Il Manifesto - 14.06.97

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"il manifesto" risponde - Per mancanza di umanità

"Il Mattino" di Padova del 4 giugno riprende la notizia della morte del magrebino Melad nel reparto bunker del policlinico della nostra città.

Il fatto è noto: era in carcere con l'accusa di spaccio di droga; si è professato innocente e ha iniziato lo sciopero della fame per protesta. Viene ricoverato ma morirà in seguito alle complicazioni per una soppraggiunta polmonite.

Ora sulla stampa locale si è aperta una polemica sul ruolo dei sanitari in particolare sull'uso del Tso (Trattamento sanitario obblgatorio), ma dimostrando e creando molta confusione al riguardo.

Lo stesso Luca Casarini, che ne ha trattato sul "manifesto" del 1 giugno, ha attinto alle stesse fonti giornalistiche arrivando a facili conclusioni.

Si deve essere addolorati e anche incazzati per la morte di una giovane vita, tanto più se appartenente a gruppi di persone che vivono soprattutto gli svantaggi della nostra società. Si fa però un pessimo servizio alla verità (rivoluzionaria?) se non si conoscono bene i fatti le circostanze e le implicazioni entro cui ci si muove.

Per il lavoro che svolgo sono stato in un certo senso coinvolto da vicino al caso e dopo la lettura dell'articolo di Luca Casarini confesso un certo disagio. Qui tutti sanno che sono un lettore attento del "manifesto" e allora dico, va bene essere in generale dalla parte del torto, ma su una questione come questa - che fa parte del nostro lavoro quotidiano - passare e far passare "il manifesto" per fazioso proprio non mi va giù.

Da un punto strettamente storico-politico abbiamo avuto casi clamorosi di scioperi della fame di detenuti, penso alle morti dei detenuti nazionalisti irlandesi e più recentemente dei curdi nelle carceri turche.

Ebbene credo che se qualche autorità, nei rispettivi, paesi avesse costretto all'alimentazione forzata quei detenuti avremmo fatto molte obiezioni di principio considerandolo un atto di violenza contro le loro volontà.

Per concludere, anziché puntare l'indice contro i medici (sfruttando opportunisticamente il clima favorevole creatosi per i tanti episodi di malasanità) occorrerebbe invece prendersela più correttamente con i tempi "insostenibili" delle nostre procedure giudiziarie.

Cordiali saluti.

Lettera firmata - Padova

risponde LUCA CASARINI

La morte di Dinari Ben Lazar, questo il vero nome del cittadino tunisino spirato a Padova dopo due mesi di sciopero della fame, è un capitolo ancora tutto aperto.

Probabilmente non potrà mai essere chiuso del tutto, anche se si accerteranno responsabilità, negligenze, omissioni da parte di più di qualcuno. Dinari, questa è l'opinione che mi sono fatto, è stato ucciso dagli atteggiamenti, non dalla malattia. E' morto a causa della mancanza completa di umanità nei suoi confronti. Da quello che appare oggi, ogni autorità ha agito "secondo la legge". Il magistrato ha "preso atto", il medico "si è attenuto", il comune "ha disposto". Ma nessuno ha ascoltato. Dinari non voleva morire. Faceva lo sciopero della fame per tentare di continuare a vivere. Colpevole o innocente che fosse, voleva attirare l'attenzione del mondo esterno, voleva far evadere i suoi pensieri da quella cella in cui stava rinchiuso.

In due mesi di protesta, non c'è stato nessuno che ha avuto il coraggio, o forse l'umanità, di far conoscere il suo caso. E' certamente vero che quando un medico si trova di fronte a forme di protesta come queste, deve tener conto della volontà dell'individuo, prima che della cartella clinica. E' altrettanto vero che la flebo non può sostituire il diritto, incancellabile, di esprimersi. Ma è anche certo che l'etica e la deontologia non possono essere ingabbiate in un articolo di un codice. La sensibilità umana, il rispetto per una persona, per la sua vita, soprattutto quando un essere umano ha poco più che quella, dovrebbe appartenere ad ognuno di noi, medico, magistrato, sindaco o semplice cittadino. Credo che nella tragedia di Dinari, sia mancato questo. Forse anche perché abbiamo imparato, alla faccia dell'etica, che uno è quello che rappresenta, che ognuno ha in base al ruolo che ricopre. Se a fare lo sciopero della fame fosse stato qualcun altro, magari i suoi parenti avrebbero fatto sapere ciò che stava succedendo. Perché nessun medico ha protestato per quella morte annunciata? Perché nessuno, così attento ai diritti umani da rispettare perfino il lento suicidio di Dinari, non ha raccolto il suo grido? Tutti hanno rispettato la legge. Ma nessuno l'umanità. Che fa parte di un codice da riscrivere dentro ognuno di noi.

Quando la colpa non è di nessuno, è di tutti.

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