Il Corriere della Sera - 17.07.97
Il presidente dell'ANM: «I magistrati sono d'accordo»
Elena Paciotti: lo Stato non deve essere crudele' Paolo Foschini
MILANO - «Si tratta di una decisione esclusivamente politica, la natura e l'entità delle pene sono valutazioni politiche. Personalmente sono assolutamente favorevole, e penso che lo sia anche la maggior parte dei magistrati: il deterrente della delinquenza non è la "durezza" delle pene, ma la "certezza" della loro applicazione».
Il presidente dell'Associazione nazionale magistrati, Elena Paciotti, parla con tono pacato ma anche estremamente fermo: la decisione della commissione Giustizia del Senato (niente più ergastoli, al massimo 32 anni) la trova completamente concorde.
Perché, dottoressa Paciotti?
«Perché è un segno di consapevolezza dei limiti entro cui deve restare, sempre e comunque, la repressione delle libertà da parte dello Stato: rispettare comunque la persona ed evitare comunque la crudeltà».
Quali parole userebbe, se dovesse dirlo ai parenti delle vittime di mafia e delle stragi?
«Non è facile, lo capisco benissimo. Ci sono fatti "imperdonabili", di fronte ai quali non esiste altra via che la repressione. Uccidere è un delitto "non riparabile", ed è chiaro che la collettività ha l'esigenza di punire chi commette delitti di questo genere. Ma questo, spesso, ha più un effetto simbolico che pratico. Anche coloro che ritengono che per fatti gravissimi ci debba essere una pena molto grave, debbono compiere uno sforzo e pensare a come sarà, se mai ci sarà ancora, dopo 30 anni di carcere, la persona detenuta».
Bastano 30 anni per Totò Riina?
«D'accordo, facciamo questo esempio: cosa sarà di Totò Riina fra 30 anni? A cui si aggiungeranno, forse, condanne per altri 30 e altri 30 ancora? Il valore, ripeto, a questo punto è simbolico. Quello che veramente conta è la "certezza" che quei 30 anni vengano scontati davvero».
C'è chi teme che eliminare l'ergastolo oggi possa dare il via libera a eliminare il "41 bis", il carcere duro per i mafiosi, domani...
«Non credo proprio, sono due cose totalmente diverse. Il regime carcerario previsto dall'articolo 41 bis, anzi, non ha niente di simbolico ma vuole essere, ed è, semplicemente uno strumento concreto di sicurezza: serve a evitare che un criminale, pericoloso, possa continuare a esercitare la sua attività anche dall'interno del carcere. Questa, sì, è una misura di prevenzione».
L'ergastolo no?
«Ripeto: la prevenzione, la punizione sono una cosa. La crudeltà inutile è un'altra. Leggere una sentenza che si conclude con le parole "Fine prevista della pena: mai" è una cosa durissima di per sé. E che diventa inutile tutte le volte in cui - e nel nostro ordinamento sono casi frequenti - il sistema penitenziario consente poi riduzioni concrete».
Ritiene davvero che la maggior parte dei magistrati italiani la pensino come lei?
«Sì, francamente credo di sì. D'altra parte tengo anche a precisare che l'Anm, in quanto tale, su questi temi non ha espresso e non esprimerà alcuna posizione, di nessun tipo. Non è compito dei magistrati stabilire la "gravità" di pene e delitti, ciò che è grave e ciò che non lo è rappresenta una valutazione politica, che deve trovare il consenso della maggior parte dei cittadini, e che quindi spetta a coloro che, all'interno del Parlamento, esprimono la volontà dei cittadini».
Le è mai capitato, nella sua carriera, di chiedere o di infliggere un ergastolo?
«Per fortuna no».