ATTUALITA' DELLA LOTTA DI CLASSE NEGLI USA.
Brano tratto dalla Rivista “Carré Rouge” del novembre 2002
Traduzione di Susanna Angeleri per REDS. Aprile 2005.


La campagna preparatoria alla guerra in Irak dell’amministrazione Bush provoca l’inquietudine del mondo intero. Dal momento del flop speculativo delle azioni della “nuova economia” e dell’attentato dell’11 settembre, la risposta economica e militare della prima potenza imperialista appare più che mai una minaccia per l’umanità. Ma un antimperialismo che si riducesse essenzialmente ad una forma di antiamericanismo sarebbe una trappola. Concepire la popolazione degli Stati Uniti come un unicum, nazionalista e reazionario, docilmente allineato dietro i suoi dirigenti, con la sola eccezione di un pugno di intellettuali di sinistra, significherebbe facilitare i progetti della borghesia americana.

Antiamericanismo o antimperialismo? «L’altra America» risponde
L’attualità più diretta smentisce una simile unanimità. Un movimento contro la guerra sta nascendo per iniziativa di un collettivo che si chiama « Not in our name» (non in nome nostro). Durante il fine settimana del 5-6 ottobre 2002, un anno dopo l’inizio della guerra in Afghanistan, diverse decine di migliaia di persone hanno manifestato contro il piano di guerra in Irak, in circa una trentina di grandi città tra cui New York, Los Angeles, San Francisco e Chicago.
Con grande dispetto di Bush e di una serie di multinazionali, una mobilitazione di portuali ha bloccato per diversi giorni i 29 porti della costa occidentale degli Stati Uniti. Dopo la serrata dei padroni, Bush ha deciso di costringere i portuali a riprendere il lavoro per ottanta giorni. Ha fatto ricorso alla legge Taft- Hartley del 1947 che non era stata più usata da ventiquattro anni. Ma il movimento ha potuto riprendere dopo questo problema con una determinazione raddoppiata.
Non si tratta di esagerare la portata di tali fatti, ma di constatare due fenomeni importanti: 1) La popolazione americana sembra sempre più reticente a seguire Bush nei suoi progetti di guerra, se si dà credito a sondaggi recenti. Una parte dei giovani studenti è ostile alla guerra e lo dimostra. 2) Il pretesto della «crociata anti terrorista» non riesce a impedire ad alcuni settori del mondo del lavoro a ricorrere alla lotta collettiva per difendere i propri interessi. Oltre al movimento dei portuali, occorre segnalare la mobilitazione molto forte, in particolare a Boston, da diverse settimane di migliaia di «janitors», persone preposte alla sorveglianza e alle pulizie dei grandi palazzi.

Stereotipi e realtà sociali
È impossibile spiegare qui con precisione le tendenze complesse e contraddittorie che colpiscono un corpo sociale di 285 milioni di abitanti. Per di più, il quadro della società americana che ci si poteva rappresentare due anni fa, è attualmente modificato dal movimento di un’economia in recessione. A ciò si aggiunge l’intervento di uno Stato ipertrofico che dispone di fondi considerevoli, per mascherare in parte le incrinature di questa economia, a colpi di sovvenzioni a scopi protezionistici in particolare nei settori dell’acciaio e dell’agro – alimentare, a suon di salvataggio dei gruppi in fallimento come le compagnie aeree e di commesse massicce in particolare alle industrie legate agli armamenti.
All’inizio di settembre 2001, nel momento in cui le cifre annunciate dalle grandi ditte erano nel loro insieme catastrofiche, l’attentato contro le Twin Towers ha offerto alla borghesia americana l’opportunità di intensificare il suo arsenale repressivo contro i propri cittadini, prima di tutto i lavoratori e quelle e quelli che contestano il suo dominio. Ha colto l’occasione di introdurre una forte dose di patriottismo in tutta la società e di costringere le classi popolari a dei sacrifici nel nome della difesa dei «nostri valori». Quei valori “i più alti”, non potendo essere durevolmente quelli di Enron, di WorldCom o di Anderson, come si ebbe in seguito l’occasione di vedere. Non potevano che essere valori fittizi, ma su un altro terreno: i valori della «Morale», della «Libertà» e della «Nazione». Per difendere in maniera efficace gli interessi del capitalismo americano, i dirigenti degli Stati Uniti hanno bisogno di arruolare ideologicamente tutte le classi sociali. A questo scopo, hanno bisogno di dissolverli in delle intese grandiose: gli Stati Uniti, asse del Bene e « paese libero», « paese delle opportunità» offerte a tutti, avendo costituito, il popolo americano, una Nazione unita e democratica per eccellenza.
«I nostri valori» non sono molto nutrienti e non danno lavoro. Non danno nemmeno una copertura sociale e medica e neanche la possibilità della pensione in condizioni decenti. È necessario indagare sulle forme e l’ampiezza della crisi della società americana e di una lotta di classe che non è sparita. Né oggi, né durante gli anni dell’entusiasmo di Wall Street che hanno preceduto l’attuale recessione.

Il mito di una società senza classi
Avere il potere di plasmare la rappresentazione sociale e politica che si fanno i membri di una società è strategico per una classe dirigente. Il grande capitale veglia meticolosamente sulle informazioni e le immagini che diffondono i media che egli possiede e controlla. In tempo di crisi, i toni tra gli opinion makers si devono stemperare. L’obiettivo è che la maggior parte degli individui tra tutte le classi abbiano una visione standardizzata, comune, di tutti i problemi, adeguata agli interessi della classe dirigente. Le reti televisive ABC, NBC, CBS, CNN, per citare le principali, devono produrre dei «prêt à penser» rigorosamente identici come un «cheese burger» con un altro «cheese burger». Il principio della «democrazia» americana e dell’efficacia della sua economia è che una massima parte di persone pensino e consumino la stessa cosa, siano uniti dalla stessa ideologia, le stesse pratiche sociali per soddisfare i loro bisogni essenziali. Ciò significa dei processi che portino in permanenza la popolazione a voler consumare gli stessi prodotti e ad avere accesso agli stessi servizi. È indiscutibile che il sistema sia per il momento di una efficacia inquietante, anche se provoca dei guasti sociali considerevoli anche in seno alla classe media.
Tutto deve concorrere a potenziare l’idea che gli Stati Uniti sono una società senza classi. La borghesia ha spiegato mezzi considerevoli per soffocare qualsiasi necessità di una coscienza di classe e per accreditare il mito di una società democratica e egalitaria. Ha conservato la memoria di ciò che poteva essere la potenza collettiva dei lavoratori, in particolare durante gli anni trenta e quaranta. Non ha mai nascosto che c’erano dei «ricchi» e dei « poveri». I giornalisti possono persino indagare su queste due categorie e presentare dei pezzi straordinari che riguardano i molto ricchi o i molto poveri. Sul fronte ideologico, ciò non disturba affatto e non può destabilizzare il sistema. È sempre possibile mostrare un pugno di poveri che sono arrivati ad arricchirsi. Quanto ai poveri degradati che non sono contenti della loro sorte, il sistema, nel suo insieme, è abbastanza rodato per infilarli nella categoria dei delinquenti reali o presunti.
Le autorità hanno così imprigionato il 2% della popolazione attiva. Una parte dei prigionieri lavora per un salario che va dai 25 centesimi a 1,15 dollari l’ora! É forte a questo prezzo la concorrenza tra le imprese per avere dei contratti con gli organismi legati alle prigioni federali o a quelle degli Stati. Gli Afro-Americani, in particolare giovani, sono sovra-rappresentati nelle prigioni e nei circuiti della giustizia criminale. Il potere instaura così nei fatti e negli spiriti dei «cittadini rispettabili» (sottinteso bianchi), una frontiera allo stesso tempo sociale e razziale con la popolazione dei ghetti, i più poveri e vilipesi.

Chi ha costruito l’America?
La storia degli Stati Uniti è quella di numerose lotte sociali che hanno avuto spesso un carattere grandioso. Le rivolte degli schiavi neri e la guerra di Secessione nel XIX° secolo, il movimento per i diritti civili negli anni 1950–1970, le lotte radicali dei neri per la loro emancipazione, quelle degli studenti contro la guerra in Vietnam hanno contribuito al progresso di insieme della società americana, anche se la borghesia ne è stata la principale beneficiaria. Le lotte importanti della classe operaia americana dalle sue origini hanno contribuito fondamentalmente a formare gli Stati Uniti in senso progressista e democratico; è ciò in modo quasi ininterrotto da 140 anni.
Questo paese, che come diceva lo scrittore Herman Melville, è più un mondo che una nazione, è così divenuto uno spazio e una società seducente per milioni di persone venute da tutti i continenti. Il dinamismo e la creatività artistica, tecnologica e scientifica degli Stati Uniti provengono dal fatto che sono un paese d’immigrati, di lavoratori, che hanno dato la loro energia in ogni settore.
Non ci sarebbero stati né grattacieli, né jazz, né cinema, né uomini sulla luna, senza di essi. Non una sola conquista sociale che non sia stata strappata da loro con grandi lotte. Sono essi coloro che hanno costruito l’America.
È sintomatico della coscienza di classe della borghesia americana o almeno del suo istinto di classe, che abbia sciorinato grandi mezzi perché il suo proletariato sia muto e invisibile, perché la storia delle sue lotte si cancelli dalla memoria dei lavoratori e delle giovani generazioni. È molto significativo che gli Stati Uniti siano il solo paese al mondo in cui il 1° maggio non sia commemorato con delle manifestazioni. Il 1° maggio era stato scelto precisamente dal movimento internazionale in onore degli otto lavoratori impiccati in seguito ai violenti scontri con la polizia a Haymarket il 4 maggio 1886 a Chicago.

Insospettabile ricchezza del movimento operaio
Il proletariato americano è come un gigante che, nonostante i duri colpi che ha sempre ricevuto, si è sempre rialzato in modo inatteso, come una forza minacciosa. Il fatto che numerosi scioperi si siano accompagnati, in qualsiasi epoca, al ricorso ai crumiri e ad una repressione sanguinosa, dove molto spesso numerosi scioperanti trovavano la morte, non ha mai provocato in sé degli arretramenti di lunga durata. Piuttosto è il peso delle burocrazie sindacali, i loro tradimenti, il ruolo dello stalinismo e le debolezze interne al movimento operaio che l’ hanno portato a segnare il passo a diverse riprese.
Visto da questa parte dell’Atlantico, è difficile immaginare ciò che è stata la ricchezza in esperienze e in eroismo del movimento americano. È necessariamente impossibile valutare ciò che è stato trasmesso fino ad oggidì da queste esperienze esaltanti ma anche amare. Disponiamo in francese della magnifica testimonianza di una delle pioniere del movimento operaio alla fine del diciannovesimo secolo e all’inizio del ventesimo, Mary Jones, più conosciuta con il nome di Mother Jones. Il Movimento degli Industrial Workers of the World (IWW) è per forza conosciuto male, a causa della mancanza di traduzioni in francese delle autobiografie e delle testimonianze di un certo numero di militanti degli IWW, gli Wobblies. Questi militanti sindacali erano dei rivoluzionari internazionalisti. Il loro movimento esisteva anche in Messico e in Cile. Furono degli organizzatori senza pari di grandi scioperi, di sindacati aperti a tutti, uomini e donne, operai non qualificati, neri e bianchi, immigrati nuovi. Il movimento degli Wobblies è praticamente scomparso negli anni trenta fondendosi nel grande movimento del CIO. Ciò che questi militanti hanno compiuto non può che ispirare ancora oggi tutti quelli che si preoccupano concretamente, negli Stati Uniti o altrove, di intervenire in seno alla classe operaia con un progetto di trasformazione della società, rivoluzionaria e internazionalista.
Il movimento operaio americano acquisì un carattere molto aggressivo alcuni anni dopo la crisi del 1929 attraverso tre grandi scioperi nel 1934, quello di Auto – Lite a Toledo, dei camionisti a Minneapolis e dei marinai e dei portuali di San Francisco. Qui ancora abbondano in americano le testimonianze degli attori stessi di queste lotte. Ma il carattere di massa di questo movimento sorse con gli scioperi con l’occupazione del 1937 che secondo Art Preis riguardarono 1 milione e 861.000 lavoratori (Labor’s Giant Step, Twenty years of the CIO, Pathfinder,NY,1982). Si sa meno che negli Stati Uniti scoppiarono degli scioperi durante la seconda guerra mondiale e che 3 milioni e 470.000 lavoratori scioperarono nel 1945 e che 4 milioni e 600.000 nel 1946! In questi due anni del dopo guerra ci furono anche delle manifestazioni di soldati americani a Manila, a Guam e a Parigi che esigevano la loro smobilitazione.
Ma tanto la classe operaia aveva guadagnato in forza negli scioperi, tanto le sue potenzialità politiche andavano arrugginendosi fino quasi a sparire durante la Guerra Fredda. La prospettiva di far emergere un Labor Party, un partito di lavoratori autonomo si è presentata a diverse riprese nel XX secolo ma è sempre franata a causa delle manovre degli stalinisti e dei burocrati sindacali legati al partito democratico. Gli anni del maccartismo furono anni di guerra contro tutti i militanti operai radicali. I comunisti o quelli presunti furono eliminati dalle direzioni dei sindacati, spesso licenziati e messi in una lista nera.Un cambio politico su vasta scala e sulla base delle idee di emancipazione dei lavoratori non ha potuto ancora vedere la luce. Ma è a partire da uno studio minuzioso di questa storia, qui evocata troppo rapidamente, che il proletariato scriverà una nuova pagina. Con una nuova generazione militante che si inspiri al meglio delle esperienze passate.
Sul terreno strettamente rivendicativo, un grosso arretramento della classe operaia si è prodotto negli ultimi due decenni. Questo arretramento può essere datato dal momento delle concessioni (salariali in particolare) imposte ai lavoratori della Chrysler nel 1979–1980 sotto la presidenza Carter e soprattutto a partire dal 1981 con il licenziamento da parte di Reagan di 11.500 controllori del traffico aereo in sciopero. Da allora sono scoppiate delle grandi lotte, come lo sciopero della Caterpillar che durò 205 giorni nel 1982–1983, ma non hanno permesso di riconquistare il terreno perduto.

Ritorno di una « rivolta sociale ibrida»
Nel 1991, Gorge Bush senior aveva dichiarato davanti ad una platea di studenti dell’università del Michigan: «Siamo diventati il sistema più egalitario della storia e uno dei più armonici». Qualche mese più tardi il 29 aprile 1992, una rivolta scoppiò a Los Angeles in seguito al proscioglimento di poliziotti che avevano manganellato selvaggiamente un guidatore nero in infrazione… Durò una settimana. Furono saccheggiati dei supermercati da poveri di tutte le origini. Alcuni commercianti coreani furono massacrati dai rivoltosi neri. La repressione poliziesca fu particolarmente feroce. Questa rivolta che fu una delle più terribili della storia degli Stati Uniti fece 58 morti e 2300 feriti. Non è proprio il genere di avvenimenti di cui le autorità americane hanno voglia di festeggiare il decimo anniversario! Tanto più che simili scontri possono di nuovo scoppiare in futuro in una qualsiasi delle grandi megalopoli del paese, sotto la pressione esplosiva della miseria, del razzismo e delle diverse altre forme di esclusione sociale.
La rivolta di Los Angeles della primavera del 1992 fu, secondo il sociologo critico Mike Davis, una «rivolta sociale ibrida» che esprimeva delle collere diverse e dei processi sociali differenti. Vi distinguevano tre elementi principali: «Prima di tutto una dimensione democratica rivoluzionaria che la collega alle insurrezioni degli anni sessanta. In seguito, un elemento di rivalità interetnica che a volte l’ ha fatta assomigliare a un pogrom. Infine fu la prima rivolta postmoderna per il pane, cioè un tumulto multietnico dei poveri della città».
La lotta di classe può prendere delle forme complesse e essere sviata dalla polizia o da degli elementi degradati. Ma la tregua sopravvenuta tra le due gangs, i Bloods e i Crips, mostrava anche che l’autodistruzione di una gioventù a cui non si è lasciata che una possibilità di sopravvivere, cioè il commercio della droga, non aveva nulla di ineluttabile.
Le esperienze deformate o incompiute della lotta di classe non spariscono nella memoria dei protagonisti. L’episodio sanguinoso di Los Angeles ricollegava in sé degli ingredienti che non mancheranno di ripresentarsi in occasione di un’evidente ingiustizia o di un’altra. Ma nessuno può predire ciò che uscirà dalle future rivolte urbane. La sola certezza è che la grande borghesia si prepara meticolosamente ad uno stato di guerra civile rafforzando la repressione poliziesca e il suo arsenale giudiziario, mettendo una contro l’altra le diverse componenti della popolazione e soprattutto atomizzando e indebolendo al massimo la classe dei salariati.

L’offensiva della borghesia americana contro il suo stesso proletariato.
Il proletariato americano, se possibile più di qualsiasi altro, è una classe inesistente sulla scena mediatica e politica. Ciò non impedisce che questa classe sia stata l’oggetto di attenzioni particolari da parte delle forze del grande capitale.
La realtà principale della lotta di classe negli Stati Uniti da venticinque anni, è la potenza e la coerenza dell’offensiva portata avanti dalla classe dirigente contro quella dei lavoratori. Nel 2001, il sociologo americano Rick Fantasia ha potuto intitolare in modo significativo e senza esagerazione, uno studio su questa offensiva: «La dittatura sul proletariato». Questo studio dimostra particolarmente come i padroni hanno affittato a dei tassi esorbitanti tutto un esercito di società di consulenza per sradicare il massimo possibile di sindacati e per aiutarli a sostituire i lavoratori in sciopero: «Alla fine degli anni ’70 si assiste, nell’industria americana, ad un’offensiva brutale simultaneamente su due fronti: una battaglia feroce per desindacalizzare i luoghi di lavoro là dove c’erano già i sindacati e una lotta accanita per contestare i diritti dei salariati a creare dei sindacati nelle imprese e le industrie dove non esistevano.» Questa offensiva profonda e di lunga durata è stata vincente. Spiega prima di qualsiasi altro fattore i pretesi miracoli realizzati dalla « crescita dell’economia americana» negli anni ottanta..
La soppressione del sindacato nelle imprese ha avuto tre effetti benefici per il datore di lavoro: 1) le difese dei lavoratori si sono indebolite in modo considerevole e gli scioperi hanno ancora più facilmente carattere illegale, 2) i padroni non devono più far fronte al costo e agli inconvenienti legati all’esistenza di contratti e alla loro rinegoziazione. Lo sfruttamento della mano d’opera diventa senza limiti, 3) una impresa sprovvista di sindacati attira più facilmente gli investimenti di un’altra in cui i sindacati hanno una forte presenza. Partendo da ciò i diritti dei lavoratori spariscono per far posto a quelli dei consumatori.
Non andremo ad enumerare qui l’insieme degli attacchi che, a partire dalla presidenza di Jimmy Carter fino a quella di Bush junior passando da quelle di Reagan, Bush senior e Bill Clinton, hanno accompagnato l’offensiva padronale a livello di Stato Federale. Il democratico Carter ha inaugurato nel 1977 la prima riforma fiscale regressiva a profitto dei più ricchi e il blocco delle spese sociali. Gli altri hanno seguito. Il repubblicano Reagan ha preparato lo smantellamento dello stato sociale ed è il democratico Clinton che lo ha realizzato nel 1996. Fondamentalmente, la sua «riforma» ha costretto qualsiasi persona ad accettare qualunque lavoro. In tutti gli altri settori che riguardano le classi popolari, in particolare le pensioni, le indennità di disoccupazione, il costo delle spese mediche o scolastiche, tutti i diritti acquisiti e le garanzie dei lavoratori sono stati progressivamente distrutti. In un’opera appena uscita intitolata I guasti del liberismo, Stati Uniti: una società di mercato, Isabelle Richet dà un quadro preciso, completo e particolarmente edificante di tutti questi attacchi. Sono stati pensati da delle “boîtes à penser” reazionarie (le think tanks) pagate dalle grandi imprese come la Heritage Foundation, il Cato Institute, il Manhattan Institute, lo Hoover Institute, l’ American Enterprise Institute. Le loro campagne preparatorie nei media sono finite con l’adozione dei loro propositi da degli “eletti” pagati essi stessi dalle grandi imprese. La sinergia tra gli ingranaggi della grande democrazia imperialista è stata perfetta durante tutto questo periodo, comprese le finzioni dei disaccordi tra repubblicani e democratici che si son concluse con un “compromesso” totalmente a sfavore dei salariati e dei disoccupati.
Il “grande business” ha agguantato tutta la posta in gioco. Con una mano d’opera sempre più flessibile, precarizzata, sprovvista di rete di protezione, era possibile per i capitalisti correggere in maniera sensibile i loro tassi di profitto. I progressi tecnologici sono stati associati a delle forme di sfruttamento classiche e perfino arcaiche. Il taylorismo non ha mai conosciuto una tale estensione nell’insieme dei settori industriali e nei servizi.
Il successo delle “libere” imprese concorrenti della Hig Tech nella Silicon Valley era riposto sugli investimenti massicci dello Stato in materia di finanziamento della Ricerca e dell’insegnamento, e dell’acquisto dei loro prodotti. L’altro pilone di questa success story è stato l’impiego su larga scala di una mano d’opera molto mal pagata, poco qualificata, subissata da ritmi di lavoro estremamente rapidi e che doveva respirare prodotti molto tossici. Lo sviluppo delle catene di fast food corrisponde all’entrata in massa delle donne nella sfera del lavoro salariato negli anni settanta. Il loro lavoro era indispensabile per compensare la perdita del potere di acquisto nelle loro famiglie e non lasciava più loro la possibilità di preparare tutti i pasti per la famiglia. Un’impresa come la Mc Donald’s ci si è gettata sopra proponendo cibo standardizzato, servito rapidamente e ad un prezzo relativamente basso. L’uniformità dei prodotti e la razionalizzazione del processo di produzione in più sono stati garanzia per il sistema degli stabilimenti in franchigia. Per ottenere il massimo dei profitti Mc Donald’s fece ricorso, come in seguito tutte le altre catene di fast food, ad una mano d’opera soggetta ad essere formata in tempi record e ad essere licenziata ancora più rapidamente.. molti sono dei giovani che hanno solo tra i quattordici e i diciassette anni, cosa autorizzata dalla legge dagli anni settanta. (tra i dieci e i tredici anni ci vuole l’autorizzazione dei genitori). Il successo folgorante di Mc Donald’s negli Stati Uniti riposa in gran parte sul fatto che l’80% della mano d’opera è a tempo parziale e che al 100% non è sindacalizzata. Si sa con quale determinazione questo marchio si sforza di esportare il suo “modello sociale” nelle fabbriche del mondo intero. I fatti qui sotto descritti provengono da un’inchiesta appassionante del giornalista americano Eric Schlosser, intitolata Fast Food Nation. Ciò che descrive a monte della catena che riguarda le condizioni di lavoro e d’igiene nei mattatoi e nelle fabbriche di lavorazione e imballaggio della carne è terrificante come il quadro dato dallo scrittore Upton Sinclair nel suo romanzo The Jungle all’inizio del ventesimo secolo sull’industria della carne a Chicago. Nelle fabbriche e nei mattatoi odierni, la mano d’opera è in maggioranza di origine latino americana. Le braccia e le dita tagliate sono molto frequenti. Decine di lavoratori sono pure decapitati e stritolati dalle macchine.
Le forme di sfruttamento più odiose proliferano pure nei settori dell’abbigliamento in decine di migliaia di sweatshops (aziende che supersfruttano i dipendenti) installate nel cuore delle grandi città americane. Questi sweatshops non hanno nulla di nuovo. Di fatto, Friederich Engels le aveva già descritte nel 1845 ne La situazione della classe lavoratrice in Inghilterra. Nel 2002 contribuiscono largamente alla crescita dei profitti dei grandi marchi come Gap, Nike o Donna Karan.

Le lotte dei salariati, lo Stato e la burocrazia sindacale
Tutte queste aggressioni padronali e statali non sono state lasciate senza risposta da parte dei salariati. Ma le statistiche indicano con evidenza che il rapporto di forza non ha smesso di degradarsi a loro sfavore. Non è rimasta che una media del 13,5% di persone sindacalizzate in tutto il paese, cioè una diminuzione del 20% in vent’anni. Nel settore privato, i sindacalizzati non sono che il 9%. Nel settore dell’agricoltura, non sono che il 2%. Le statistiche ufficiali degli scioperi tengono conto solo di quelli che comportano più di 1000 salariati. Su questa base,oggi sono dieci volte inferiori a trent’anni fa. Nel 1974 ce ne furono 424, 187 nel 1980 e solo 29 nel 2001.I lavoratori non hanno dovuto solamente confrontarsi con la collusione tra l’apparato dello Stato, i padroni e le compagnie specializzate a rompere gli scioperi. Hanno avuto contro sistematicamente i burocrati sindacali. Gli sforzi per costituire delle squadre sindacali di ricambio, combattive e indipendenti dalla burocrazia e dalla mafia sono stati numerosi. Ma questi sforzi militanti non sono riusciti a modificare il dato generale, tranne in qualche lotta settoriale, locale o regionale.Il più grande sciopero che ha segnato l’ultimo decennio, è scoppiato nell’estate del 1997: Riguardava i 185.000 lavoratori dell’UPS (United Parcel Service), il gigante della distribuzione dei pacchi a domicilio. L’analisi di questo movimento è stata fatta a caldo da Charles – André Udry nel suo articolo apparso nel n°6 di Carré Rouge, The Workers are back (I lavoratori son tornati).
Questo sciopero fu organizzato dal sindacato dei Trasporti, l’International Brotherhood of Teamsters. È stato il movimento più potente che mirava a rimettere in causa presso UPS il lavoro temporaneo e gli impieghi a tempo parziale per ottenere dei “buoni impiego”. Lo sciopero che aveva avuto una grande popolarità nel paese è stato in parte vincente. Ma i lavoratori dell’UPS non poterono cambiare il tentativo a causa delle manovre dello stato, in complicità con dei burocrati della Teamsters. Volevano sbarazzarsi del leader della Teamsters, Don Carey e contrastare l’influenza della tendenza di sinistra del sindacato, la TDU (teamsters for a Democratic Union). Carey che era stato eletto nel 1996 fu inficiato e gli fu proibito di ripresentarsi dal Ministero della Giustizia. La decisione è sopravvenuta, come per caso, tre giorni dopo la fine vittoriosa dello sciopero! James Hoffa Junior ha potuto così impadronirsi della direzione della Teamsters con gran sollievo del padronato dei trasporti.La burocrazia sindacale americana è legata al Partito Democratico dagli anni trenta. L’AFL – CIO è uno dei grossi contribuenti nelle campagne di questo partito. Malgrado gli attacchi di Clinton per otto anni contro le classi popolari, l’AFL - CIO ha versato 46 milioni di dollari ad Al Gore per la sua campagna nel 2000. Questo contributo sindacale ai nemici della classe operaia è stato aumentato di dieci milioni rispetto a quello del 1996.L’ostacolo della burocrazia dell’AFL-CIO è considerevole, tanto più che questo apparato sposa spesso i punti di vista del padronato in materia di protezionismo dei prodotti “made in United States” o contro l’intrusione della mano d’opera immigrata. Su questo terreno l’AFL-CIO si è in parte evoluta sotto la pressione degli scioperi degli operai agricoli organizzati nell’United Farm Workers o delle mobilitazioni dei janitors, in particolare in California. La burocrazia sindacale si è resa conto che gli avrebbe portato beneficio guidare il movimento di sindacalizzazione degli immigrati per recuperare effettivi e salvare le casse, e per riprendere influenza in seno alla classe operaia.Di fronte all’insieme degli ostacoli cui sono messi a confronto i lavoratori, colpisce molto constatare la loro determinazione in un certo numero di scioperi particolarmente difficili da portare avanti. Un esempio ne darà un’idea. Tra la fine di novembre e l’inizio di dicembre 2001, degli insegnanti di una città del New Jersey,esasperati dalle loro cattive condizioni di lavoro e dalla cattiva paga, hanno deciso di scioperare quando la loro funzione glielo proibisce. Le autorità spezzarono lo sciopero spedendo in prigione senza ingiunzione per diversi giorni 228 professori scioperanti.

La “classe media” in declino
Per capire come la grande borghesia abbia potuto condurre vittoriosamente la sua offensiva contro la classe operaia senza provocare grandi movimenti sociali, bisogna avere presente ugualmente la pressione sociale esercitata dalla “classe media” durante questo periodo. Le virgolette che abbiamo messo a questo insieme sociale importante negli Stati Uniti, mirano semplicemente a sottolineare la sua eterogeneità su diversi piani. La componente anglosassone è quella molto importante. Ma esiste anche una parte minoritaria della popolazione nera che si è integrata a questa classe negli anni settanta, e delle frazioni ispaniche, asiatiche e perfino amerindiane negli ultimi vent’anni. Gli strati superiori di questa classe media sono vicine al grande capitale, ma gli strati inferiori si distinguono poco dagli strati meglio pagati della classe operaia. L’esistenza di una numerosa classe media, che ha avuto per più di dieci anni delle opportunità di arricchimento e di consumo eccezionali è stata un potente fattore di stabilità sociale. Ha acquisito delle azioni e partecipato all’euforia della borsa della fine del XX secolo. L’ebbrezza della speculazione ha trascinato anche una parte dei lavoratori che avevano una paga sufficiente per acquistare delle azioni. Decine di milioni di Americani hanno preso prestiti in gran quantità senza avere l’impressione di indebitarsi perché le loro entrate in azioni erano costantemente in rialzo. Il 50% delle famiglie sono diventate azioniste negli anni 90 secondo Robert Reich, l’ex Ministro del Lavoro di Clinton. I più numerosi non erano che dei piccoli azionisti e si può affermare che la classe media si è considerevolmente ritratta e indebitata nel corso di questi ultimi anni. Il numero di dichiarazioni di fallimento personale è aumentato del 400% tra il 1979 e il 1997. La tendenza non ha fatto che peggiorare da allora. Tra l’altro, numerose famiglie della classe media sono state rovinate senza dichiarazione ufficiale di fallimento. Le imprese pagate dalle banche per recuperare senza ingiunzione macchine, mobili o computer, per difetto di pagamento delle rate, stanno molto bene.
La corsa alle piccole e grandi briciole dei profitti finanziari caduti dalla tavola di Wall Street, è stata anche accompagnata da una crescita inquietante di ogni forma di individualismo. Si è assistito ad una flessione di numerose reti sociali come ha tentato di analizzare Robert D. Putnam nel suo libro Bowling alone. The Collapse and Revival of American Community pubblicato nella primavera del 2000. La paura della perdita dell’impiego e del fallimento personale ha alimentato a dovere ogni forma di ansia. La mobilità e la brutalità dei movimenti di capitali colpiscono tutte le classi sociali e alimentano la paura degli altri e la paura del futuro. Si traducono in diverse patologie, violenze incontrollate, uso di droga, obesità, antidepressivi, “medicine” come il Ritalin per calmare il nervosismo dei bambini e degli adolescenti, ecc.
Su un altro terreno la disperazione nella piccola borghesia rovinata o in certi strati della classe operaia bianca può fornire delle truppe ancora più numerose alle milizie di tipo fascista come il Ku Klux Klan e le 500 organizzazioni dello stesso tipo che esistono attualmente negli Stati Uniti. È una delle carte più importanti che resta nelle mani del “big business” nel caso in cui il movimento operaio riprendesse nuovo vigore.

Lo sviluppo degli “homeless” e degli “working poors”
Questo contesto dell’ «ognuno per sé e il dio dollaro per tutti» ha aggravato la demoralizzazione e l’isolamento di coloro che sono rifiutati dalla società, gli “homeless” (i senza tetto), i disoccupati, i lavoratori precari o a tempo parziale. La popolazione afro-americana ha contribuito in proporzione elevata a rafforzare queste categorie sociali più sfruttate e più schiacciate dalla povertà e dalle umiliazioni. Il romanzo “Les Saisons de la nuit” di Colum McCann (edizioni 10\18) dà un quadro particolarmente avvincente del passaggio da status di proletario a quello di senza lavoro e senza casa.
Gli “ working poors” (I poveri che hanno un lavoro) non solo sono stati esclusi dalle opportunità della borsa ma le loro condizioni di vita si sono terribilmente degradate. Questi lavoratori possono mettere insieme in una giornata tre, quattro e perfino cinque lavori parziali. Alcuni lavoratori fanno fino a ottanta ore per settimana senza un solo giorno di riposo. Lo scorso 13 settembre ARTE ha mostrato un documentario girato nel 1998 in cui alcuni di questi “working poors” testimoniavano. “In America, quando avete finito di lavorare, siete buoni per il cimitero”. Uno di questi aveva lavorato duro a tempo pieno per dieci anni. Il suo padrone lo ha brutalmente messo a tempo parziale per non pagare più i contributi sociali. Questo lavoratore ha perduto automaticamente tutto, le vacanze e la pensione.
Evidentemente bisognerebbe portare delle gradazioni in particolare regionali e anche locali a questo rapido quadro delle classe popolari. Molti membri della piccola o media borghesia hanno potuto essere rovinati o messi in difficoltà dalla scomparsa di attività industriali locali senza aver potuto riprendersi sul posto o altrove. (vedere il romanzo di Richard Russo che è ambientato in una città del Maine, “Le déclin de l’empire Whiting”, settembre 2002, edizioni Quai Voltaire). In certe contee del Middle West dove gli agricoltori sono colati a picco e dove le attività industriali sono scomparse, le fabbriche sono state sostituite dai casinò e da altre attività turistiche. È ripresa l’occupazione nei servizi e molti commercianti si sono arricchiti (vedi il reportage del New York Times del 26 maggio 2002).
Ma in questo stesso Middle West, reti ferroviarie giudicate non redditizie sono state smantellate. A un’ora di macchina da Chicago, esistono delle zone di miseria, isolate geograficamente, dove non ci sono né lavoro né mezzi di trasporto, dove delle famiglie vivono nelle baracche in legno senza acqua corrente. Il reportage del New York Times del 6 ottobre del 2002 su una famiglia nera della regione del Pembroke è eloquente. Riferisce che una madre e i suoi cinque figli devono vivere con solo 450 dollari di buoni per acquistare cose da mangiare ciò che non permette che un solo pasto al giorno, ma deve però pagare un affitto di 125 dollari. Non riceve nulla dal governo in virtù della decisione di Clinton del 1996 che tagliava i viveri ai soggetti “in buona salute” per obbligarli ad accettare qualsiasi lavoro.
Questa madre fa parte dei 32,9 milioni di cittadini americani cha vivono ufficialmente in povertà, tra loro 11,7 milioni hanno meno di diciotto anni. Benché voglia lavorare ma nell’impossibilità di trovare lavoro, fa parte di quei milioni di americani che non sono contati ufficialmente come disoccupati. Malgrado le manovre che li eliminano dalle statistiche, il numero dei disoccupati censiti ufficialmente è aumentato di due milioni negli ultimi due anni ed è stabilito attualmente al 6% della popolazione attiva. Le conseguenze sociali dell’attuale recessione sono ora e già molto più gravi che quelle dell’inizio degli anni ottanta, anche se il tasso di disoccupazione è lo stesso. Durante il decennio degli anni novanta, numerosi lavoratori vivevano periodi alterni tra disoccupazione e piccoli lavori mal pagati. Oggi sono già 5,4 milioni a ricevere una pensione di invalidità (in media 800 dollari al mese), cioè un numero raddoppiato dal 1990. Oggi 41 milioni di americani non hanno copertura sociale. L’assicurazione di disoccupazione riguarda solo un terzo di quelli che perdono il lavoro. 40 milioni di americani non hanno l’acqua potabile.

Perdita di fiducia nel sistema e presa di coscienza
Nell’attuale congiuntura la mobilità sociale verso il basso prende piede per molti americani. La perdita di fiducia nel sistema della classe operaia e della piccola borghesia rurale e urbana, sarà proporzionale alle illusioni che Wall Street ha suscitato durante i dieci anni che hanno preceduto l’attuale recessione. Le ondate di licenziamenti erano cominciate nove mesi prima dell’11 settembre. Ma il tempo dei grandi fallimenti e di conseguenza di nuove grandi ondate di licenziamenti è arrivato l’anno scorso con il fallimento delle grandi compagnie aeree, di Enron, di Tyco, di Anderson, di World Com, ecc.
Nel caos dell’attentato dell’11 settembre, le compagnie aeree hanno annunciato decine di migliaia di licenziamenti intascando allo stesso tempo i sostanziosi “aiuti” dello Stato Federale. Delta Air Lines che aveva già soppresso 13.000 posti di lavoro, ne annuncia ulteriori 1.500 nel settembre 2002. United Airlines esige attualmente che il personale che non ha ancora licenziato accetti delle grosse riduzioni salariali per i prossimi sei anni.
WorldCom, la più grossa impresa di tutta la storia del capitalismo americano, ha annunciato 17.000 soppressioni di impiego e nello stesso tempo il suo fallimento. Il metodo di licenziamento di Enron merita una menzione particolare. La direzione ha dato esattamente due ore e non un minuto di più a 4500 persone per andarsene dai locali di Houston. Enron ha logicamente fornito ad ognuno di loro una scatola di cartone per portar via i loro oggetti personali e ha lasciato confusa la questione molto aleatoria dei premi o delle indennità. (vedi The Tribune , 9 agosto 2002, La Saga Enron 20° episodio).
La maggior parte dei licenziati di cui si parla aveva un buon salario e un certo numero di azioni opzionali il cui valore è finito in fumo. La frontiera tra salariati ben pagati e azionisti si era senza dubbio stemperata nelle menti. La caduta della borsa la sta ristabilendo a gran velocità. A questo proposito è edificante il caso di un’ex impiegata della WorldCom intervistata da un giornalista del New York Times: Cara Alcantar riconosce: «Pensavo di essere dalla stessa parte di Bernie Ebbers (Il dirigente), all’avanguardia del progresso tecnologico. Lavoravo duro e, per me, i licenziamenti riguardavano gli altri». A luglio scorso, ha perso il suo impiego, le sue 1600 azioni che non valevano più nulla e per coronare il tutto, non avrà nessuna indennità di licenziamento e il suo risparmio per la pensione che era costituito da azioni WorldCom non ha più nessun valore. A questo punto, questa impiegata, rimpiange amaramente l’assenza di un sindacato nella WorldCom.
L’atteggiamento di numerosi lavoratori americani verso il sindacalismo sta cambiando radicalmente. Ciò che poteva apparire inutile diventa una necessità imperativa per fronteggiare le aggressioni padronali devastatrici. L’evoluzione sociale attuale indica che le fratture sociali più grosse non si sono ancora prodotte.

Le due Americhe di fronte al declino dell’imperialismo
Ricordiamo che le misure del “New Deal” di Roosvelt che miravano a salvare gli interessi generali del grande capitale americano, diminuendo il carattere minaccioso del movimento operaio degli anni trenta, furono presto seguite da un “War Deal”. La “distribuzione di guerra” preparava l’imperialismo americano a impegnarsi nella seconda guerra mondiale. Senza essere passato dalla fase di un nuovo New Deal, George W. Bush è passato già da un anno ad un nuovo “War Deal” con una serie di misure economiche a favore del settore degli armamenti e delle misure sociali e giuridiche che pongono la popolazione americana in un a gogna “patriottica”. Si è lanciato in un’inflazione di discorsi guerrieri preparando l’opinione pubblica ad uno stato di guerra permanente e ha emanato una serie di disposizioni legislative molto repressive.
Non è sicuro che la classe operaia che ha già subito dei duri colpi si lasci arruolare. Non è sicuro che “la casalinga”, quella che i media chiamano tradizionalmente “il soldato Smith” tenga botta, cioè possa continuare a consumare e a indebitarsi più di quanto già non faccia. Le famiglie che hanno avuto dei rovesci in borsa e che dispongono ancora di denaro, lo piazzano urgentemente nell’immobiliare. Ciò va a creare una speculazione in questo settore che finirà ancora con un flop .
Gli Stati Uniti sono in una situazione sia di saccheggio che di dipendenza rispetto all’economia mondiale. Felix G. Rohatyn, ex ambasciatore degli Stati Uniti in Francia, consigliere speciale del gruppo Lazard e amministratore di società, ricordava in una tribuna su Le Monde del 21 maggio scorso: «Non perdiamo di vista che abbiamo bisogno di un afflusso di capitali di circa 1 miliardo di dollari al giorno per finanziare il nostro deficit commerciale».
La corsa in avanti dell’amministrazione Bush verso l’Irak o altre destinazioni è stimolata dalle contraddizioni del capitalismo americano le cui imprese e Stato sono a livelli di indebitamento vertiginosi. Ciò significa a quale punto gli assalti della prima potenza imperialista per impadronirsi delle ricchezze e dei mercati mondiali conoscerà una nuova escalation.
In futuro saranno di nuovo l’una di fronte all’altra due Americhe, come quelle che evocava il trockjista americano James P. Cannon nel 1948, in tutt’altro contesto: «Una è l’America degli imperialisti e della piccola cricca di capitalisti, dei proprietari fondiari, dei militaristi che minacciano e preoccupano il mondo. È l’America che i popoli del mondo temono e detestano. C’è l’altra America, quella degli operai e dei contadini e della “piccola gente”: Costituiscono la vasta maggioranza della popolazione. Eseguono il lavoro necessario al paese: Mantengono le loro vecchie tradizioni democratiche, la loro storia di vecchia amicizia con i popoli degli altri paesi, le lotte contro i re e i tiranni,l’asilo generoso che un tempo l’America dava agli oppressi».
Gli sviluppi della lotta di classe negli Stati Uniti mostreranno se questi propositi riprenderanno ad essere attuali. Si così sarà, permetteranno di offrire un’uscita positiva alla crisi del sistema capitalistico. Permetteranno di disfarsi del potere delle classi più pericolose per l’umanità, le borghesie imperialiste europee, giapponesi e americane.

18 ottobre 2002

Samuel Holder