Il Manifesto - 24.12.97
GIUSTIZIA
N ON CI POSSO ancora credere. Fino a quando non lo potrò toccare non ci crederò". Zaida Deramchi, moglie di Djamal Lounici è letteralmente al settimo cielo. "Questa mattina (ieri, ndr) - dice - sono venuti due carabinieri e mi hanno chiesto se ero disponibile ad ospitare Djamal Lounici a casa mia. Dico: ma stiamo scherzando! Certo che sono disponibile, sono due anni e mezzo che mio marito è detenuto". Gli arresti domiciliari sono stati concessi a Lounici per gravi motivi di salute. Sessantacinque giorni di sciopero della fame hanno minato seriamente il fisico del detenuto algerino in carcere a Novara. Adesso ci vorrà del tempo prima che Djamal Lounici si riabiliti. "Ma l'importante - dice ancora la moglie - è che sia a casa. Non mi sembra vero. Non potevo credere che le autorità italiane non avessero alcun rispetto per i diritti umani. E' stato un bellissimo regalo di Natale". In effetti ci sono voluti mesi, troppi, prima che venissero concessi gli arresti domiciliari al cittadino algerino. "Finalmente qualcosa si è mosso - ha detto Pasquale Cavaliere, consigliere regionale dei Verdi, che ha seguito la vicenda di Lounici fin dall'inizio - anche se soltanto dopo uno sciopero della fame che ha messo in pericolo la vita di Lounici. Confido - ha aggiunto Cavaliere - che questa vicenda serva in qualche modo a sensibilizzare l'opinione pubblica sulle tante ingiustizie del carcere". Djamal Lounici era rimasto l'unico cittadino algerino detenuto dopo che l'inchiesta di Torino e Milano (sulla presunta rete del Gia, il gruppo islamico armato, in Italia) si era progressivamente sgonfiata. Ma su Lounicipendeva una richiesta di estradizione inoltrata dalla Francia che l'Italia ha concesso e poi sospeso.
(o.ca.)