Il Manifesto - 13.06.97

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CASO SOFRI - Un'ingiusta galera da fame

Dopo Bompressi, anche Sofri e Pietrostefani iniziano lo sciopero della fame. Protestano per le condizioni delle carceri

MANUELA CARTOSIO - MILANO

Sono tre i detenuti che da lunedì fanno lo sciopero della fame nel carcere di Pisa. Alla protesta-testimonianza di Ovidio Bompressi di sono associati da subito Adriano Sofri e Giorgio Pietrostefani. Lo si apprende dal comunicato diffuso da Gianni Sofri, che ieri ha incontrato il fratello al Don Bosco. Sofri e Pietrostefani digiunano "per solidarietà con Bompressi, condividendo i motivi della sua protesta". I motivi, spiegati da Bompressi la scorsa settimana sul manifesto, sono riassunti così: "Scopo dichiarato era, ed è, quello di esprimere una testimonianza a proposito del degrado della vita carceraia; e di ricordare l'urgenza di alcuni provvedimenti già all'esame del parlamento, come la depenalizzazione di alcuni reati minori (soprattuto legati alla tossicodipendenza) e l'adozione di misure alternative alla carcerazione". Adriano e Pietro sul degrado, sull'inutilità, sulla crudeltà del carcere pensano e vivono le stesse cose di Ovidio; per questo non hanno voluto lasciarlo solo.

I tre condannati per il delitto Calabresi assumono solo liquidi, stanno in celle separate e si vedono all'ora d'aria. "Li ho trovati abbastanza bene, per quanto si può stare bene in carcere", dice Gianni Sofri, che oltre al fratello ha visto anche Pietrostefani. Si sono dati un termine temporale, una controparte, un obiettivo tangibile da raggiungere? Sono domande a cui Gianni Sofri non sa rispondere: "Altro non è stato spiegato neppure a me. La situazione mi è sembrata indefinita. Anch'io aspetto di conoscere gli sviluppi". L'unica cosa certa è che lo sciopero della fame è strettamente legato alla condizione carceraria generale, patita da circa 50 mila detenuti, non all'ingiustizia specifica subìta dai tre sequestrati di Pisa. Preoccupato?, domandiamo a Gianni Sofri. "Io sono preoccupato dal 22 gennaio (il giorno della condanna in Cassazione, ndr), non da oggi". Una cosa gli preme dire: "Noi famigliari sconsigliamo vivamente che altri fuori si mettano a digiunare".

I compagni e gli amici dei Comitati Liberi Liberi sono divisi tra il riconoscimento che c'è ampia materia per protestare e la preocupazione che sempre si accompagna a uno sciopero della fame, soprattutto se fatto in galera. "In carcere è più facile che la cosa sfugga di mano - dice Toni Capuozzo - e però, pur essendo angustiato, io sono fiero che i miei tre amici, deboli della loro notorietà, si assumano sulle spalle la condizione di soggetti ancor più deboli di loro". L'essere noti, finora, è stato un argomento malevolmente usato contro di loro. "Questo sciopero della fame taglia l'erba sotto i piedi allo stereotipo dei tre detenuti di lusso". Franco Travaglini, prima di sapere della decisione di Bompressi, aveva fatto "un mezzo sogno". "Immaginavo di riuscire a farli uscire presto e poi di non sciogliere i Comitati Liberi Liberi, ma di tenerli in vita per occuparci della situazione carceraria". Ora Travaglini è diviso tra la "consonanza" con quel che stanno facendo i tre detenuti e i tempi scelti.

Ha la voce affatica Lanfranco Bolis, un po' dagli scrutini ma soprattuto dal pensiero dei tre che digiunano: "E' la dimostrazione, per chi ne avesse avuto bisogno, che Sofri, Bompressi e Pietrostefani non hanno in mente il loro particulare. Sollevano il problema generale del carcere, cosa che del resto avevano fatto in passato". Enrico Deaglio è il più perentorio. "In pochi giorni hanno visto due detenuti morire di carcere a fianco a loro. Può una persona civile vedere queste cose e non fare niente? No, e allora fanno benissino a fare lo sciopero della fame. Le poche cose buone per alleviare la condizione carceraria sono state ottenute perché negli anni '70 e '80 alcuni detenuti politici hanno usato la loro situazione disgraziata a vantaggio di altri ancor più disgraziati".

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