Il Manifesto - 21.04.98
CARCERE CASO CALABRESI
Accolta la richiesta dei medici di una sospensione temporanea della pena. Ora potrà curarsi. Detenuti in sciopero a Pisa per Baraldini
- MANUELA CARTOSIO - MILANO
P rima sono usciti sei sacchetti, le valigie di chi lascia il carcere. Poi da solo, a passi molto lenti, malfermo sulle gambe un tempo fermissime sulle pareti delle Apuane, dal portone del Don Bosco è uscito Ovidio Bompressi. Dalle 15,05 di ieri l'uomo che per la giustizia è l'assassino del commissario Calabresi è provvisoriamente libero. Con un provvedimento d'urgenza il giudice di sorveglianza di Pisa Massimo Niro ha concesso la sospensione della pena perché le condizioni psicofisiche di Bompressi - condannato con Adriano Sofri e Giorgio Pietrostefani a 22 anni - sono assolutamente incompatibili con il carcere. A sollecitare il provvedimento era stato l'8 aprile il professor Francesco Ceraudo, direttore del centro clinico del carcere Don Bosco di Pisa. Quel che era scritto nei referti il giudice Niro l'ha verificato di persona sabato scorso, incontrando nel centro clinico un Bompressi ulteriormente debilitato, costretto su una sedie a rotelle. Dimagrito di 16 chili rispetto agli 83 del 24 gennaio del '97, quando Bompressi si presentò al carcere senza sottrarsi alla sentenza emessa dalla Cassazione due giorni prima.
"Sono un prigioniero volontario. Libero sarei volontario in qualche parte di mondo, tra l'umanità calpestata e abbandonata", scrive Bompressi nel suo libro L'angelo nell'angolo, appena edito da Pietro Manni. L'umanità calpestata e abbandonata Bompressi l'ha avuta di fronte per 15 mesi in quella "parte di mondo" che è il carcere. Questa comunanza, sommata a un'ingiustizia privata che dura da un decennio, l'hanno spinto a testimoniare con il corpo un anelito d'umanità. Ma il "non desiderio di mangiare" ha fatto ammalare il corpo, è diventato esso stesso malattia.
Bompressi ha fatto solo un gesto con la mano, in cenno di saluto, prima di salire sull'auto che l'ha portato nella casa di amici a Massa. I cronisti fuori dal carcere questa volta non hanno insistito, hanno rispettato la voglia di silenzio di Bompressi. E' stato un viaggio a dir poco triste, quasi senza parole - racconta l'avvocato Ezio Menzione -. Ovidio si è un po' rianimato quando ha visto le sue montagne, "speriamo". "Speriamo", dice ugualmente l'altro difensore di Bompressi, Sandro Gamberini. La speranza (di tutti) è che la scarcerazione non sia arrivata troppo tardi, che Ovidio possa riprendersi. "I suoi parametri vitali sono scesi al lumicino", dice Gamberini, che "per pudore" non vuole scendere nei particolari, non vuole interpretare il malessere del suo assistito. "La sospensione della pena - afferma Menzione - è un provvedimento apprezzabile sotto il profilo dell'umanità", una decisione per altro obbligata: gli elementi evidenziati dai medici e il corpo di Bompressi "parlano da soli".
Ora Ovidio è libero (c'è un qualche eccesso in questa parola), potrà curarsi dove e come riterrà opportuno. La sospensione della pena è misura assai più ampia degli arresti domiciliari. Sarà il tribunale di sorveglianza di Firenze a quantificare in termini di mesi (probabilmente 3 o 6) la durata della sospensione (il giudice Niro, infatti, ha deciso in via provvisoria e urgente). La sospensione potrà (anzi dovrà) essere reiterata se, alla scadenza del termine, le condizioni di Bompressi resteranno critiche.
I detenuti del carcere di Pisa dedicheranno una giornata di digiuno a Silvia Baraldini. Come data hanno scelto il Primo maggio. Scrivono: "Le ragioni dell'umanità e quelle del diritto vogliono che Silvia torni nel suo paese; l'Italia ha carceri di cui non può certo andare fiera, ma è il suo paese". L'invito per i detenuti delle altre carceri è di aderire al gesto di solidarietà.