Il Manifesto - 22.10.97

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UN DIGIUNO CIVILE

FRANCO CORLEONE*

R ICORDATE la legge voluta da Francesco Rutelli? Per ogni nuovo nato i comuni debbono piantare un albero. Dovremmo fare una norma simile anche per il carcere, rovesciando purtroppo l'occasione, essendo quello un luogo di morte civile e non di rado fisica, come ci dice anche il netto aumento dei suicidi che sta avvenendo nel 1997. Risolveremmo così almeno quel problema emblematico, il verde in carcere, di cui ha scritto di recente Adriano Sofri, offrendo così un segno di possibile ri-nascita.

Assieme alle rose, però, bisogna pensare al pane, e non possiamo rispondere a chi lo chiede di mangiare croissant. O, peggio ancora, fingere di non avere inteso la richiesta. Il rischio - diciamocelo francamente - c'è, le sordità persistono, trasversali agli schieramenti politici. I drammatici e annosi problemi dei penitenziari continuano ad essere elusi e rimandati sine die, talvolta per cattiva volontà politica, talaltra per difficoltà oggettive, ma che comunque dovrebbero essere pur sempre superabili.

Provvedimenti da tutti o quasi a parole condivisi, magari piccoli ma di sicura efficacia deflattiva, com'è, ad esempio, la legge Simeone-Saraceni, per un motivo o per l'altro stentano a concludere l'iter legislativo. Altri, di grande civiltà e valore simbolico, come l'abolizione dell'ergastolo o, sotto altri profili, l'indulto, anche in questa legislatura e con questa maggioranza di centrosinistra sembrano destinati a soggiacere ad equilibristiche prudenze, se non a crociate forcaiole, o anche, più semplicemente (e ciò è ancora più sconsolante), a pura e sciatta indifferenza. Altri ancora, come l'effettiva integrale depenalizzazione del consumo di droghe, rimangono ostaggio dei resistibili veti imposti dal centro destra.

Da Rebibbia a Pisa, da tante celle sta crescendo una civilissima richiesta espressa attraverso un civilissimo digiuno. I detenuti e le detenute non chiedono la luna o l'impunità: chiedono un po' di pane e un po' di rose, ovvero un carcere un po' più umano, pene un po' più brevi, alternative alla detenzione un po' più accessibili e meno soggette alla discrezionalità che sconfinano nell'arbitrio. Chiedono che le proposte di legge già depositate, già allo studio, o addirittura già discusse e approvate in Commissione, abbiano un soprassalto di vitalità, arrivino a conclusione, non trascurando anche la priorità della riforma dell'incompatibilità del carcere per i malati di Aids.

Una richiesta che, se esaudita, porterebbe qualche beneficio a chi sta in carcere; ma il beneficio sarebbe forse maggiore per chi deve razionalizzare e rendere più efficace il sistema penale e per chi il carcere deve gestire, come ben sanno gli operatori, i direttori, gli agenti, alcuni dei quali hanno salutato con favore l'odierna iniziativa dei detenuti. Non sembrano invece cogliere questa elementare verità ed esigenza molti esponenti politici, perennemente distratti sui temi dei diritti e della giustizia, se non talvolta per strumentalizzarli, o sempre in altre faccende affaccendati.

Ma il disagio che il carcere vive è reale, pressante e generalizzato: le mancate risposte o - ancora più sciaguratamente - la scelta dell'assoluta sordità, diventerebbero (ir)responsabilità morale o incauto e inconsapevole, forse, gioco allo sfascio. Uno sfascio da cui nessuno, né maggioranza né opposizione, né carcerati, né carcerieri, trarrebbe alcun beneficio. Perché una maggiore civiltà della pena e delle prigioni è questione che travalica la politica e attiene semmai la coscienza e la cultura di un paese.

Ma, anche, è questione che ha bisogno della responsabilità politica di ognuno per trovare soluzioni. Soluzioni nel segno del diritto e del buon senso. E, soprattutto, dell'urgenza.

Confesso un senso di disagio perché io per primo chiedo a me stesso che cosa sto facendo e che qualità diversa il governo - che dovrebbe essere del rinnovamento - sta perseguendo giorno dopo giorno. Io non sono in pace con la mia coscienza e vivo una lancinante contraddizione. Intanto, grazie ai detenuti che hanno ripreso la parola e costringono tutti a mettersi in gioco.

* sottosegretario alla Giustizia

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