Il Corriere della Sera - 04.05.98
Carlo Bonini,
MILANO - In fondo, l'annunciata riforma riguarda anche loro, i pubblici ministeri. Che della pena non sono i destinatari né i custodi, ma i suggeritori nelle Corti di assise. E il primo sì del Parlamento all'abolizione dell'ergastolo, così come l'eventualità di un referendum che ne consenta una futura riesumazione legislativa, li scopre in ordine sparso, ma legati da un comune denominatore. Che la scomparsa del carcere a vita coincida con la restituzione alla giustizia penale del principio dell'effettività della pena. Insomma, che una condanna venga effettivamente scontata.
Armando Spataro, della Direzione distrettuale antimafia di Milano, è tra quanti condividono le argomentazioni affidate dal pm romano Antonio Marini al Corriere. L'abolizione dell'ergastolo, «in linea di principio», non lo trova concorde, «anche se quello che più sta a cuore è la certezza della pena». «So di non dire nulla di originale - aggiunge - ma credo che in questo caso sia auspicabile che all'abolizione dell'ergastolo corrisponda il rispetto dell'effettività e certezza della pena. Insomma, che una volta passata in giudicato, la condanna venga eseguita, senza che permessi o sconti la ridimensionino o vanifichino». La preoccupazione è quella di chi associa al carcere a vita un effetto deterrente che la sua cancellazione affievolirebbe. Marcello Maddalena, procuratore capo di Torino, ne è convinto: «Mi sembra che sia difficile negare che in un Paese come il nostro, con un elevato tasso di criminalità, abolire l'ergastolo significa privare la pena di buona parte del suo effetto deterrente. Significa, in altri termini, fare un passo indietro sul piano della prevenzione». Aggiunge il magistrato: «Il Parlamento, naturalmente, è sovrano, ma certe riforme dovrebbero tenere conto anche degli umori del Paese. In Italia, dopo ogni grave delitto, si scopre che la metà dei cittadini sarebbe favorevole alla reintroduzione della pena di morte».
Eppure, proprio da una delle Procure più esposte, come quella di Palermo, i toni sono più morbidi. Guido Lo Forte, procuratore aggiunto, è convinto che l'effetto deterrente della pena possa essere assicurato altrimenti che con il carcere a vita: «Non ho obiezioni di principio all'abolizione dell'ergastolo. Ma due dovrebbero essere i principi da rafforzare: effettività della pena e non prescrittibilità dei reati più gravi (oggi i soli reati che non cadono in prescrizione sono quelli puniti con l'ergastolo, ndr). Insomma, il cittadino deve sapere che la pena verrà sempre eseguita ma, soprattutto, che il trascorrere del tempo non impedirà la persecuzione e individuazione dei responsabili dei reati più gravi. E lo dico per esperienza. Spesso, accertare i colpevoli di reati di mafia anche risalenti nel tempo è di grande aiuto per comprendere il quadro odierno e soprattutto adempie un interesse etico e sociale».
Concorda il pm romano Franco Ionta e concorda il pm veneziano Carlo Nordio: «Ma sì, per una volta, anche io do ragione a Di Pietro: mantenere l'ergastolo era un'ipocrisia, visto che poi nessuno lo scontava effettivamente. L'importante allora è che le condanne siano comminate celermente e vengano scontate. Per una volta non ci dovremo contare tra garantisti e giustizialisti».