava i 185.000
lavoratori dell’UPS (United Parcel Service), il gigante della distribuzione
dei pacchi a domicilio. L’analisi di questo movimento è stata fatta
a caldo da Charles – André Udry nel suo articolo apparso nel n°6
di Carré Rouge, The Workers are back (I lavoratori son tornati).
Questo sciopero fu organizzato dal sindacato dei Trasporti, l’International
Brotherhood of Teamsters. È stato il movimento più potente che
mirava a rimettere in causa presso UPS il lavoro temporaneo e gli impieghi a
tempo parziale per ottenere dei “buoni impiego”. Lo sciopero che
aveva avuto una grande popolarità nel paese è stato in parte vincente.
Ma i lavoratori dell’UPS non poterono cambiare il tentativo a causa delle
manovre dello stato, in complicità con dei burocrati della Teamsters.
Volevano sbarazzarsi del leader della Teamsters, Don Carey e contrastare l’influenza
della tendenza di sinistra del sindacato, la TDU (teamsters for a Democratic
Union). Carey che era stato eletto nel 1996 fu inficiato e gli fu proibito di
ripresentarsi dal Ministero della Giustizia. La decisione è sopravvenuta,
come per caso, tre giorni dopo la fine vittoriosa dello sciopero! James Hoffa
Junior ha potuto così impadronirsi della direzione della Teamsters con
gran sollievo del padronato dei trasporti.La burocrazia sindacale americana
è legata al Partito Democratico dagli anni trenta. L’AFL –
CIO è uno dei grossi contribuenti nelle campagne di questo partito. Malgrado
gli attacchi di Clinton per otto anni contro le classi popolari, l’AFL
- CIO ha versato 46 milioni di dollari ad Al Gore per la sua campagna nel 2000.
Questo contributo sindacale ai nemici della classe operaia è stato aumentato
di dieci milioni rispetto a quello del 1996.L’ostacolo della burocrazia
dell’AFL-CIO è considerevole, tanto più che questo apparato
sposa spesso i punti di vista del padronato in materia di protezionismo dei
prodotti “made in United States” o contro l’intrusione della
mano d’opera immigrata. Su questo terreno l’AFL-CIO si è
in parte evoluta sotto la pressione degli scioperi degli operai agricoli organizzati
nell’United Farm Workers o delle mobilitazioni dei janitors, in particolare
in California. La burocrazia sindacale si è resa conto che gli avrebbe
portato beneficio guidare il movimento di sindacalizzazione degli immigrati
per recuperare effettivi e salvare le casse, e per riprendere influenza in seno
alla classe operaia.Di fronte all’insieme degli ostacoli cui sono messi
a confronto i lavoratori, colpisce molto constatare la loro determinazione in
un certo numero di scioperi particolarmente difficili da portare avanti. Un
esempio ne darà un’idea. Tra la fine di novembre e l’inizio
di dicembre 2001, degli insegnanti di una città del New Jersey,esasperati
dalle loro cattive condizioni di lavoro e dalla cattiva paga, hanno deciso di
scioperare quando la loro funzione glielo proibisce. Le autorità spezzarono
lo sciopero spedendo in prigione senza ingiunzione per diversi giorni 228 professori
scioperanti.
La “classe media” in declino
Per capire come la grande borghesia abbia potuto condurre vittoriosamente la
sua offensiva contro la classe operaia senza provocare grandi movimenti sociali,
bisogna avere presente ugualmente la pressione sociale esercitata dalla “classe
media” durante questo periodo. Le virgolette che abbiamo messo a questo
insieme sociale importante negli Stati Uniti, mirano semplicemente a sottolineare
la sua eterogeneità su diversi piani. La componente anglosassone è
quella molto importante. Ma esiste anche una parte minoritaria della popolazione
nera che si è integrata a questa classe negli anni settanta, e delle
frazioni ispaniche, asiatiche e perfino amerindiane negli ultimi vent’anni.
Gli strati superiori di questa classe media sono vicine al grande capitale,
ma gli strati inferiori si distinguono poco dagli strati meglio pagati della
classe operaia. L’esistenza di una numerosa classe media, che ha avuto
per più di dieci anni delle opportunità di arricchimento e di
consumo eccezionali è stata un potente fattore di stabilità sociale.
Ha acquisito delle azioni e partecipato all’euforia della borsa della
fine del XX secolo. L’ebbrezza della speculazione ha trascinato anche
una parte dei lavoratori che avevano una paga sufficiente per acquistare delle
azioni. Decine di milioni di Americani hanno preso prestiti in gran quantità
senza avere l’impressione di indebitarsi perché le loro entrate
in azioni erano costantemente in rialzo. Il 50% delle famiglie sono diventate
azioniste negli anni 90 secondo Robert Reich, l’ex Ministro del Lavoro
di Clinton. I più numerosi non erano che dei piccoli azionisti e si può
affermare che la classe media si è considerevolmente ritratta e indebitata
nel corso di questi ultimi anni. Il numero di dichiarazioni di fallimento personale
è aumentato del 400% tra il 1979 e il 1997. La tendenza non ha fatto
che peggiorare da allora. Tra l’altro, numerose famiglie della classe
media sono state rovinate senza dichiarazione ufficiale di fallimento. Le imprese
pagate dalle banche per recuperare senza ingiunzione macchine, mobili o computer,
per difetto di pagamento delle rate, stanno molto bene.
La corsa alle piccole e grandi briciole dei profitti finanziari caduti dalla
tavola di Wall Street, è stata anche accompagnata da una crescita inquietante
di ogni forma di individualismo. Si è assistito ad una flessione di numerose
reti sociali come ha tentato di analizzare Robert D. Putnam nel suo libro Bowling
alone. The Collapse and Revival of American Community pubblicato nella primavera
del 2000. La paura della perdita dell’impiego e del fallimento personale
ha alimentato a dovere ogni forma di ansia. La mobilità e la brutalità
dei movimenti di capitali colpiscono tutte le classi sociali e alimentano la
paura degli altri e la paura del futuro. Si traducono in diverse patologie,
violenze incontrollate, uso di droga, obesità, antidepressivi, “medicine”
come il Ritalin per calmare il nervosismo dei bambini e degli adolescenti, ecc.
Su un altro terreno la disperazione nella piccola borghesia rovinata o in certi
strati della classe operaia bianca può fornire delle truppe ancora più
numerose alle milizie di tipo fascista come il Ku Klux Klan e le 500 organizzazioni
dello stesso tipo che esistono attualmente negli Stati Uniti. È una delle
carte più importanti che resta nelle mani del “big business”
nel caso in cui il movimento operaio riprendesse nuovo vigore.
Lo sviluppo degli “homeless” e degli “working poors”
Questo contesto dell’ «ognuno per sé e il dio dollaro per
tutti» ha aggravato la demoralizzazione e l’isolamento di coloro
che sono rifiutati dalla società, gli “homeless” (i senza
tetto), i disoccupati, i lavoratori precari o a tempo parziale. La popolazione
afro-americana ha contribuito in proporzione elevata a rafforzare queste categorie
sociali più sfruttate e più schiacciate dalla povertà e
dalle umiliazioni. Il romanzo “Les Saisons de la nuit” di Colum
McCann (edizioni 10\18) dà un quadro particolarmente avvincente
del passaggio da status di proletario a quello di senza lavoro e senza casa.
Gli “ working poors” (I poveri che hanno un lavoro) non solo sono
stati esclusi dalle opportunità della borsa ma le loro condizioni di
vita si sono terribilmente degradate. Questi lavoratori possono mettere insieme
in una giornata tre, quattro e perfino cinque lavori parziali. Alcuni lavoratori
fanno fino a ottanta ore per settimana senza un solo giorno di riposo. Lo scorso
13 settembre ARTE ha mostrato un documentario girato nel 1998 in cui alcuni
di questi “working poors” testimoniavano. “In America, quando
avete finito di lavorare, siete buoni per il cimitero”. Uno di questi
aveva lavorato duro a tempo pieno per dieci anni. Il suo padrone lo ha brutalmente
messo a tempo parziale per non pagare più i contributi sociali. Questo
lavoratore ha perduto automaticamente tutto, le vacanze e la pensione.
Evidentemente bisognerebbe portare delle gradazioni in particolare regionali
e anche locali a questo rapido quadro delle classe popolari. Molti membri della
piccola o media borghesia hanno potuto essere rovinati o messi in difficoltà
dalla scomparsa di attività industriali locali senza aver potuto riprendersi
sul posto o altrove. (vedere il romanzo di Richard Russo che è ambientato
in una città del Maine, “Le déclin de l’empire Whiting”,
settembre 2002, edizioni Quai Voltaire). In certe contee del Middle West dove
gli agricoltori sono colati a picco e dove le attività industriali sono
scomparse, le fabbriche sono state sostituite dai casinò e da altre attività
turistiche. È ripresa l’occupazione nei servizi e molti commercianti
si sono arricchiti (vedi il reportage del New York Times del 26 maggio 2002).
Ma in questo stesso Middle West, reti ferroviarie giudicate non redditizie sono
state smantellate. A un’ora di macchina da Chicago, esistono delle zone
di miseria, isolate geograficamente, dove non ci sono né lavoro né
mezzi di trasporto, dove delle famiglie vivono nelle baracche in legno senza
acqua corrente. Il reportage del New York Times del 6 ottobre del 2002 su una
famiglia nera della regione del Pembroke è eloquente. Riferisce che una
madre e i suoi cinque figli devono vivere con solo 450 dollari di buoni per
acquistare cose da mangiare ciò che non permette che un solo pasto al
giorno, ma deve però pagare un affitto di 125 dollari. Non riceve nulla
dal governo in virtù della decisione di Clinton del 1996 che tagliava
i viveri ai soggetti “in buona salute” per obbligarli ad accettare
qualsiasi lavoro.
Questa madre fa parte dei 32,9 milioni di cittadini americani cha vivono ufficialmente
in povertà, tra loro 11,7 milioni hanno meno di diciotto anni. Benché
voglia lavorare ma nell’impossibilità di trovare lavoro, fa parte
di quei milioni di americani che non sono contati ufficialmente come disoccupati.
Malgrado le manovre che li eliminano dalle statistiche, il numero dei disoccupati
censiti ufficialmente è aumentato di due milioni negli ultimi due anni
ed è stabilito attualmente al 6% della popolazione attiva. Le conseguenze
sociali dell’attuale recessione sono ora e già molto più
gravi che quelle dell’inizio degli anni ottanta, anche se il tasso di
disoccupazione è lo stesso. Durante il decennio degli anni novanta, numerosi
lavoratori vivevano periodi alterni tra disoccupazione e piccoli lavori mal
pagati. Oggi sono già 5,4 milioni a ricevere una pensione di invalidità
(in media 800 dollari al mese), cioè un numero raddoppiato dal 1990.
Oggi 41 milioni di americani non hanno copertura sociale. L’assicurazione
di disoccupazione riguarda solo un terzo di quelli che perdono il lavoro. 40
milioni di americani non hanno l’acqua potabile.
Perdita di fiducia nel sistema e presa di coscienza
Nell’attuale congiuntura la mobilità sociale verso il basso prende
piede per molti americani. La perdita di fiducia nel sistema della classe operaia
e della piccola borghesia rurale e urbana, sarà proporzionale alle illusioni
che Wall Street ha suscitato durante i dieci anni che hanno preceduto l’attuale
recessione. Le ondate di licenziamenti erano cominciate nove mesi prima dell’11
settembre. Ma il tempo dei grandi fallimenti e di conseguenza di nuove grandi
ondate di licenziamenti è arrivato l’anno scorso con il fallimento
delle grandi compagnie aeree, di Enron, di Tyco, di Anderson, di World Com,
ecc.
Nel caos dell’attentato dell’11 settembre, le compagnie aeree hanno
annunciato decine di migliaia di licenziamenti intascando allo stesso tempo
i sostanziosi “aiuti” dello Stato Federale. Delta Air Lines che
aveva già soppresso 13.000 posti di lavoro, ne annuncia ulteriori 1.500
nel settembre 2002. United Airlines esige attualmente che il personale che non
ha ancora licenziato accetti delle grosse riduzioni salariali per i prossimi
sei anni.
WorldCom, la più grossa impresa di tutta la storia del capitalismo americano,
ha annunciato 17.000 soppressioni di impiego e nello stesso tempo il suo fallimento.
Il metodo di licenziamento di Enron merita una menzione particolare. La direzione
ha dato esattamente due ore e non un minuto di più a 4500 persone per
andarsene dai locali di Houston. Enron ha logicamente fornito ad ognuno di loro
una scatola di cartone per portar via i loro oggetti personali e ha lasciato
confusa la questione molto aleatoria dei premi o delle indennità. (vedi
The Tribune , 9 agosto 2002, La Saga Enron 20° episodio).
La maggior parte dei licenziati di cui si parla aveva un buon salario e un certo
numero di azioni opzionali il cui valore è finito in fumo. La frontiera
tra salariati ben pagati e azionisti si era senza dubbio stemperata nelle menti.
La caduta della borsa la sta ristabilendo a gran velocità. A questo proposito
è edificante il caso di un’ex impiegata della WorldCom intervistata
da un giornalista del New York Times: Cara Alcantar riconosce: «Pensavo
di essere dalla stessa parte di Bernie Ebbers (Il dirigente), all’avanguardia
del progresso tecnologico. Lavoravo duro e, per me, i licenziamenti riguardavano
gli altri». A luglio scorso, ha perso il suo impiego, le sue 1600 azioni
che non valevano più nulla e per coronare il tutto, non avrà nessuna
indennità di licenziamento e il suo risparmio per la pensione che era
costituito da azioni WorldCom non ha più nessun valore. A questo punto,
questa impiegata, rimpiange amaramente l’assenza di un sindacato nella
WorldCom.
L’atteggiamento di numerosi lavoratori americani verso il sindacalismo
sta cambiando radicalmente. Ciò che poteva apparire inutile diventa una
necessità imperativa per fronteggiare le aggressioni padronali devastatrici.
L’evoluzione sociale attuale indica che le fratture sociali più
grosse non si sono ancora prodotte.
Le due Americhe di fronte al declino dell’imperialismo
Ricordiamo che le misure del “New Deal” di Roosvelt che miravano
a salvare gli interessi generali del grande capitale americano, diminuendo il
carattere minaccioso del movimento operaio degli anni trenta, furono presto
seguite da un “War Deal”. La “distribuzione di guerra”
preparava l’imperialismo americano a impegnarsi nella seconda guerra mondiale.
Senza essere passato dalla fase di un nuovo New Deal, George W. Bush è
passato già da un anno ad un nuovo “War Deal” con una serie
di misure economiche a favore del settore degli armamenti e delle misure sociali
e giuridiche che pongono la popolazione americana in un a gogna “patriottica”.
Si è lanciato in un’inflazione di discorsi guerrieri preparando
l’opinione pubblica ad uno stato di guerra permanente e ha emanato una
serie di disposizioni legislative molto repressive.
Non è sicuro che la classe operaia che ha già subito dei duri
colpi si lasci arruolare. Non è sicuro che “la casalinga”,
quella che i media chiamano tradizionalmente “il soldato Smith”
tenga botta, cioè possa continuare a consumare e a indebitarsi più
di quanto già non faccia. Le famiglie che hanno avuto dei rovesci in
borsa e che dispongono ancora di denaro, lo piazzano urgentemente nell’immobiliare.
Ciò va a creare una speculazione in questo settore che finirà
ancora con un flop .
Gli Stati Uniti sono in una situazione sia di saccheggio che di dipendenza rispetto
all’economia mondiale. Felix G. Rohatyn, ex ambasciatore degli Stati Uniti
in Francia, consigliere speciale del gruppo Lazard e amministratore di società,
ricordava in una tribuna su Le Monde del 21 maggio scorso: «Non perdiamo
di vista che abbiamo bisogno di un afflusso di capitali di circa 1 miliardo
di dollari al giorno per finanziare il nostro deficit commerciale».
La corsa in avanti dell’amministrazione Bush verso l’Irak o altre
destinazioni è stimolata dalle contraddizioni del capitalismo americano
le cui imprese e Stato sono a livelli di indebitamento vertiginosi. Ciò
significa a quale punto gli assalti della prima potenza imperialista per impadronirsi
delle ricchezze e dei mercati mondiali conoscerà una nuova escalation.
In futuro saranno di nuovo l’una di fronte all’altra due Americhe,
come quelle che evocava il trockjista americano James P. Cannon nel 1948, in
tutt’altro contesto: «Una è l’America degli imperialisti
e della piccola cricca di capitalisti, dei proprietari fondiari, dei militaristi
che minacciano e preoccupano il mondo. È l’America che i popoli
del mondo temono e detestano. C’è l’altra America, quella
degli operai e dei contadini e della “piccola gente”: Costituiscono
la vasta maggioranza della popolazione. Eseguono il lavoro necessario al paese:
Mantengono le loro vecchie tradizioni democratiche, la loro storia di vecchia
amicizia con i popoli degli altri paesi, le lotte contro i re e i tiranni,l’asilo
generoso che un tempo l’America dava agli oppressi».
Gli sviluppi della lotta di classe negli Stati Uniti mostreranno se questi propositi
riprenderanno ad essere attuali. Si così sarà, permetteranno di
offrire un’uscita positiva alla crisi del sistema capitalistico. Permetteranno
di disfarsi del potere delle classi più pericolose per l’umanità,
le borghesie imperialiste europee, giapponesi e americane.
18 ottobre 2002
Samuel Holder