Il Manifesto - 22.04.98

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L'OPINIONE

L'accusatorio sulle labbra, l'inquisitorio nel cuore

di SERGIO MOCCIA

Dovremmo deciderci se sia una questione di civiltà elementare il fatto che chi sia accusato da un altro abbia o meno il diritto di controinterrogare l'accusatore, al fine di permettere a un terzo (il giudice) di stabilire a parte tertia se dica cose rispondenti al vero. In effetti, anche intorno all'art. 513 c.p.p. si gioca una parte tutt'altro che trascurabile della questione relativa al definitivo abbandono del processo inquisitorio, tipico dei sistemi autoritari, a favore dell'affermazione dell'accusatorio, tipico della democrazia. Prima della recente riforma, diveniva in tanti processi prova decisiva ai fini della condanna la semplice dichiarazione accusatoria dell'imputato in procedimento connesso. Questo procedere andava bene per il rito inquisitorio, quando un unico soggetto ricopriva i ruoli di accusatore e di giudice e l'unico "riscontro" richiesto era dato dalla confessione, comunque estorta. Ma non va più bene, se riteniamo che i ruoli dell'accusa e del giudice vadano distinti secondo i moduli dell'accusatorio; e per un'ottimale distinzione dei ruoli non vi è altro che una chiara, netta distinzione delle carriere. La prova, in questo caso, si forma in dibattimento e non dinanzi a una parte. Ragionando in termini diversi non si capisce bene perché non dovrebbero valere come prova le dichiarazioni rilasciate alla presenza del solo difensore! In realtà, si tratterebbe di una forzatura e le dichiarazioni risulterebbero gravemente viziate di inattendibilità, perché sarebbero l'espressione di uno solo dei due possibili punti di vista. Allora, non è solo questione di garanzia l'assunzione della prova in contraddittorio davanti al giudice terzo, ma anche di effettività, nel senso che proprio ai fini dell'accertamento della verità, appare essenziale vagliare le dichiarazioni di chi accusa alla luce delle controargomentazioni di chi si difende. Bisognerà quindi mettere mano anche alla modifica dell'art. 195 c.p.p., nella parte in cui ammette la testimonianza indiretta della polizia, e dell'art. 500 c.p.p. nella parte in cui consente l'utilizzabilità delle dichiarazioni rese da testimoni prima del dibattimento: esiti questi, da cancellare, di una stupefacente giurisprudenza della Corte costituzionale del 1992 e di una non meno stupefacente legislazione di adeguamento. Resta da spiegare secondo quali parametri epistemologici sarebbe indiscutibilmente conforme al vero, quel che sta nella testa di una persona e non quel che sta nella testa di un'altra.

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