Il Manifesto - 12.07.97

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Carceri - Una buona nomina

Stefano Anastasia

La nomina di Sandro Margara a Direttore generale dell'Amministrazione penitenziarie è la migliore risposta che il ministro di grazia e giustizia poteva dare ai malesseri e alle proteste che si sono levate nei giorni scorsi in numerose carceri italiane. Il carcere ha bisogno come il pane di riforme ed attenzioni non episodiche e Sandro Margara, con lo stesso prestigio e la stessa autorevolezza che fu di Michele Coiro, può garantire le une e le altre.

Per chi conosce il carcere, Margara non ha bisogno di presentazioni. Il suo nome è di quelli che operatori, detenuti, magistrati di sorveglianza, direttori di Istituto, ma anche parlamentari, esponenti dell'associazionismo, giornalisti, imparano subito a conoscere, non appena varcano la soglia di un Istituto penitenziario.

In magistratura dal 1958, giudice di sorveglianza dai tempi della riforma dell'ordinamento penitenziario, Sandro Margara è stato fino ad oggi presidente del tribunale di sorveglianza di Firenze.

Fedele alla concezione correzionalista della pena iscritta in Costituzione attraverso la previsione della sua finalità rieducativa, e nelle leggi attraverso la flessibilità in fase di esecuzione, Margara è stato in questi vent'anni il più attento interprete della riforma penitenziaria, fino ad essere, dieci anni fa, tra gli ispiratori della legge Gozzini ed oggi tra i principali fautori di un rilancio delle alternative alla detenzione. Non mero esecutore del dettato normativo, recentemente ha chiamato in causa per ben due volte la Corte costituzionale su questioni di assoluta rilevanza, quali il carcere duro per i mafiosi e la possibilità di concedere più di una volta la liberazione condizionale ai condannati all'ergastolo. Avendola spuntata sulla liberazione condizionale, ha costretto la Consulta ad una impegnativa sentenza di rigetto sul 41 bis, che riconosce la legittimità del sindacato giurisdizionale sui contenuti delle sue disposizioni applicative.

Giusto un anno fa, Margara fu protagonista di un serrato confronto - in occasione di un Convegno di Antigone - con Massimo Pavarini e Luigi Ferrajoli sulla flessibilità della pena e i limiti del riformismo penitenziario italiano. Con caparbietà e determinazione difese la sua cultura e la sua esperienza. Rivendicò i meriti delle "pietose bugie" a cui si affida la flessibilità della pena in fase esecutiva. Nelle promesse della finalità rieducativa della pena Margara individuava un compito alto con cui la politica deve cimentarsi. In questa ambizione siamo con lui, impegnati a riconoscere quanto di noi è chiuso tra le quattro mura di un carcere.

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