Il Corriere della Sera - 01.05.98

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I RETROSCENA

E la Quercia sogna il divorzio dal tecnico

Pietro Folena si sfoga con la «velina rossa» e paragona il guardasigilli a Pilato

Francesco Verderami

ROMA - «Ma lo sapete che alla fine della seduta Salvi mi ha ringraziato? Vorrà dire che domani nevicherà...». Qualcuno, prima o poi, gli spiegherà che il modo di conversare tra parlamentari è diverso di quello al quale era abituato nelle aule di giustizia. Però finora nessuno si assunto l'incombenza, e anche ieri nessuno ha voluto dire a Flick che quella di Salvi era una formidabile stilettata. Che tradotta dal politichese recitava così: «Hai parlato, quantomeno. Finalmente...». Qualcuno prima o poi gli spiegherà ancora una volta che il guardasigilli di un governo politico non può essere un tecnico a cui ricorrere per una consulenza. Almeno, questo è l'auspicio di molti autorevoli esponenti della maggioranza: sognano che un giorno sarà Prodi a farlo e l'immagine ricorrente del sogno è quella del premier che lo distoglie dal fumo della pipa, gli accarezza la mano e glielo spiega sottovoce. Un istante prima di annunciargli che la sua avventura ministeriale è terminata.

Ma è solo un sogno, un voluttuoso desiderio che si scontra con la realtà: perché il ministro della Giustizia, col quale tutti i partiti del centrosinistra hanno un conto in sospeso, rimane al suo posto. Eppure, la lista delle doglianze è lunga. D'Alema non ha dimenticato quando Flick - nel ritiro di Gargonza - gli spiegò che i problemi della giustizia andavano discussi in Parlamento e che la Bicamerale si doveva occupare d'altro. Marini non ha dimenticato che Flick non fece nulla per impedire che il pretore pugliese Madaro continuasse ad attaccare la Bindi sulla cura anticancro del professor Di Bella. Salvi e Folena non hanno dimenticato che Flick - malgrado il veto del Pds - impose la nomina di un membro in carica del Csm, Wladimiro Zagrebelsky, a direttore generale dell'organizzazione giudiziaria. Violante non ha dimenticato che Flick accusò la Camera di boicottare il pacchetto dei suoi provvedimenti che «giace a Montecitorio da nove mesi»... Tutti risposero a muso duro. Tutti chiesero «una guida più politica» del ministero. Tutti pensarono a un cambio della guardia.

Ma Prodi finora l'ha difeso, concedendo ai rimostranti solo un «Flick deve fare di più». E tutti nell'Ulivo sanno che numerose ragioni politiche ne vietano la defenestrazione: il rimpasto aprirebbe pericolose crepe nel puzzle delle poltrone di governo, e poi c'è l'Europa... Così la maggioranza può solo sfogarsi a parole per quello che interpreta come «l'ennesimo tradimento». Perché Flick - a sentire i dirigenti del centrosinistra - nell'ultimo vertice di maggioranza si era detto contrario all'abrogazione dell'ergastolo, aveva annunciato una sua presa di distanze, ma l'accordo era che sarebbe stato un discorso di basso profilo, «e invece - per dirla con la senatrice del Prc Salvato - ha fatto un'arringa indossando la toga del pm».

+ lo stesso metodo adottato a suo tempo per prendere le distanze dalla riforma del 513, sono gli stessi toni usati nei giorni della polemica sul «pacchetto giustizia» che tanto piaceva alla Procura di Milano e che mandò fuori dai gangheri il Pds.

Così che, alla fine, la maggioranza è spiazzata, perché non capisce quale sia il vero Flick. Rimane il tecnico che - per usare le parole del comunista Vendola - fa la parte di un «don Abbondio che si avvale della facoltà di non rispondere»? O è diventato un politico a tutto tondo che - come sostiene il verde Paissan - «sembra aver stretto un patto di potere con i magistrati»? Di certo, la spaccatura sull'ergastolo tra il ministro e la sua maggioranza «rappresenta un duro colpo all'immagine del governo». Lo dice Paissan e lo sostiene anche il diessino Folena, che affida alla «velina rossa» il paragone di Flick con «Ponzio Pilato». Raccontano che a Botteghe Oscure considerino «esaurito» il rapporto di fiducia con il guardasigilli, raccontano che Salvi sia pronto a chiedere l'ennesima verifica di maggioranza sulla giustizia.

Basterà stavolta l'ammonimento di Prodi? Oppure Flick porrà in essere la recente minaccia di andarsene «se mi limitano»? O le ragioni di Realpolitik indurranno i duellanti a riporre le armi? E per quanto ancora? Se lo chiede forse lo stesso ministro dei Rapporti con il Parlamento, che questa settimana ha dovuto gestire alla Camera la discussione di alcuni disegni di legge sulla giustizia. Persino un tipo paziente come Giorgio Bogi ha perso la calma dopo l'ennesima telefonata di Flick al tavolo del governo. «Non ne posso più», si è sfogato con il sottosegretario Corleone. Che a sua volta se l'è presa a male: «Ma se è tanto agitato, perché non viene lui qui invece di mandare me?».

 

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