Il Corriere della Sera - 03.05.98
Giuliano Gallo,
ROMA - Di ergastoli ne ha chiesti tanti, nella sua carriera: per Ali Agca, l'attentatore del Papa, per il brigatista Alvaro Lojacono, per il sanguinario «canaro» della Magliana. Mai però a cuor leggero: «Ergastolo è una parola che fa paura, anche a chi è dalla parte della legge». Ma forse, proprio per questo, Antonio Marini - pubblico ministero in alcuni dei processi più importanti di questi anni, uno degli ultimi magistrati che ancora si occupano a tempo pieno di terrorismo - è fermissimamente contrario all'abolizione del carcere a vita. «C'è stato un referendum nell'81, non è vero? E che cosa è cambiato dall'81 a oggi? Che la criminalità organizzata è cresciuta, si è fatta ancora più pericolosa».
Insomma, un «no» secco il suo.
«In un Paese pacificato, in un paese senza questa emergenza criminalità, si potrebbe anche capire. Ma in una Paese con una situazione come la nostra, proprio no».
Ma per lei è davvero un deterrente l'ergastolo? Serve davvero a rallentare la grande criminalità?
«Ma come no. E poi, se vogliamo dirla tutta, la pena dell'ergastolo non è affatto incompatibile con la norma della Costituzione dove si parla della pena che deve tendere alla rieducazione del reo. Perché l'ergastolo esiste come deterrente, ma quasi mai viene scontato. Dopo 24 anni si può uscire, se ci comporta bene. E poi fra reati gravi e reati meno gravi ci deve essere una gradualità delle pene».
Proprio il fatto che l'ergastolo non viene concretamente applicato dovrebbe portare acqua al mulino di chi vuole abrogarlo...
«Il meccanismo della legge Gozzini rende molto poco incisiva la pena di 30 anni: perché dopo 12 anni si può uscire. Che senso ha? Dare 30 anni a uno che ha ammazzato un bambino, o uno che ha messo una bomba in una stazione. Invece, con l'ergastolo almeno 24 anni si devono scontare. E, infatti, l'ergastolo è temuto dai boss mafiosi. Fa paura. Io parlo dal punto di vista di uno Stato che deve difendere i cittadini dall'assalto della criminalità organizzata».
Il ministro Flick ha usato argomenti molto simili, per dissociarsi dalla scelta del governo.
«Ha ragione. Dov'è questa priorità? Stiamo chiedendo norme prioritarie sulla giustizia, e il Parlamento risponde occupandosi dell'ergastolo. D'accordo, abbiamo sconfitto il terrorismo. Ma abbiamo sconfitto anche la criminalità organizzata? E poi l'ergastolo non è una pena automatica: un giudice la può applicare solo se non concede le attenuanti generiche. E quindi significa che viene dato solo a quegli imputati che non hanno nemmeno un barlume di ravvedimento...».
Quindi per lei l'ergastolo deve rimanere soprattutto perché ha una funzione di salvaguardia sociale.
«Ma cosa gli vogliamo dare ad un Riina, che dal carcere continua a spedire ordini di morte? L'abbiamo visto con i terroristi: l'ergastolo è stato un potentissimo deterrente. + chiaro che in assoluto nemmeno la pena di morte è un deterrente. Ma l'idea di passare almeno 24 anni in galera non sorride a nessuno».
No e basta, allora? Nessuna possibilità di ripensamento?
«Se vogliamo proprio toccare l'ergastolo, dobbiamo rivedere allora tutto il meccanismo delle pene. Perché non è vero che in Italia non esiste la certezza del diritto: quello che non esiste è la certezza della pena. La legge Gozzini ha creato una falla enorme nella certezza delle pene. Questo è il vero problema: le pene gravi non vengono mai espiate. Teniamo in libertà gente che è già stata condannata, perché bisogna aspettare la sentenza definitiva. Ma dopo due gradi di giudizio tu non sei più un presunto innocente, sei un presunto colpevole. Negli Stati Uniti, dopo la sentenza di primo grado ti sbattono subito in galera».
Ma, in fondo, tutta questa chiacchierata è pura accademia: l'abolizione dell'ergastolo quasi certamente diventerà legge...
«Se succederà, probabilmente, nascerà un comitato referendario per ripristinarlo. E io sarò uno dei promotori».