Il Corriere della Sera - 04.05.98

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IL SENATORE DS

Calvi: «Anche i giudici sanno che non è più applicabile nel nostro Paese»

«Negli Stati dove questa pena resiste, la criminalità non diminuisce ma aumenta»

Giuliano Gallo

ROMA - «Credo che la legge vada letta, prima di tutto». + caustico, Guido Calvi. Avvocato di parte civile nei più importanti processi degli ultimi trent'anni, oggi senatore della Sinistra democratica, non ha apprezzato molto la nascita di un partito trasversale dei «difensori dell'ergastolo» che annovera magistrati come Antonio Marini («sono pronto a farmi promotore di un referendum», ha detto sabato al «Corriere»). «In realtà questa riforma incide profondamente sotto l'aspetto normativo - spiega Calvi - ma assai meno sul piano della pratica. Tutti sappiamo, e i giudici per primi, che l'ergastolo non è più applicato nel nostro Paese: ci sono solo tre persone in carcere da oltre 30 anni». E la riforma «tende a razionalizzare il sistema: il confronto ora non è tra chi vuole pene severe e meno severe, ma tra due culture: da una parte la cultura che attribuisce alla pena funzione retributiva - tu mi hai fatto soffrire e quindi devi soffrire quanto ho sofferto io - e dall'altra parte chi invece si ispira all'indicazione della Carta costituzionale».

Ci si lamenta che sia stato tolto qualcosa che non c'è, osserva il senatore. «Certo, la Corte costituzionale nel '74 ha dichiarato la costituzionalità dell'ergastolo. Ma solo perché anche agli ergastolani si applicavano i benefici di riduzione della pena. Insomma, siccome l'ergastolo di fatto non c'è - diceva la Corte - non è incostituzionale». Ma l'ergastolo non deve avere una funzione intimidatrice, «che del resto non ha: perché l'innalzamento della pena non ha nessuna funzione di controspinta alla spinta criminale. Se così fosse, tanto varrebbe introdurre la pena di morte. Ma nei Paesi dove esiste, la criminalità non diminuisce, anzi aumenta».

In realtà, spiega Calvi, la legge sull'abolizione dell'ergastolo prevede che la condanna al carcere a vita venga trasformata in «reclusione speciale». E dunque «tutti gli effetti che scaturivano dall'ergastolo sono rimasti». Significa che «gli effetti conseguenti all'ergastolo rimangono tutti, tranne la definitività della pena. Non ci sarà più insomma quel carattere intimidatorio della pena che era teso solo a rispondere ai sentimenti più abietti, di vendetta, dell'uomo. Uno Stato di diritto non può abolire la libertà o la speranza di libertà di un uomo. Qualunque cosa abbia commesso».

I Paesi che hanno trasformato di recente il proprio ordinamento, come la Spagna e il Portogallo, ricorda Calvi, «hanno eliminato pena di morte ed ergastolo». La pena dell'ergastolo non è stata mai prevista dalle legislazioni civili: «solo le fonti canoniche contemplavano la segregazione a vita per gli ecclesiastici che si erano macchiati di delitti particolarmente gravi. Serviva loro per guadagnarsi la vita eterna... Nel Medioevo i giureconsulti sostenevano che il carcere a vita significava di fatto ridurre un uomo in schiavitù. Paradossalmente in Italia l'ergastolo venne introdotto al posto della pena di morte, dal codice Zanardelli del 1889. In sostanza nacque come una conquista».

Ma oggi non serve più. «Allora bisogna trovare il coraggio di eliminare questa ignominia, attraverso una razionalizzazione del sistema. Ma la pena deve essere breve, certa e comminata con rapidità. Solo così può essere efficace nella lotta alla criminalità. Perché è inutile avere una cultura intimidatrice della pena, se poi la pena non viene irrogata...».

 

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