Il Manifesto - 15.11.97
MILANO
MANUELA CARTOSIO - MILANO
S AN VITTORE è anche un luogo di lavoro. Nel carcere milanese lavorano 650 agenti, una cinquantina di infermieri, una ventina di medici e 6 assistenti sociali. Per far sentire la loro voce una delegazione della Cgil è entrata ieri a San Vittore. L'indicazione ricavata parrebbe ovvia: "Per migliorare le condizioni dei detenuti occorre migliorare le condizioni di lavoro degli operatori carcerari", dice Antonio Panzeri, segretario della Cgil milanese. Rispetto al numero dei detenuti, i lavoratori sono pochi, stressati, frustrati. Solo un paio d'esempi. Sei assistenti sociali riescono a mala pena a compilare pratiche burocratiche per 1.800 detenuti (figuriamoci quando erano 2.400). A fronteggiare le emergenze notturne restano solo 2 agenti e quando, magari per dare soddisfazione al vicesindaco De Corato (An), capita la retata di extracomunitari il clima non è dei più distesi. Di qui la richiesta di aumentare l'organico.
Perché non battere la strada opposta? Se si diminuisce drasticamente il numero dei sorvegliati, migliorano automaticamente le condizioni di lavoro degli operatori penitenziari. Perché le loro associazioni di categoria non premono su governo e parlamento per ottenere le stesse cose che vogliono i detenuti (depenalizzazione dei reati minori, misure alternative)? "E' una cosa difficile per la mentalità degli agenti, c'è poca coscienza, è una nostra lacuna", risponde Gianni Mazzarelli, agente a San Vittore dal '93, uno dei pochi tesserati alla Cgil (la maggior parte aderisce ai sindacati autonomi). Fosse per lui, che definisce il carcere "una discarica sociale", quella sarebbe la strada giusta. Idem per Corrado Mandreoli, dell'Ufficio politiche sociali Cgil, che però capisce la posizione degli agenti: "Mentre noi facciamo i nostri bei convegni senza nulla ottenere, tocca a loro oltre che ai detenuti reggere il peso della situazione".
Su un altro punto, invece, va registrata la massima identità di vedute: San Vittore deve restare dov'è, nel cuore di Milano. La pensa così (da tempo) il direttore Luigi Pagano. Così vogliono i detenuti all'unisono con gli agenti, che vedono un eventuale traferimento ad Opera come un'ulteriore punizione. "Lì sì che si è isolati davvero, qui invece i pacchi arrivano, le visite per i familiari sono più agevoli", dice Mazzarelli. Così vuole la Cgil, nonostante l'edificio sia vetusto, le condizioni di alcuni raggi fatiscenti. La relativa diminuzione del numero degli "ospiti" ha permesso di iniziare i lavori di ristrutturazione. "E al terzo raggio dove la manutenzione è stata fatta i risultati si vedono", afferma Massimo Stroppa, della Cgil Funzione pubblica. Resta da fare un lavoro enorme, ma comunque meno costoso della costruzione di un nuovo carcere fuori Milano, dice il direttore Pagano.A San Vittore e in tutte le carceri va applicata la legge 626 sulla sicurezza e l'igiene nei luoghi di lavoro, dice Massimo Stroppa. I primi interventi da fare sono per la messa in sicurezza degli impianti elettrici, "abbiamo visto ovunque fili volanti", i pavimenti "sono ricettacolo di sporcizia", i muri vanno tinteggiati e "4 docce per 100 persone non sono il massimo". Antonio Panzeri era alla sua prima visita a San Vittore. Come è stato l'impatto? "Problematico. Ho visto posti che lasciano senza parole. Contemporaneamente ho visto sforzi per migliorare e qualche risultato. Dobbiamo valorizzare il buono per dare speranza sia ai detenuti che ai lavoratori".