Il Manifesto - 21.06.97
"il manifesto" risponde - Separati dal mondo
A seguito di una mia richiesta al ministero sono stato trasferito al carcere Pagliarelli di Palermo. A San Vittore, dove mi trovavo, facevo parte del gruppo di lavoro impegnato nella realizzazione di una "Carta europea delle comunità carcerarie" e di un programma su i più urgenti provvedimenti di giustizia. Tutti argomenti di notevole interesse che comunque si pongono tempi di realizzazione a medio termine, mentre noi viviamo nel quotidiano i problemi del carcere.
Qui al Pagliarelli, con notevoli difficoltà, siamo riusciti a organizzare un gruppo di lavoro che abbiamo chiamato "Liberi". Il programma si articola su quattro punti fondamentali:
1. Rivalutazione della figura del Cappellano, all'interno degli Istituti, con particolare riferimento alle iniziative trattamentali di cui deve farsi interprete;
2. Istituzione all'interno di ogni istituto, di un ufficio di consulenza legale gestito dal volontariato delle Camere Penali;
3. Diffusione e promozione delle norme che regolano il gratuito patrocinio. Stiamo raccogliendo a tal proposito, l'adesione e la disponibilità di numerosissimi giovani avvocati;
4. Adozione a distanza del detenuto definitivo da parte delle aziende e successiva adozione. Le aziende, se incentivate da un'apposita legge, potrebbero prima prendere in affidamento il detenuto fornendo tutto l'appoggio al suo inserimento e alla sua preparazione professionale, e assumere dopo il proprio adottato.
Per quest'ultimo punto, ci stiamo adoprando perché il senatore Manconi si faccia portavoce di una legge ad hoc.
Tra le altre cose stiamo realizzando anche la pubblicazione di un giornale, che mensilmente aggiorni i detenuti sui fatti legati alla "giustizia", e che sia occasione di un continuo confronto con le istituzioni. Avrai notato che sto scrivendo a penna, perché qui non mi è concesso di tenere la mia portatile, così come dopo tre anni di detenzione (il mio reato è esclusivamente di bancarotta) mi si nega la possibilità di dipingere. Tutti problemi dei quali avrai comunque cominciato a renderti conto.
Il motivo di questa lettera era però quello di comunicarti la nostra solidarietà e la nostra intenzione di unirci alla tua testimonianza, per cercare di ottenere dei risultati concreti. Inzialmente saremo in pochi, ma quello che conta è la qualità della protesta pacifica, che non può certamente passare sotto silenzio.
Matteo Riccobono - Palermo
Tra le altre cose, la tua lettera mi fa riflettere sull'aspetto più emblematico, e doloroso, della condizione carceraria, quello della sua separatezza dal mondo esterno, dell'impossibilità di comunicare, di confrontarsi con la realtà di fuori, direttamente e quotidianamente, per qualunque necessità.
Il detenuto ha infatti diritto solo a quattro colloqui mensili con i familiari, o, in sostituzione di essi, a due telefonate che possono essere fatte a distanza di quindici giorni l'una dall'altra o dall'ultimo colloquio (anche spiegarlo è un po' complicato). Non resta che la posta. A dispetto degli artt. 13 e 27 della Costituzione- "...E' punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà" e "Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato", i detenuti sono privati oltre che di diritti fondamentali e inviolabili, anche delle ragionevoli opportunità che sembrerebbero intrinseche alla stessa giustificazione della pena carceraria, come percorso per la riabilitazione e il reinserimento sociale.
Così, salve alcune rare e frammentarie esperienze non viene favorito alcun rapporto o confronto con la realtà sociale e con le istituzioni, col mondo dell'impresa e del lavoro, della scuola e dell'università, dell'arte, dello spettacolo, dei media. Cinquantamila persone, la popolazione di una città, tagliate via come una cancrena, lasciate a marcire da sole. Espulse dalla società, dalle stesse città nelle quali vivono invisibili nel loro ricettacolo, segregate, afflitte in mille modi inconoscibili all'esterno.
Ed è proprio per affrontare tutti i nodi della sofferenza carceraria, farli conoscere- quelli che tu richiami quando dici "mentre noi viviamo nel quotidiano i problemi del carcere"- e tentare di risolverli, che l'indicazione tra le altre urgenze, che venga istituita una commissione parlamentare di indagine conoscitiva della condizione dei detenuti, mi sembra particolarmente importante.
Ha già raccolto consensi autorevoli, come pure alcune proposte di legge riguardanti la "depenalizzazione" e la "decarcerizzazione".
Mi auguro che ciò possa tradursi in un impegno del parlamento, del governo, dell'amministrazione giudiziaria per realizzare in tempi congrui almeno i provvedimenti più urgenti.
La nostra testimonianza non ha nulla di rivendicativo, non si prefigge quindi il raggiungimento di specifici obiettivi.
Basta a se stessa, e all'esigenza che l'ha dettata: il dovere umano e civile di dare voce a chi non l'ha e di indicare alcuni interventi possibili quanto mai necessari.
Molto di più possono fare, fuori, persone di buona volontà, aventi titolo e competenze. Ciò che non mi sembra accettabile, è che non vi sia attenzione e consolazione per chi ingiustamente dimenticato, può solo disperare.
OVIDIO BOMPRESSI